Maresca: «Pasquale Zagaria è la mafia casalese»

INTERVISTA. "Il grave errore del Dap è stato considerare Zagaria in maniera burocratica e non una situazione particolare di grave allarme".

Maresca: «Pasquale Zagaria è la mafia casalese»

Gli ultimi giorni stanno vedendo aumentare sempre più il numero di detenuti al 41bis che escono dal carcere, il provvedimento che più ha destato scalpore è stato sicuramente quello di Pasquale Zagaria, esponente dei Casalesi arrestato nel 2011 a Parma (che era diventato uno dei centri economici del clan), fratello di uno dei maggiori boss del clan dei Casalesi Michele Zagaria.

Tra gli obiettivi del clan c’erano i magistrati Franco Roberti, Alessandro Milita, Cesare Sirignano e Catello Maresca, il magistrato che ha arrestato Michele Zagaria.

Abbiamo intervistato il giudice per fare chiarezza su quanto sta accadendo e su questo punto ha chiarito in maniera netta e precisa: «Io resto solo sul dato tecnico, da uomo delle istituzioni – ha sottolineato durante l’intervista - non scendo nella bagarre delle tifoserie o dei partiti, non mi interessano. Ho una certa esperienza operativa, un ruolo istituzionale e accademico che mi consentono di fare valutazioni tecniche».

Il 17 aprile abbiamo pubblicato la notizia, poi ripresa da molti altri organi di informazione, degli insulti e degli auguri di morte a Maresca e Nicola Gratteri pubblicati su Facebook. Notizia che ha suscitato una grande catena di attestati di stima e solidarietà nei confronti dei due coraggiosi magistrati da parte di esponenti delle istituzioni e della politica, associazioni, comitati e giornalisti. «Ho avuto attestati di stima e solidarietà da tutto l’arco costituzionale con un sostegno assolutamente trasversale»,  ha sottolineato Catello Maresca che, già all’indomani delle rivolte nelle carceri, aveva lanciato i primi allarmi sui rischi che si potevano correre.

Il giudice aveva posto l’attenzione su cosa poteva accadere dopo la circolare del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) del 21 marzo, ponendo ben precise proposte. «Dispiace constatare che io venga minacciato quasi fossi il carnefice dei detenuti. I detenuti devono essere tutelati, la loro salute va tutelata. Non essendo stata tutelata dal DAP si è creato questo corto circuito, se fossero state adottate dall’inizio le necessarie misure non si sarebbe arrivati a questa situazione».

Allarmi e proposte hanno avuto vasta eco mediatica. Addirittura Fratelli d’Italia sarebbe pronta a proporgli la candidatura alle prossime regionali. «Sono un magistrato e ho assoluto rispetto della mia funzione e del mio lavoro, non c’è nulla di fondato in queste ipotesi e non so da dove possano essere uscite. Non ho mai ricevuto offerte e non ne ho nessuna intenzione, come già ribadito in passato. Sono un magistrato e continuerò a fare il magistrato. Tutto quello che faccio lo faccio orgogliosamente da magistrato».

Ha destato molto scalpore nei giorni scorsi la concessione dei domiciliari al boss dei casalesi Pasquale Zagaria. Chi è Pasquale Zagaria?

«Pasquale Zagaria, sulla base delle sentenze passate in giudicato che ne hanno accertato ruolo, compiti e funzioni nell’ambito del clan dei casalesi, è la mafia casalese. Zagaria è tra coloro che è riuscito a trasformare la mafia casalese in mafia imprenditoriale. Ha consentito al fratello Michele di diventare il capo indiscusso del clan lasciandolo sedici anni in latitanza e di scalare il vertice, ha accumulato condanne per oltre vent’anni di detenzione, stava in regime di 41bis perché continuava dal carcere a dirigere il clan ed inviare messaggi all’esterno. Questo quadro dimostra perché doveva continuare a scontare la pena al 41bis. Il radicamento del clan, tramite Zagaria, nel nord Italia è stato certificato dall’operazione Normandia e prima ancora il processo sul tratto della TAV Nola-Villa Literno.

L’operazione Normandia accertò l’approdo del clan dei Casalesi dal meridione nel nord, così chiamata proprio ad indicare lo sbarco dei casalesi nel settentrione con interessi in Emilia Romagna e Lombardia».

Sebastiano Ardita nei giorni scorsi ha realizzato un video appello per costruire un fronte comune Antimafia in questo momento per tanti versi sconcertante e in cui ci sono segnali di arretramento sul fronte della lotta alle mafie, quale riflessione si può trarre?

«Sebastiano Ardita è uno dei colleghi più attenti, è amaro constatare tra i pochi a cui si aggiunge tanto associazionismo e impegno della società civile fortunatamente. Temo che non ci sia le condizioni per creare un fronte comune che sarebbe assolutamente necessario, servirebbe assolutamente una diga molto robusta contro il dilagare della prepotenza mafiosa. Vedo però purtroppo scarsa sensibilità».

