La lunga barba di Vincenzo Agostino

Nessun padre dovrebbe sopravvivere al proprio figlio. E soprattutto, nessun padre con un figlio morto ammazzato sotto il suo sguardo dovrebbe attendere trent'anni per ottenere uno straccio di verità e una speranza di giustizia.

La lunga barba di Vincenzo Agostino
Vincenzo Agostino

Un padre che sopravvive a un figlio è un uomo che cammina monco per le strade della vita, che ci mette il naso senza riconoscerne più i contorni. Nessun padre dovrebbe sopravvivere al proprio figlio. È contro natura, un cortocircuito del creato in cui si impigliano pezzi di esistenza. Che non sarà più la stessa, mai più. 

Oggi sono trentadue anni che Vincenzo Agostino ha vissuto più di suo figlio, senza suo figlio. Un tempo troppo lungo per essere naturale, un tempo troppo pesante, opprimente, intollerabile per qualsiasi essere umano. La lunga barba di Vincenzo Agostino sta lì a ricordarci del tempo passato, di come per trent'anni tutto si è mosso ma un punto (interrogativo) è rimasto fermo: chi ha ucciso Nino Agostino e Ida Castellucci? Chi ha voluto la morte di un poliziotto di San Lorenzo, di sua moglie e del bambino che portava in grembo? Perché è stata cancellata una famiglia, distrutta l'esistenza di persone perbene?

Le domande sull'omicidio del poliziotto Nino Agostino si sono trascinate per decenni senza risposta nella testa di due genitori, papà Vincenzo e mamma Augusta, che non hanno potuto far altro che appigliarsi al proprio coraggio, alla propria salda tenacia e all'inesauribile sete di verità che ha continuato ad alimentarli per tutto questo tempo. 

Il 5 agosto del 1989 erano entrambi nel villino di Villagrazia di Carini, sul lungomare Colombo. Era una giornata di festa, la loro figlia Flora compiva 18 anni e, per l'occasione, sarebbero andati a cena anche Nino e sua moglie Ida. Poco dopo le 19.30, fuori casa si udirono degli spari. Raggiunto l'uscio, papà Vincenzo e mamma Augusta si ritrovarono davanti una di quelle scene che la natura dovrebbe risparmiare a qualsiasi genitore: Nino era stato raggiunto dai colpi di due sicari a bordo di una motocicletta ed era agonizzante a terra.

Era senza armi, quella sera. E si stava spegnendo in una pozza di sangue, sotto lo sguardo di suo padre. Poco distante, Ida sanguinava con un filo di vita ancora debolmente attaccato addosso. Mentre le uccidevano il marito, aveva urlato ai sicari “vi conosco”. La moto era tornata indietro e i colpi avevano freddato anche lei. Sarebbe morta poco dopo essere arrivata in ospedale. Insieme a Nino e Ida, quella sera, si spense per sempre anche il bambino mai nato che lei portava in grembo. Tre vite cancellate, una famiglia distrutta. Ed era estate, faceva caldo, era una giornata di festa.

La storia dell'omicidio Agostino è una di quelle storie che si portano dietro tutta l'assurdità e le contraddizioni di un Paese malato, di un sistema perverso. C'è dentro di tutto: l'uomo con la faccia da mostro, i servizi segreti, i depistaggi, le verità occultate, i segreti indicibili, l'attentato all'Addaura, la scomparsa dell'agente Emanuele Piazza. Ci sono trent'anni di misteri, di sviamenti, di dirottamenti della verità. La lunga barba di Vincenzo Agostino li ha assorbiti tutti. 

Le carte sparite, le perquisizioni anomale, il bigliettino con su scritto “se mi succede qualcosa, controllate nel mio armadio”. La pista passionale, i silenzi, gli ignoti uomini dello Stato che bussarono alla porta di un ordinario agente di polizia, occultando qualche indicibile verità. Perché? Che volevano? Cosa cercavano? 

Il silenzio sul duplice omicidio dei coniugi Agostino è durato trent'anni. Un silenzio scolpito sulle pareti sdrucciolevoli di un Paese in cui i confini tra buoni e cattivi sono labili, evanescenti, fin troppo vaghi. Un silenzio che si è però dovuto scontrare col grido di dolore di mamma Augusta e papà Vincenzo, che hanno combattuto strenuamente perché la verità venisse a galla, perché la morte del figlio non venisse sommersa da una colata di assurdità e relegata nel più nero oblio. 

Dopo trent'anni d'attesa e di domande senza risposta, finalmente uno spiraglio si è aperto: il processo per il duplice omicidio di Nino Agostino e Ida Castellucci si sta celebrando a Palermo. Per quel delitto è stato già condannato in rito abbreviato il boss Antonino Madonia, mentre per gli altri due imputati, Gaetano Scotto (accusato di omicidio) e Francesco Paolo Rizzuto (accusato di favoreggiamento aggravato), il processo è ancora in corso.

Dopo la pausa estiva, a settembre riprenderà con le audizioni dei testimoni, primo tra tutti proprio papà Vincenzo, che con gli occhi lucidi e la voce rotta dall'emozione, ha accolto le prime condanne per l'assassinio di suo figlio. Condanne che, però, devono essere solo un primo passo verso l'accertamento della verità. Bisogna trovare “i pupari”, ha reclamato con forza, quelli che hanno mosso i fili. E che si annidano nel cuore nero dello Stato deviato.

Chi ha voluto davvero la morte di Nino Agostino? 

Oggi cammina monco nella vita, papà Vincenzo. Trentadue anni fa, gli è stato strappato un pezzo della propria carne, nel modo più ignobile che ci sia, sotto il suo stesso sguardo. E da quel giorno, ha dovuto imparare a convivere con il vuoto più grande. Intanto, lo ha lasciato anche sua moglie Augusta, così è rimasto lui, con la sua lunga barba bianca e lo sguardo vigile, a reclamare giustizia per il figlio ammazzato, per sua nuora e per quel nipote mai nato.

Ha la forza di una montagna, Vincenzo Agostino. Di quelle eterne, che restano in piedi nonostante le intemperie, lo scorrere del tempo, le avversità della vita. Vincenzo Agostino è un vulcano, una scogliera, una quercia. Un gigante che calpesta il mondo con passo non più deciso, ma ugualmente fiero, ostinato, coraggioso. È un padre le cui lacrime dovranno pur raddrizzare gli squilibri del mondo e tracciare un percorso che, prima o poi, arrivi alla verità e affermi la giustizia.

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