Un anno dopo, se non uscirne migliori almeno uscirne

Cambiamo colore continuamente allo stesso passo di una partita a Twister. Metti il piede in giallo ma mantieni la mano in rosso. Solo la Lombardia in cinque mesi ha cambiato colore sedici volte. Sedici volte. Anche solo questo continuo passaggio psicologicamente sfinisce ed evidentemente a poco ha portato. Abbiamo dovuto assistere anche ad una crisi di governo che alla fine a cosa ha portato? A miglioramenti? A metodi diversi di gestione?

Un anno dopo, se non uscirne migliori almeno uscirne
Foto di fernando zhiminaicela da Pixabay

Non è ancora finito questo anno difficile ed oggi siamo tutti più stanchi, più preoccupati, più svuotati. A guardarsi intorno si vede solo gente o parecchio arrabbiata o parecchio sfinita. Di certo alla terza ondata, sempre che questa sia la terza perché ancora si deve capire quando e come e sia finita la seconda, ci si aspettava risposte migliori a livello organizzativo.

Ancora ci si trova nell'incertezza di capire come gestire i figli a casa da scuola, i lavoratori che da un anno non vedono entrate, la mancanza di attivazione di casse integrazioni e congedi parentali attendibili ed efficaci, il sostegno agli ospedali, un sistema idoneo per la distribuzione del vaccino. Nulla di tutto ciò.
Di certo non abbiamo la certezza di uscirne migliori, si spera almeno di uscirne e basta.

Cambiamo colore continuamente allo stesso passo di una partita a Twister. Metti il piede in giallo ma mantieni la mano in rosso. Solo la Lombardia in cinque mesi ha cambiato colore sedici volte. Sedici volte.
Anche solo questo continuo passaggio psicologicamente sfinisce ed evidentemente a poco ha portato.

Abbiamo dovuto assistere anche ad una crisi di governo che alla fine a cosa ha portato? A miglioramenti? A metodi diversi di gestione?
A nulla.

Forse ora è peggio con l'aggravante che abbiamo speso energie in un momento già difficile e drammatico in cui i riflettori dovevano rimanere solo sull'emergenza sanitaria.
A distanza di un anno nulla è cambiato se non che ognuno di noi si aggrappa a quel filo di unica energia e speranza rimasta per andare avanti. Per organizzare le giornate, gli incastri tra lavoro e famiglia, le giornate in smart working e l'ora d'aria vicino a casa.

Senza cantare dai balconi, senza il vicino che ti chiede se hai bisogno di qualcosa, senza l'illusorio senso di solidarietà che un anno fa ci aveva colto quasi come fosse un'allegoria del senso della vita questo covid. Come se ci stesse insegnando a goderci il tempo, gli spazi, gli affetti.
Ora tutto questo non esiste.

Al posto di "andrà tutto bene" sui social echeggia in maniera dirompente ancora di più la superficialità, l'egoismo, l'incazzatura.

Centinaia di post fatti da un plurale che fa svuotare le menti: svegliatevi, non capite che ci vogliono uccidere, ci vogliono vaccinare, ci vogliono far morire di fame e molto altro. Indipendentemente dal perché uno si aggrappi a fake news o condivisioni qualunquiste o prive di vere fonti, l'aggravarsi di questo plurale sta nel fatto che di risposte vere e chiare da chi ci governa non ce ne sono. Se ci fosse fermezza ed attendibilità ci troveremmo davanti a risposte che ci lascerebbero poco scampo ad altri pensieri, senza la necessità di aggrapparci a motivazioni o teorie di ogni genere e tipo.

La tendenza è sempre di più questa anche in un momento storico non così delicato, a maggior ragione questo avviene se si è tutti in balia di persone che invece che remare coerentemente trovano piu' semplice la famosa partita a Twister. Ad oggi il covid, problema sanitario ed esistente nulla da dire, quello che non fa urlare che andrà tutto bene e' che è evidentemente più una questione politica, economica ed organizzativa.
Quando questo è palese, rimetterci la pelle e la propria vita lavorativa e psicologica diventa un peso ingestibile da addomesticare.

Una bellissima frase di Bruce Barton afferma: “Mai nulla di splendido è stato realizzato se non da chi ha osato credere che dentro di sé ci fosse qualcosa di più grande delle circostanze.”

Dovremmo avere il  diritto di non farci sopraffare dalle circostanze, almeno non queste.

 

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