«Lettera a Denise»

SPECIALE LEA GAROFALO. Le Opere dei Ragazzi. Da oggi, fino ad esaurimento dei lavori, iniziamo a pubblicare le straordinarie composizioni degli Studenti che hanno partecipato alla prima edizione del Premio Nazionale dedicato alla FIMMINA CALABRESE, la donna che sfidò la schifosa 'ndrangheta. Per non perdere la memoria nel Paese senza memoria.

«Lettera a Denise»

La storia di Lea Garofalo, una donna, una madre, una calabrese tenace nel trentennale delle stragi di mafia.

 

Cara Denise,

mi chiamo Rachele e da quest’anno frequento il liceo artistico “Fausto Melotti” a Lomazzo. La scuola collabora con il Comune a un progetto per la sensibilizzazione del paese contro le mafie. Come prima attività abbiamo affrontato la storia della tua famiglia e approfondito la vita di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

Prima che il signor Pino Cassata ci illustrasse l’argomento, ignoravo che queste organizzazioni ci fossero anche nel mio paese e in quelli confinanti. Come tanti, credevo che esistessero soltanto al Sud.

La vostra vicenda mi ha commosso molto e mi ha fatto riflettere. Il solo fatto di continuare a spostarvi in diversi paesi deve averti segnato tanto.  La sensazione di sentire questo mondo troppo stretto, la tensione di non poter abbassare la guardia, devono essere state opprimenti e soffocanti. Impensabile il presentimento di non essere mai al sicuro.

Mi è rimasto impresso un particolare: quando tua madre ti disse che dovevate fingere per un po’ di essere qualcun altro. Senza accorgercene lo facciamo spesso, cerchiamo di assomigliare agli altri, per non essere etichettati come i “diversi”.

Invece tu, proprio la persona che aveva capito quanto è speciale essere diversi, sei stata costretta ad abbandonare te stessa, il tuo nome, recitando una parte per salvarti.

Voi mi avete fatto capire che talvolta abbiamo bisogno di essere la “pecora nera”, che a volte dobbiamo uscire dagli schemi, per vedere il mondo da una diversa prospettiva. Infatti, è proprio questo andare contro le regole che ha “salvato” entrambe, salvato da una vita di odio e dai pregiudizi. Tu inoltre mi hai insegnato che in alcune situazioni dobbiamo essere forti, affinché non si ripeta quanto successo a voi.

Spesso cerco di essere forte e di lasciare scorrere quello che accade, ma non siamo invincibili, crollano anche gli audaci.

Io ho trascorso tre anni bruttissimi. I miei compagni mi prendevano in giro perché studiavo tanto. Mi sentivo sempre in difetto e fuori luogo.

Però, anche se tutto sembrava crollare, avevo dei punti di riferimento, mia madre e mio padre.

Loro, sapevo che ci sarebbero stati sempre, per darmi forza e per sconfiggere le mie paure.  E’ proprio vero che le madri sono sempre quelle persone che si mettono davanti a te per fare da scudo dal mondo esterno.

Come la notte quando sono arrivati i carabinieri ad arrestare tuo padre e tua madre ti ha stretto a sé, come se con quell’abbraccio potesse proteggerti ancora una volta dalla crudeltà del mondo in cui vivevi. Forse in quell’abbraccio sei riuscita a dare un senso alla parola casa, perché come si dice: “Casa non è un luogo, ma la persona che c’è nel momento del bisogno”.

Pensare che lì, in quel momento, c’era tutto il tuo mondo e che ti è stato portato via, mi ha fatto pensare a quanto io sono fortunata e a quanto i piccoli gesti possano cambiare la vita di una persona.

Non riesco neanche a ipotizzare quanto questo ti manchi.

Spesso le persone dicono “Ti capisco” o “Posso immaginarlo” quando stai male o quando stai attraversando un momento complicato, cercando di sdrammatizzare la tua situazione, paragonandola alla loro.

Sembra che facciamo sempre una gara a chi sta peggio, minimizzando i problemi altrui. Io non posso dirti “Riesco a immaginare cosa stai passando”, perché, se lo dicessi, mentirei.

Mi risulta difficile mettermi nei tuoi panni.

Fatico a immaginare le tue paure, il tuo dolore, perché troppo grandi per me.

Mi chiedo, inoltre, dove hai trovato la forza di denunciare i tuoi parenti, il tuo fidanzato che amavi, tuo padre… andare contro tutto e tutti, lottare per dare giustizia a tua madre.

Penso che proprio questo sia il tuo insegnamento: a volte bisogna essere determinati e coraggiosi per forza, per far sì che l’impegno, in questo caso di tua madre, non sia nullo, che il vostro sacrificio non sia vano. Lei ti ha lasciato tutto quello che aveva: quello spirito combattivo che solo tu potevi utilizzare. Lea con la morte ha perso la battaglia, ma voi insieme avete vinto la guerra, avete aperto gli occhi al mondo, dimostrando quanto rumore fa una voce fuori dal coro.

Saluti con grande affetto.

Rachele Bordone

Liceo Artistico "Fausto Melotti", Sez. Lomazzo (Co)