Funerale Campobasso, contagi in tre comuni abruzzesi. Tentativi intimidatori a Rancitelli

Contagi dopo il funerale del 30 aprile a Campobasso a Vasto, Pescara e Lanciano. Nessuna zona rossa a Vasto ma sorveglianza rafforzata. A Rancitelli dopo la notizia del contagio striscioni intimidatori contro la stampa. Mentre degrado e criminalità rioccupano spazi.

Una settimana dopo le prime notizie si definisce il quadro dei contagi in Abruzzo dopo la partecipazione, in violazione delle norme per il contenimento della pandemia, al funerale del 30 aprile scorso a Campobasso.

A Vasto gli ultimi dati resi noti hanno portato a 26 le persone contagiate (tra cui anche bambini in tenera età) nel quartiere San Paolo, in via Sant’Onofrio e via Madonna dell’Asilo, contagiato anche la dipendente di un supermercato di un comune vicino mentre il tribunale è stato sanificato e sono state bloccate le udienze dopo la notizia che una delle persone contagiate vi si è recata per lavoro nei giorni scorsi.

Dopo la dura presa di posizione di Francesca Di Credico (presidente del comitato di quartiere «Per una nuova Rancitelli») e del parroco don Massimiliano la prima notizia, confermando quanto da noi scritto già nelle ore precedenti, è stata di quattro contagiati nel quartiere pescarese di Rancitelli (al di fuori del complesso noto come «Ferro di Cavallo») e dopo la riunione del Comitato Provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica la notizia diffusa (riportata da testate locali) è stata che sarebbero due sarebbero le persone contagiate (moglie e marito), anche se in serata il sindaco Masci ha fatto riferimento ad un solo caso, e ci sarebbero altri cinque asintomatici.

Nella giornata di lunedì sono arrivate conferme alla notizia di sei contagi anche in una palazzina del quartiere Santa Rita di Lanciano. Tutti casi conseguenza della partecipazione al noto funerale di Campobasso del 30 aprile scorso.  Una partecipazione che pone forti interrogativi: come è stato possibile che da Pescara, Lanciano e Vasto (e non abbiamo certezza che non siano partiti anche da altri Comuni) si sono recati e tornati da Campobasso senza essere stati fermati? I droni che dovevano controllare da Pescara a Vasto hanno visto qualcosa? Se non hanno visto come è stato possibile?

A Vasto il Centro Operativo Comunale e il Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza hanno deciso la strada di una sorveglianza rafforzata, rimandando  ad eventuali aumenti dei casi nei prossimi giorni la possibilità di istituire una zona rossa, come ipotizzato in un primo momento dal sindaco Francesco Menna. Lo stesso sindaco ha annunciato che sporgerà denuncia per la diffusione sui social di «dati, compresi nomi, cognomi e residenza di persone che sono state contagiate dal Covid19». Su facebook, come abbiamo già riportato, si stanno riversando la paura e la rabbia e l’indignazione di molti cittadini vastesi, alcuni sostengono addirittura (il sindaco ha invece varie volte rassicurato che la sorveglianza è stata addirittura rafforzata) di non aver visto in diverse ore nessuna sorveglianza  mentre molti puntano il dito sul degrado e sugli episodi criminali di questi anni, a partire dallo spaccio di stupefacenti alimentato da «clienti» non solo di Vasto ma anche da comuni limitrofi. Cosa è accaduto in queste settimane? Nonostante il lockdown, la domanda che serpeggia, lo spaccio è continuato? È possibile siano venute persone anche da comuni vicini? Con quali rischi? Su facebook crescono i post e i commenti di cittadini che affermano di aver visto residenti della palazzina dei contagiati frequentare supermercati e altre zone della città.

L'arretramento a Rancitelli e le denunce continue (inascoltate!) dei cittadini.

In questi due mesi lo Stato e la cittadinanza hanno perso terreno – l’allarme che Di Credico aveva lanciato già nell’intervista che abbiamo pubblicato lo scorso 2 maggio - e la criminalità ha riconquistato spazi. I ripetuti fuochi d’artificio (su facebook c'è chi ha segnalato che, per esempio, lo «spettacolo» dell'8 maggio si vedevano fino a Spoltore) sono stati solo un segnale dello sfregio di ogni interesse pubblico e delle regole, fuochi che – come abbiamo riportato nel primo articolo di sabato scorso – secondo diverse segnalazioni che abbiamo ricevuto sarebbero avvenuti anche a Vasto. Una delle preoccupazioni maggiori è rappresentata dalla possibilità che persone risultate contagiate potrebbero aver continuato a muoversi, a spostarsi all’interno dei comuni o addirittura fuori e aver avuto contatti con altre persone.

Significativo un episodio avvenuto sabato, nelle ore in cui sono stati resi noti il numero maggiori di casi a Vasto e i quattro pescaresi: su facebook c’è chi ha scritto che, in barba alle disposizioni normative, da Rancitelli si sarebbe recata a Vasto (cosa che poi non dovrebbe esser avvenuto) per incontrare i «coniugi» ovvero la madre e il padre, a chi gli ha fatto notare che prima del 18 maggio (il post è di due giorni prima) non è consentito ha replicato «a me e sempre stato 18 maggio ricorda» aggiungendo una risata.  

