PORTELLA della GINESTRA, la prima Strage di Stato

SENZA MANDANTI. Sono passati 73 anni e resta il mistero. La prima strage di Stato per spazzare via il pericolo comunista. I mandanti non sono stati mai individuati. E gli esecutori? I processi hanno certificato tutto? Chi era presente insieme alla banda di Giuliano? Chi sapeva e sedeva ai piani alti delle Istituzioni dello Stato? Pisciotta per quale ragione è stato avvelenato? Sarà mai possibile arrivare alla verità? Che ruolo ha avuto Cosa nostra? E l'estrema destra? Gli americani? E i Servizi? Lo Stato?

PORTELLA della GINESTRA, la prima Strage di Stato

Il 1° maggio del 1947 per solennizzare la festa del lavoro, seguendo una vecchia tradizione, convenivano, sin dalle prime ore del mattino, in località Portella della Ginestra, a sud-est di Piana degli Albanesi, sulla vallata circoscritta dai monti Cometa e Pelavet, parecchie centinaia di cittadini aderenti ai partiti di sinistra dei comuni di Piana degli Albanesi, S.Giuseppe Jato e S.Cipirrello, tra cui anche donne e bambini.

Erano le 10,30 circa quando quella folla si radunò festeggiante attorno ad un podio costituito da uno sperone di roccia, per ascoltare la parola degli esponenti locali dei partiti socialista e comunista.

Proprio allora dalle pendici del Pelavet, a mezza costa, fu aperto un fuoco d’armi automatiche su quella massa di convenuti. La folla, pervasa da panico, cercò scampo nella fuga, rifugiandosi nelle anfrattuosità del terreno mentre alcuni cadevano uccisi e molti altri feriti. Non furono pochi coloro che rimasero malconci, travolti nella corsa. Gli spari si protrassero per circa un quarto d’ora.

Ad undici assommarono le vittime e a ventisette i feriti. Il folle, criminale gesto destò l’unanime indignazione in tutta la nazione. Le forze di polizia accorsero prontamente e si accertò innanzitutto ancora, da parte del Giudice Istruttore, che si era sparato, a mezza costa, dal Pelavet servendosi di sei postazioni e che le armi usate furono i fucili mitragliatori Breda 30 cal. 6,5, moschetto modello 91 cal. 6,5, moschetto automatico e mitra Beretta cal. 9, carabina americana, fucile a ripetizione Enfield, fucile mitragliatrice Bren, tutte armi efficienti alla distanza di 530 metri, che è quella intercorrente tra le postazioni, ai piedi delle quali vennero rinvenuti i caricatori e bossoli e il podio attorno al quale era radunata la folla.

Le prime indagini si svolsero in un atmosfera infuocata mentre vivaci erano le polemiche tra le contrapposte fazioni e vennero operati centinaia di fermi in base a semplici sospetti di carattere generico. La voce corrente nel pubblico indicava quali autori dell’eccidio «i Romano e i Troia», cioè gli esponenti dell’anticomunismo.

Il grido «sono stati i Romano e i Troia» era stato lanciato dalla moltitudine ancora sconvolta sulla via del ritorno da Portella della Ginestra. Il giorno 2 maggio il sindaco di San Giuseppe Jato, Biagio Ferrara segnalava agli organi di Polizia l’opportunità di assumere in esame il dodicenne Cusimano Rosario che aveva fatto in paese delle importanti propalazioni circa gli autori dell’eccidio. Il Cusimano dichiarava che il 1° maggio era stato a Portella della Ginestra e subito dopo la strage, avviatosi da solo attraverso i campi per raggiungere lo stradale di San Giuseppe Jato, pervenuto nei pressi di un casamento, aveva visto passare a brevissima distanza, a circa 50 m. («quanta ne intercorre tra il municipio e la caserma dei carabinieri di S. Giuseppe Jato» — cosi egli poi si espresse) tre individui armati, due di mitra e uno di fucile, che riconobbe per Troia Giuseppe, Romano Salvatore, e Marino Elia i quali provenivano a suo dire dalle pendici del Pelavet diretti verso lo stradale.

Agli stessi verbalizzanti il giovane Borruso Alberto riferiva che il 1° maggio si era recato a Portella col suo carro carico di circa duecento razioni di pane ed altro che avrebbe dovuto essere distribuito dal Comitato organizzatore della riunione ai compagni poveri; che inoltratosi nei campi verso i costoni del Pelavet per raccogliere l’erba al suo animale, aveva avuto modo di riconoscere, mentre durante sparatoria si era riparato dietro una roccia, un individuo che sparava sulla folla, essendosi questi spostato da un posto all’altro del Pelavet, per Grigoli Benedetto inteso Troia. Ugo Bellocci, Calogero Caiola, Angelo Randazzo e Rumore Angelo i quali, recatisi a Portella della Ginestra, si erano appartati ad un chilometro circa dal luogo dove era radunata la folla, assieme alla prostituta Maria Roccia, dichiaravano alla loro volta che dopo l’eccidio avevano visto allontanarsi dal Pelavet dodici armati così divisi: due avanti, seguiti da tre, quindi altri tre e poi due e ancora altri due; tutti individui a loro sconosciuti. Uno di costoro indossava un impermeabile chiaro e si udì una voce ripetere: «Disgraziati chi facistivu».

