La nostra Lidia

IL RICORDO. «Ci raccontava che da staffetta partigiana portava nella borsa (li portava anche addosso, a contatto con la pelle per tenerli caldi) esplosivi destinati non a uccidere persone ma a far saltare i ponti e impedire l’avanzata delle truppe tedesche. E per camuffare ciò che portava nel cestino della sua bicicletta, compagna dei suoi spostamenti, lo copriva con un libro per dire, quando la fermavano, che andava a studiare con un’amica. E il libro era le Tusculanae disputationes di Cicerone.»

La nostra Lidia
La partigiana Lidia Menapace

Lidia Menapace non c’è più. Magari eravamo fisicamente lontane, ma per noi lei c’era sempre, era lì a ricordarci una presenza forte, vigile, dolcemente rigorosa.

Lei amava il Sud, e noi da Napoli a Bari, fino a Otranto, l’abbiamo sempre voluta alle nostre iniziative, così come è successo fino a Reggio Calabria e nelle città siciliane; così come amava incontrare compagne e compagni del Nord, da Trento a Trieste, fino all’area di confine con l’Est europeo, dell’Italia centrale e ancora da Bologna ad Aosta.

Era invitata permanente alla scuola di politica promossa dal Forum delle donne della Rifondazione Comunista, che si svolgeva ai primi di settembre, ogni anno, generalmente a Paestum sulla riva del mare. Ma siamo state con lei anche nel “grido” Fuori la guerra dalla storia, nella Convenzione di donne contro le guerre, nelle iniziative su Rosa Luxemburg mentre ci insegnava “la sua Rosa”.

A Napoli in Piazza Dante, a Bari vecchia con l’Anpi per Benedetto Petrone, a Carovigno e alla Libreria Laterza di Bari, nelle università e nelle piazze d’Italia, da Palermo a Novara, nelle varie presentazioni di libri o dibattiti, a parlare a migliaia di giovani studenti di tutt’Italia, sempre accompagnata dal fazzoletto triangolare della Val D’Ossola ad insegnare la Resistenza a difesa dell’amata Costituzione.

Sempre con lei contro le sfilate ‘armate’ del 2 giugno e le ‘parate’ delle Frecce tricolori che osò criticare pur essendo candidata a presidente della Commissione Difesa del Senato.

Ancora alle assemblee dei Social forum mondiali sempre presente con il suo corpo minuto, il suo dolce sorriso disarmante e rivoluzionario, il suo sguardo ironico e autoironico, decisamente travolgente.

Ci raccontava che da staffetta partigiana portava nella borsa (li portava anche addosso, a contatto con la pelle per tenerli caldi) esplosivi destinati non a uccidere persone ma a far saltare i ponti e impedire l’avanzata delle truppe tedesche. E per camuffare ciò che portava nel cestino della sua bicicletta, compagna dei suoi spostamenti, lo copriva con un libro per dire, quando la fermavano, che andava a studiare con un’amica. E il libro era le Tusculanae disputationes di Cicerone.

Raccogliemmo migliaia di firme perché fosse nominata senatrice a vita, ma il presidente Giorgio Napolitano guardava altrove.

Lidia non hai mai fatto nulla di dogmatico, è stata sempre aperta al confronto. Ma era – come è rimasta – partigiana, perché Lidia è sempre stata di parte. Già allora aveva scelto.
Una famiglia d’origine a sostegno della Resistenza, con sua sorella Isa e ancora una scelta di parte nel decidere di andare a vivere a Bolzano con il marito Eugenio, detto Nene, così come quella di proporre con lui uno scambio dei cognomi: lei Lidia Brisca Menapace, lui Eugenio Menapace Brisca.

Femminista, pacifista, comunista, tre scelte non accostabili in maniera automatica. Ma erano scelte che lei viveva insieme.
Aveva scelto da che parte stare. E non ha mai cambiato.
Pugni chiusi verso il cielo. 
A te, con te, COMPAGNA BRUNA.

Imma Barbarossa – Bari
Maite Iervolino – Napoli 
Loredana Marino – Salerno
Roberta Corradini – Trento 
Geni Sardo – Trieste