Rancitelli dovrebbe essere priorità per la difesa legalità e della convivenza democratici.

Spostamenti e violazioni delle norme che ci riconducono, come sottolineato in questi giorni da Francesca Di Credico, al vero cuore della realtà e che va oltre il contagio: criminalità e degrado diffusi, violenze, racket delle case popolari e spaccio che non si sono mai fermate, solo la settimana scorsa è stato stroncato un vasto giro di narcotraffico che da Rancitelli giungeva in vari comuni della Provincia di Chieti.

Sulla pagina facebook «Case popolari» il 30 aprile è stato pubblicato il video allegato a quest'articolo che documenta in maniera eloquente la realtà, non serve neanche commentare perché le immagini e le parole di un pestaggio contro una persona debole e inerme gridano da sole. Fatti che ci riportano alla realtà concreta, al di là di speculazioni politiche e frasi di circostanza piovute copiose anche in questi giorni, dinamiche identiche a quelle che hanno portato i Casamonica (partiti tra l’altro da Campobasso e dall’Abruzzo) alla conquista di Roma: a Rancitelli e nella provincia teatina sono sempre attive altre famiglie (anche se probabilmente il termine più corretto sarebbe clan), imparentate e collegate tra loro, che egemonizzano traffico di droga, estorsioni, usura e altri reati violenti e feroci: Ciarelli, Di Silvio, Spinelli, De Rosa, Bevilacqua e altri a loro imparentati. esponenti di queste famiglie quasi a monopolizzare le cronache e le attività criminali.

Ben collegati con le reti presenti in Abruzzo, con la Capitale, le mafie pugliesi ed altri territori. Come abbiamo raccontato in questi mesi, anche durante il lockdown ci sono stati arresti per droga: il 21 aprile un arresto è avvenuto a Casalbordino, sono state diffuse solo le iniziali dell’arrestato ma D.R. riporta ad un cognome inequivocabile, quello della «famiglia» monopolista del narcotraffico paesano da decenni che è tra i citati in questo paragrafo.  

In Abruzzo esiste anche se molti fanno finta del contrario un mafioso «mondo di mezzo»

Lo ribadiamo ancora una volta: l’integrazione, l’etnia, le culture non c’entrano assolutamente nulla e un cognome o un’appartenenza  non sono marchi d’infamia, avere un certo cognome non porta a nessun automatismo. La questione è sociale, di legalità democratica, di rispetto della convivenza civile, tutti messi a rischio da reati, violenze, prepotenze, gang. Il 2020 a Rancitelli è iniziato con un omicidio conseguenza di un violento pestaggio che, secondo le dichiarazioni degli inquirenti nelle ore successive, era stato frutto di una spedizione punitiva legata alla droga. Il 18 maggio su un ponte vastese è sbucato uno striscione inneggiante ad una città «libera» e che rifiuta i ghetti.

Lo ribadiamo ancora una volta: non sono il rispetto delle regole, il rifiuto del narcotraffico, della violenta prepotenza, del racket e del degrado a creare ghetti ma questi atti che in altri luoghi d’Italia e con ben altra coscienza e coraggio vengono definiti mafiosi. L’ultima conferma in ordine cronologico che l’Abruzzo è immerso nel paese sporco delle mafie è arrivato durante la stesura di quest’articolo: tre arresti tra Roseto degli Abruzzi e Castello di Cisterna (provincia di Napoli) per l’attentato del 5 febbraio scorso ad una pizzeria di Roseto, tra i reati contestati dalla Direzione Distrettuale Antimafia la «tentata estorsione mediante l’utilizzo del metodo mafioso».

Intimidazioni contro chi racconta e apre gli occhi sulla realtà.

Striscioni, nettamente intimidatori, sono apparsi anche a Rancitelli con frasi contro la «persecuzione» e i giornalisti. Un certo vittimismo e lamentele contro presunte persecuzioni, l’abbiamo visto anche con i tanti episodi di insulti e minacce ai magistrati antimafia da noi denunciati in questi mesi, sono una caratteristica di ambienti criminali che si credono impuniti e autorizzati a tutto. Anche qui vale il paragone con l’ascesa dei Casamonica a Roma e gli Spada ad Ostia, basta rileggersi libri, inchieste e reportage, cambiare i cognomi e le stesse frasi valgono senza necessità di nessuna modifica.

Un altro striscione insulta la stampa definendo il giornalismo che sta facendo il suo dovere, riportando la verità dei fatti e squarciando i veli dell’omertà, «terrorista». Anche questa una frase che rimanda a tanti episodi e contesti criminali di questi anni, dalle curve infiltrate dalla ‘ndrangheta e dalle altre mafie alle periferie dove le gang e il degrado criminale cercano d’imporsi: terrorista viene definito il giornalista che approfondisce, documenta, denuncia, che accende i riflettori lì dove clan e gang criminali vorrebbero calasse solo il silenzio omertoso a protezione delle loro violenze, abusi e crimini. Striscioni condannati con forza dal Sindacato Giornalisti Abruzzesi che in un comunicato ha ribadito che «continuerà a vigilare e a difendere, con le armi della denuncia pubblica e della testimonianza, il lavoro dei giornalisti abruzzesi. Le notizie sui casi di contagio all’interno della comunità rom rispondono in questa fase a criteri di obiettività e interesse pubblico».

 

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