LA MORTE E IL CORONAVIRUS

A parlare del valore della morte al tempo del Covid -19 è il geriatra Mino Dentizzi, in una esplorazione umana e toccante del rapporto tra vita e morte in questo tempo di sentimenti stravolti, arresi alla ineluttabilità delle conseguenze del virus della solitudine, che fa riflettere su quanto l'uomo faccia parte di un'unica catena di amore e solidarietà. Anche la morte, oggi, si vive, disarmati e attoniti, lontani dal proprio mondo e dalle proprie relazioni costruite intensamente nel corso del ciclo vitale di ognuno di noi.

LA MORTE E IL CORONAVIRUS

In questo periodo sconvolti dal coronavirus, in cui conviviamo con il timore di essere contagiati, che ha messo in discussione le nostre sicurezze e mina la sicurezza delle nostre vite, in cui il nostro sistema sanitario nazionale ha mostrato tutti i suoi limiti e le sue criticità; in cui non abbiamo più vita sociale, e la nostra economia corre il pericolo di entrare in una crisi lunga e devastante, appare anche molto sconvolgente il momento e il contesto della morte per covid-19.

Fino a ieri la maggioranza delle morti avvenivano per malattie croniche e degenerative che ci privano, piano piano, di fette di vita e di autonomia. Morti prevedibili con prognosi lunghe, morti alle quali ci si può abituare poco per volta, fino, in alcuni casi, ad essere davvero sazi di vita. Ma è arrivato improvvisamente il coronavirus, che ha polverizzato la nostra visione del morire: la cura, l’assistenza, l’essere attorniati dai propri affetti. Tutto questo non c’è più.

“Mio padre si è sentito male ed abbiamo chiamato il 118, è stato ricoverato d’urgenza e da allora non l’abbiamo più visto né sentito. Mi hanno annunciato la sua morte con una telefonata, senza neppure guardarmi neanche negli occhi. Ho richiamato il medico una, due, dieci volte finché sono riuscito a parlargli volevo sapere qualcosa in più. Il dottore mi ha detto che voleva andare a casa, che voleva solo i figli, cercava sempre i figli.”

Questa testimonianza è una delle tante che leggiamo in rete e sui giornali. A tutt’oggi ci sono stati più di 28.000 decessi in Italia per Covid-19. Pensate quante sono le persone in lutto per queste morti, senz’altro più di centomila, accomunata da un’esperienza molto simile: non aver potuto stare accanto a chi stava morendo, non avergli fatto sentire l’amore, il sostegno, l’amicizia; non essere riusciti ad ascoltarlo, a farsi vedere, ad abbracciarlo, aver vissuto la consapevolezza ora dopo ora che il decesso di chi amano sta arrivando ed essere costretti a restare lontano, a casa, impotenti e incapaci.

Ma non finisce tutto al momento della comunicazione del decesso dato che poi c’è la vestizione della salma, che è vietato fare con decoro e accortezza (quanti nostri anziani hanno già preparato l’abito per la sepoltura?). E, inoltre, il corpo del defunto non si può vedere perché́ la bara va chiusa in fretta per motivi sanitari e poi il funerale senza rito, senza il saluto, senza le lacrime.

– Ha finito di soffrire – è la consolazione dei parenti e amici, e, quasi sicuramente, per il defunto sarà così.  Non certo per chi l’ha amato o gli ha voluto bene, non per chi lo apprezzava, lo cercava o anche solo lo sopportava.

E subentrano i sensi di colpa (avrei potuto cercare di vederlo, potevo pensare di fargli avere un cellulare per comunicare, ….), la disperazione (non sono stato in grado di dirti che ti sono vicino, di aiutarti, di darti sollievo), i pensieri sconfortanti e inquieti a immaginare cosa la persona cara negli ultimi giorni avrà pensato e provato restando da solo, e ripetersi di continuo non è giusto che sia morto così, non si può perdere la vita per qualcosa che fino a pochi giorni fa non esisteva, non è possibile morire perché la medicina è impotente.

E poi ci saranno le fasi due e tre del lutto quando l’emergenza sarà finita e si tornerà ad una graduale normalità.

Quanto influenzerà la felicità di poterci riabbracciare, essere liberi e uscire, il desiderio di riprendere le nostre occupazioni, con il dolore atroce soffocato di dover andare, settimane dopo la perdita del nostro genitore nella sua casa, nell’incontrare i parenti del nostro amico o collega defunto, nello svolgere le pratiche burocratiche ineliminabili?

Si vivrà un secondo lutto condiviso ed espresso, dopo il primo chiuso e quasi totalmente taciuto?

Sogniamo di poter fra non molto ritornare a ragionare sulla morte per malattie croniche!

 

Mino Dentizzi