Dedicato al personale sanitario deceduto per COVID-19

RIFLESSIONE. Parla il geriatra Mino Dentizzi. La drammatica situazione determinatasi nelle strutture sanitarie ha falciato il personale medico e sanitario. Una riflessione supportata da dati che sconcerta nella sua dura realtà.

Dedicato al personale sanitario deceduto per COVID-19
Foto di Helena Jankovičová Kováčová da Pixabay

I contagi sul lavoro da Covid denunciati all’Inail al 31 ottobre sono 66.781, il 15,8% del complesso delle denunce pervenute dall’inizio dell’anno e al 9,8% dei contagiati comunicati dall’Iss. I casi mortali sono 332, 13 in più rispetto al monitoraggio del 30 settembre.

Nella sanità e assistenza sociale (si ricorda che l’Inail non contempla i casi tra liberi professionisti e personale convenzionato con il Ssn, quindi esclusi da questo conteggio) il 69,8% delle denunce e il 21,6% dei decessi. La professione più colpita come contagio: gli infermieri. Come mortalità: i medici.

I morti non fanno rumore, non fanno più rumore del crescere dell’erba, scriveva Ungaretti.

Eppure, i nomi dei medici e infermieri deceduti fanno un rumore assordante. Così come fa rumore il numero degli operatori sanitari contagiati, che costituiscono ormai il 10% del totale.

Di fronte a tantissimi operatori sanitari deceduti (ad oggi più di 330) e infettati in Italia e a tutti quelli costretti ad entrare in quarantena (tanto che molti reparti sono stati costretti a chiudere) si impone una riflessione seria sul fatto che ci sia qualcosa che non va nella protezione del personale. Tutto questo personale infettato non è dovuto “solo” dalla carenza di dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, occhiali, igienizzanti, ecc..) nella prima fase della pandemia, che non ha consentito di applicare il protocollo. La maggior parte dei grandi contagi li hanno causati pazienti pauci-sintomatici.

La storia di moltissimi episodi tristemente ripetutisi in molti ospedali è quella di pazienti entrati in ospedale per altri motivi, cui non si era inizialmente sospettato il coronavirus perché non avevano particolari sintomi suggestivi. Essi, solitamente anziani, si sono aggravati nei giorni successivi e quindi è stato pensato e diagnosticato il coronavirus. Nel frattempo avevano infettato un numero elevato di professionisti e talvolta anche di altri pazienti. A riprova di ciò vi è il fatto che i reparti coinvolti da questi importanti focolai epidemici sono stati principalmente quelli non in prima linea per la gestione dei casi di coronavirus.

Lo stesso per i Medici di Medicina Generale: molti si sono infettati da pazienti che avevano visitato per altri motivi clinici. Poi ovviamente ci sono tutti gli infettati perché lasciati a gestire casi sintomatici e altamente sospetti senza protezioni.

Tutto questo poteva accadere nei mesi di marzo ed aprile, quando non si era preparati (anche se si doveva esserlo). Ma non doveva avvenire assolutamente da settembre in poi.  

Se stiamo ancora perdendo tragicamente preziosissimi operatori sanitari perché si infettano significa che quello che stiamo facendo è sbagliato.

È illogico proteggere poco il personale sanitario esistente (già formato e con esperienza) e poi fare i bandi di assunzione urgenti di nuovo personale inesperto.

È illogica la corsa forsennata a mettere in funzione “ospedali covid” o nuovi posti nei reparti di rianimazione se poi ci si troverà senza personale per assistere i pazienti (oppure con molti di quei posti occupati da personale sanitario infettato).

In qualsiasi situazione di emergenza in cui c’è qualcuno da salvare la regola fondamentale è non far morire/ferire chi interviene per aiutare.

Il tema della sicurezza degli operatori sanitari deve essere una priorità di sanità pubblica, oggetto di una grande attenzione. Gli ospedali si sono attrezzati (più o meno) per far fronte alla pandemia, creando percorsi sporchi e puliti e dotando il personale dei dispositivi individuali di protezione adeguati al grado di rischio. Ma, oltre a distribuire mascherine in misura sufficiente per pazienti e personale, gli ospedali dovrebbero prevedere spazi adeguati e ventilati dedicati alle pause e ai pasti degli operatori sanitari, con procedure atte a minimizzare il contatto e la conversazione durante questi periodi ad alto rischio.

I ricoverati non dovrebbero condividere le stesse stanze, specie a fronte di un'elevata prevalenza locale dell'infezione; questo perché potrebbe essere possibile un ricovero in ospedale durante l'incubazione, resa più rischiosa dal fatto che i pazienti devono rimuovere le mascherine per mangiare.

Lo stesso si deve fare sul territorio, potenziando le USCA, le Unità speciali dedicate alla cura del Covid-19, che devono affiancare e supportare i medici di famiglia, i pediatri di libera scelta, i medici di continuità assistenziale, del 118, delle Rsa, gli specialisti ambulatoriali in un percorso di cura in piena sicurezza, per gli operatori e per gli assistiti.

E’ importante anche sottolineare che non bisogna trascurare l’aspetto motivazionale ed emotivo del personale sanitario, il quale in una situazione di enorme sovraccarico di lavoro e di stress ha dovuto e deve preoccuparsi sopra ogni limite accettabile anche di rischiare di ammalarsi. Personale sanitario che presenta anch’esso caratteristiche umane e quindi pensa ai propri familiari a casa cui non vuole portare l’infezione, al collega già infetto e trasferito in terapia intensiva, al virus che sa bene non uccidere solo pazienti anziani fragili. In queste situazioni bisogna fare di tutto per ridurre la probabilità di burn out degli operatori. E la percezione di essere protetti dall’infezione è il primo punto per andare nella giusta direzione.

La sicurezza è un diritto dei lavoratori, per i medici e gli operatori sanitari lo è in maniera particolare, in quanto è garanzia della sicurezza delle cure e dunque del diritto alla salute dei cittadini. I medici, gli infermieri, gli oss e tutti gli altri operatori sanitari hanno il diritto di curare e assistere i loro pazienti, e di poterlo fare in piena sicurezza.

Non possiamo più permettere che i nostri medici, i nostri operatori sanitari, siano mandati a combattere a mani nude contro il virus. È una lotta impari, che fa male a noi, fa male ai cittadini, fa male al paese.

                                                                                                                                                             Mino Dentizzi