Le scarcerazioni dei boss hanno suscitato clamori e nel dibattito si è fatto riferimento al decreto «cura Italia», che sembra ormai chiaro non ha avuto alcun ruolo, e sulla circolare del DAP del 21 marzo. Può chiarire la situazione e quale ruolo ha in questa vicenda la circolare?

«La mia lettura da studioso, dopo aver letto, riletto e approfondito da professore universitario, è che sicuramente il decreto Cura Italia non ha alcun ruolo: è previsto per alcuni detenuti che devono scontare un minimo residuo di pena ed esclude i detenuti considerati più pericolosi. La circolare del DAP ha un ruolo nella misura in cui ha contribuito a creare confusione. È dal 9 marzo, dopo le sommosse nelle carceri, che ho indicato pericoli di varia natura tra cui, per esperienza e a rigor di logica, quelli che derivano dal creare allarmismo sulla situazione.

Davanti a questo tutti i detenuti, dal 41 bis al detenuto per i reati meno gravi, hanno l’aspettativa di tornare a casa per evitare il contagio e così i tribunali sono stati sommersi da istanze di scarcerazione o concessione degli arresti domiciliari. Istanze basate sul timore di contagi e dei rischi connessi a pregresse patologie.

La circolare ha influito in maniera sostanziale e indiretta, richiamata nell’ordinanza per Zagaria, in cui è stato chiesto ai direttori dei penitenziari di segnalare immediatamente all’autorità giudiziaria per le sue determinazioni i detenuti con patologie pregresse, elencandole basandosi su uno studio sanitario giunto da una struttura detentiva di Viterbo.

I tribunali sommersi da queste istanze, per il 99% da parte dei detenuti e per la restante parte direttamente dai penitenziari, in alcuni casi hanno chiesto approfondimenti sulla situazione del detenuto e del carcere, in altri casi basandosi legittimamente sulla circolare del DAP hanno deciso per rimandare a casa i detenuti. C’è anche da considerare che questa circolare di fatto ha scaricato le responsabilità sui giudici, con questa circolare anche la responsabilità di gestione amministrativa è ricaduta su di loro. Responsabilità che è esclusivo dell’organo amministrativo ovvero il DAP, non può essere del giudice che ovviamente non può andare in un penitenziario e dare disposizioni al direttore del carcere sulla tutela della salute dei detenuti.

Addossare la responsabilità amministrativa del carcere ai magistrati è stato un errore da parte del DAP: scrivere ai direttori di indicare chi ha patologie pregresse si è letteralmente spogliato delle sue responsabilità. Si è creato un effetto domino che non può essere scaricato sui giudici che hanno altre responsabilità ma non sulle condizioni del carcere. Se i penitenziari fossero stati attrezzati adeguatamente, va sottolineato perché i giudici non hanno improvvisamente tutti cominciato a sbagliare insieme come sembra credere l’opinione pubblica, non saremmo arrivati all’attuale situazione: per i giudici questa era l’unica modalità di tutela della salute, quella tutela della salute che non è riuscita al DAP che non ha attuato le adeguate strategie».

Nel provvedimento di concessione dei domiciliari a Zagaria il Tribunale di Sorveglianza riporta di aver scritto al DAP senza aver avuto risposte, pare che sia arrivata solo dopo che il provvedimento è stato emesso, può chiarirci le dinamiche dei fatti?

«Pasquale Zagaria è una variante rispetto a questo quadro in quanto non sarebbe riuscito a trovare il luogo in cui curarsi dopo un’operazione. I suoi difensori avevano chiesto il suo trasferimento in una struttura sanitaria idonea già a gennaio, molto prima dell’emergenza sanitaria, e il DAP non si era attivato per l’attività di prevenzione di sua competenza.

Il tribunale di sorveglianza ha svolto quattro udienze, normalmente se ne svolgono una o al massimo due: con ulteriori rinvii il tribunale di sorveglianza si sarebbe addossato responsabilità non sue in caso di aggravamento o morte di Zagaria. Il Dap doveva indicare dove trasferire Zagaria, risposte interlocutorie non erano la risposta. Quando arriva, come ho detto al responsabile del DAP Basentini domenica sera durante la trasmissione televisiva «Non è l’Arena», un’istanza su Pasquale Zagaria non può essere incasellata in maniera burocratica, è una situazione particolare di grave allarme. Questo è stato il grave errore del DAP, se ci sono difficoltà devono essere superate, il loro ruolo è questo. È lo sconcerto dell’ambiente lavorativo di fronte ad una difficoltà operativa di questo tipo, in poche ore possono essere trasferiti fior fiore di detenuti».