Vigliacchi randellatori che perpetuano messaggi depravati

Viene chiamato victim blaming, colpevolizzazione della vittima. Accade dopo ogni notizia di abuso, molestia, stupro, femminicidio. Commenti e giudizi ripugnanti che si sono scatenati persino contro una ragazzina 13enne le cui foto (ritoccate) sono state diffuse con manifesti nel Paese. E sui social sono comparsi messaggi carichi di odio sullo stesso livello dei pedofili.

Vigliacchi randellatori che perpetuano messaggi depravati
le vigliacche bestie da tastiera, nostra elaborazione

Manifesti con le foto di una ragazzina 13enne sono state stampati e affissi per le strade di un comune dall’ex ragazzo 17enne. La notizia è di questi primi mesi del 2021. Una violenza terribile e vigliacca che dovrebbe essere solo condannata e ripudiata in una società che si definisce civile. Invece sui social e non solo si sono scatenate orde di randellatori virtuali che hanno attaccato, insultato, giudicato e condannato lei. Ancora una volta la vittima è stata condannata al posto del colpevole. Che, di fatto viene giustificato o al massimo leggermente biasimato. Viene chiamato victim blaming, colpevolizzazione della vittima, ma andrebbe nominato per quello che realmente è: complicità con i carnefici, apologia di un reato, atti vigliacchi che mette chi li perpetua sullo stesso piano del colpevole.

Sono bastati pochi minuti di lettura dei più diffusi commenti su facebook per trovare le più squallide e depravate frasi contro la ragazzina. Parole che arrivano al livello di pedofili, con riferimenti fallici o al suo corpo. È stato citato il cosiddetto «revenge porn», la «vendetta porno» che in realtà andrebbe chiamata per quel che realmente è: stupro virtuale, una violenza continuata e perpetua carica della peggiore perversione sessuale. Il livello di questi commenti è lo stesso. Il vergognoso livello raggiunto da questo meccanismo vigliaccho e disumano, nella vicenda della ragazzina, è ulteriormente confermato da una circostanza emersa nei giorni successivi: non esiste nessuna foto intima (che tutto può essere tranne che una colpa, il revenge porn è un crimine) della ragazza, il 17enne ha ritoccato le foto per colpirla. Ma per le orde, i tribunali maschilisti e patriarcali della immorale morale e del decoro la «colpevole» è sempre e soltanto la ragazza, la vittima. È il meccanismo che abbiamo denunciato in un recente articolo riportando un intervento nei giorni precedenti l’8 marzo di Ilaria Di Roberto, scrittrice, attivista femminista radicale e vittima di revenge porn, violenze e cyber bullismo.

La ragazza 13enne, «è stata vittima di una violenza latente, subdola, a tratti impercettibile e al contempo non molto dissimile da quella che concerne il reato di stupro – scrive Ilaria sul sito web del Movimento Contro Ogni Violenza sulle Donne - mentre nel reato di stupro, la vittima viene penetrata corporalmente con la forza e in maniera non consensuale, nel caso del Revenge Porn, (ossia la diffusione illecita di immagini o video a sfondo pornografico, destinati a rimanere privati) il «non consenso» viene espletato dall'aggressore attraverso l'ausilio di dispositivi informatici, finalizzati alla diffusione». Uno «stupro di gruppo» nel quale «la condizione di anonimato e l'immediatezza con cui tale materiale viene divulgato nella la rete, determina l'insorgenza di ulteriori «aggressori», i quali si appresteranno, come di consuetudinaria amministrazione, a diffonderlo a loro volta, generando così una catena infinita di condivisioni». Ilaria Di Roberto denuncia il disgustoso e criminogeno tribunale che ha «condannato» la ragazza e non lui, gli stessi che l’8 marzo hanno intasato l’infosfera con «slogan demenziali del tipo Le donne vanno rispettate ogni giorno, Le donne non si toccano neanche con un fiore o ancora Se la picchi non sei un uomo, sei un bastardo». Per poi scatenarsi contro la vittima di uno «stupro virtuale» pochi giorni dopo. «Ed esattamente come nei reati di stupro, non esistono gonne, abiti, sorrisi, promiscuità, alcol, droghe, foto o video che possano graziare il carnefice – denuncia Ilaria Di Roberto -  Non esiste attenuante che tenga, mitighi o giustifichi una violenza di tale portata. Mai. In nessun caso. Senza "se". Senza "ma". È violenza. Punto».

Gli stupri virtuali, lo scatenarsi di odio e victim blaming contro le vittime e la vigliacca, violenta e criminogena difesa dei carnefici, hanno tra le maggiori casse di risonanza i social network. Proliferano pagine e gruppi che inneggiano lo stupro, alimentano l'odio, incoraggiano le molestie verbali, sessuali e quelle espletate nella rete come il revenge porn (diffusione illecita di materiale a contenuto esplicito) e il cyberbullismo.  Per denunciare e chiudere questi canali di odio patriarcale e misogino il Movimento Contro Ogni Violenza sulle Donne APS ha lanciato una petizione online indirizzata alla Ministra per le Politiche Giovanili Fabiana Dadone che è possibile firmare, sostenere e diffondere da questa pagina https://www.change.org/p/deputata-fabiana-dadone-stop-all-odio-generalizzato-verso-le-donne-sui-social/ .

Una delle questioni fondamentali è il mancato riconoscimento di una sessualità femminile in una società che perpetua retaggi maschilisti «per poi scagliarsi contro una ragazzina che si accinge a scoprire la propria sessualità, esordendo con slogan del tipo "poteva evitare" e a focalizzarsi su tutto, a eccezione che sull'unico e vero artefice della violenza – conclude il suo intervento Ilaria Di Roberto - "Sì, ma gli uomini sono predatori!".

No, chi si adopera a disintegrare la dignità di una donna con un click non é un predatore: è un criminale, tanto quanto la banda dei finti perfetti che conclamano decoro e pudore, attuando al contempo un mobbing incessante a danno della vittima; lo stesso mobbing che uccise Tiziana Cantone, Carolina Picchio, Amanda Todd, Brandy Vela, Olivia Penpraze, Audrie Pott e per un pelo anche me».

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