Avevano successivamente notato nello stradale un’autovettura e un autocarro diretto a San Giuseppe Jato. L’undici maggio del 1947 il sedicenne Faraci Menna affermava che avvenuta la strage, di ritorno in paese, aveva visto Troia Giuseppe, transitare su un’altura rocciosa sita tra lo stradale e i contorni del Pelavet. Anche il tredicenne Scaduto Alvaro che si trovò in contrada Ginestra il 1° maggio disse l’indomani, di aver visto mentre si recava alla riunione, tre persone che correvano in direzione di detta contrada e in una di esse ebbe l’impressione di riconoscere uno dei fratelli Romano di cui non seppe precisare il nome (f. 38, fasc. A).

Si accertava che il 28 Aprile 1947 in contrada Kaggio si era tenuta una riunione alla quale avevano partecipato i Troia, Gambino Giovanbattista, Cucchiara Pietro, Bernardo Puleo, Giuseppe Riolo, Francesco Pardo ed alcuni pastori di S. Cipirrello, Piana e San Giuseppe Jato.

Voci correnti nel pubblico aveva definito quella una riunione di mafiosi nella quale sarebbe stato deciso di consumare la strage del 1° maggio. Senonché risultò che la riunione era stata tenuta per discutere circa una questione di estagli. Molte altre voci correnti nel pubblico si raccolsero. Alcuni riferirono circa larvate minacce contenute in discorsi di esponenti locali dei partiti di destra. Salvatore Celeste, presunto capo della mafia locale, in un comizio tenuto a San Cipirrello aveva detto che se il blocco del popolo avesse riportato una vittoria nelle elezioni regionali molto sangue comunista sarebbe stato sparso.

Maiolo Rosalia in Norcia da San Giuseppe Jato vide la mattina del 1° maggio 1947 i fratelli Giuseppe e Salvatore Romano conversare con Giuseppe Troia e udì uno dei due Romano dire: «sarebbe cosa stamattina di pigghiari una mitragliatrice e lasciarli tutti lì». L’ingegnere Dionisio Masi, oggi defunto, in occasione della raccolta di somme di denaro per i festeggiamenti in onore di San Giorgio in Piana degli Albanesi, avrebbe detto che i partiti di destra erano intenzionati a farla finita una buona volta con i comunisti e ad un certo punto avrebbe soggiunto: «chissà che questi denari raccolti con la festa di San Giorgio non serviranno per comprare le medicine».

Di seguito a tali primi accertamenti, il 15.5.47, l’Autorità Giudiziaria emetteva un mandato di cattura a carico di Troia Giuseppe, Romano Salvatore, Marino Elia e Grigoli Pietro che sin dal 1° maggio erano stati fermati dalla Polizia. Nella stessa giornata del 1° maggio 1947 era misteriosamente scomparso dall’ex feudo Strasatto di Monreale, ove prestava servizio di vigilanza, in qualità di campiere, Busellini Emanuele da Altofonte. Acquaviva Domenico riferiva alla Polizia di avere visto il Busellini, alle ore 13.00 del 1° maggio, in località Presto tra un gruppo di circa dodici armati e contrariamente al suo solito non portava il fucile. Li vide scomparire dietro una collina. La località Presto confina con Portella della Ginestra. Evidentemente quel gruppo di armati, commessa la strage di Portella della Ginestra, aveva sequestrato il Busellini per eliminare un teste a loro carico.

Il 22 giugno del 1947, in località Cozzo Busino di contrada Cannavera, in una buca profonda circa 80 m. veniva rinvenuto il cadavere del Busellini. La morte era stata causata da colpi d’arma da fuoco che avevano leso il cuore e risaliva almeno a 40 giorni avanti. Il Busellini era un valido collaboratore della Polizia. Addosso al cadavere veniva rinvenuto tra l’altro un biglietto a firma del brigadiere Buscassera comandante della stazione di Portella della Paglia con la scritta «Caro Emanuele vi prego venire in caserma che vi debbo parlare. Portella, lì 2.4.47 ore 15.20». Detto biglietto era riconosciuto dal Brigadiere Buscassera che dichiarava di averlo indirizzato appunto ad Emanuele Busellini.

Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Palermo [Descrizione dei fatti e motivazione della sentenza di rinvio a giudizio] 27.10.1948

Le undici vittime:

Margherita Clesceri (47 anni)

Giorgio Cusenza (42 anni)

Giovanni Megna (18 anni)

Francesco Vicari (23 anni)

Vito Allotta (19 anni)

Serafino Lascari (14 anni)

Filippo Di Salvo (48 anni)

Giuseppe Di Maggio (12 anni)

Castrense Intravaia (29 anni)

Giovanni Grifò (12 anni)

Vincenzina La Fata (8 anni)

L’eccidio di Portella della Ginestra non restava unico episodio, l’unica manifestazione accompagnata da selvaggia criminalità contro gli aderenti del Partito Comunista.