«A cosa serve il 41 bis?». Il testimone di giustizia risponde alla moglie di Cutolo

«Signora Iacone, forse, questo è solo l'inizio dell'inferno. Vede, a volte, il silenzio può restituire quel senso di rispetto nei confronti delle vittime di camorra. Non ho mai udito, dalla sua bocca, le parole: "chiedo perdono", "chiedo scusa per tutto il male". Mai! Lei dovrebbe sempre ricordare a sua figlia che ci sono altri ragazzi che hanno pianto la morte del proprio genitore e mi riferisco agli innocenti vittime di camorra, quella camorra di cui suo marito è stato capo. Signora Iacone, molti di quei delitti li ha ordinati suo marito e se oggi lui non riesce ad alzare la testa, molti degli uccisi non vollero abbassare la testa».

«A cosa serve il 41 bis?». Il testimone di giustizia risponde alla moglie di Cutolo
Raffaele Cutolo e Immacolata Iacone (ph Corriere del Mezzogiorno)

«Ho incontrato mio marito in carcere a Parma un mese fa, era previsto un colloquio normale attraverso il vetro, ma mi sono ritrovata davanti una persona con una bottiglia in mano, non parlava, non dava segni, è stato bruttissimo vederlo in quelle condizioni. Mia figlia non si è sentita bene, non ha voluto restare più di tanto, e siamo andati via perché era inutile parlare con una persona che non alzava gli occhi, non riusciva a portare la bottiglia alla bocca, una persona che non rispondeva quando lo chiamavamo».

Queste sono le parole pronunciate da Immacolata Iacone, moglie del vecchio boss Raffaele Cutolo. Il fondatore sanguinario della NCO (Nuova camorra organizzata). Parole pronunciate durante il consiglio direttivo di “Nessuno tocchi Caino-Spes contra Spem” dal titolo: “41-bis: monumento speciale della lotta alla mafia, fossa comune di sepolti vivi”. L'intervento della donna è stato riportato dall'agenzia Adnkronos.

«Non va bene che stia là dentro, noi da fuori soffriamo, mia figlia di 12 anni ha dovuto vedere cose che non erano in conto, mi ha detto “papà non è più mio papà, perché non mi risponde, non reagisce”. Giustamente mio marito sta pagando, ma lui con Dio ha detto basta, e non è giusto che si debba pentire per farlo curare. Anche se lì lo curano, non lo curano come si dovrebbe. Portatelo dove si possa curare».

Parole dettate dall'emozione e dalla rabbia di una donna che ha scelto, per la sua vita, un uomo che ha intrapreso - coscientemente - la via del male. Della perdizione, della morte. E non certo l'amore di una donna o di una figlia può mettere in discussione l'istituto del 41 bis. Necessario nel Paese delle mafie. Ma il passaggio sul pentimento è da tenere in considerazione. La donna, la moglie, la mamma perchè, invece di esternare le sue preoccupazioni (stessi concetti già espressi da altri familiari di boss e mafiosi sanguinari), non invita il suo uomo, il tal Raffaele Cutolo, a collaborare con gli inquirenti? Lei lo ha mai messo in conto? E lui? Il boss ha paura di collaborare?          

«Ma questo 41bis per mio marito a cosa serve? Sta in carcere da 40 anni, non ha contatti con nessuno, ha detto basta col suo passato quando mi ha sposato, che altro volete più da lui? Sta pagando la sua pena, ma basta, va bene così. Io ho fatto un’istanza per farlo venire a casa, ma solo per farlo curare, non perché lo voglio a casa, ho capito che non me lo daranno, ma almeno curatelo. Ma vale per tutti quelli al 41bis. Il carcere di Parma è un cimitero di vivi, stiamo solo spettando che lui esca coi piedi davanti, come Provenzano e Riina, li hanno fatti uscire morti, stanno aspettando che anche Cutolo esca morto da lì?».

«Da mesi -aggiunge- noi abbiamo fatto domanda per un geriatra e uno psichiatra, ma non ci hanno risposto, ciò significa che lo vogliono morto, devo dire, oppure devo pensare che quando l’hanno portato per il colloquio gli hanno dato qualcosa per fare in modo che non parlasse».

Ecco l'ennesimo passaggio molto interessante. La signora ha colto e ha denunciato un particolare non di poco conto. Cosa sa la signora? Potrebbe informare chi di dovere su queste sue "sensazioni"?  

“Ma allora mettete la sedia elettrica, così noi della famiglia non soffriamo più, perché noi soffriamo di più, loro devono scontare una pena, ma noi che peccato abbiamo fatto?”.

Ecco la risposta del testimone di giustizia Gennaro Ciliberto alla signora Cutolo.

Signora Iacone Immacolata, ho letto con attenzione il suo appello lanciato tramite un'agenzia di stampa e pubblicato il 27 luglio 2020. Lei, in quel suo appello, parla più volte di curare il detenuto Cutolo e su questo punto sono pienamente d'accordo con Lei.

Ma poi, Lei, parla di una sofferenza, di come sua figlia dodicenne non debba vedere un padre in tali condizioni. Signora Iacone, Lei dovrebbe sempre ricordare a sua figlia che ci sono altri ragazzi che hanno pianto la morte del proprio genitore e mi riferisco agli innocenti vittime di camorra, quella camorra di cui suo marito è stato capo.

Signora Iacone, molti di quei delitti li ha ordinati suo marito e se oggi lui non riesce ad alzare la testa, molti degli uccisi non vollero abbassare la testa.

Signora Iacone, deve sapere che non molto tempo fa hanno arrestato dei pregiudicati legati alla NCO. Dopo trent'anni chiedevano le estorsioni, presentandosi come comparielli di Cutolo. Quel Cutolo Raffaele che non si è mai pentito. Mai!

Non ha mai collaborato con la giustizia. Mai.

Credo che il dolore sia una misura e se messo sulla bilancia il dolore che ha procurato Raffaele Cutolo non potrà mai essere compensato con l'ergastolo.

Signora Iacone, forse, questo è solo l'inizio dell'inferno. Vede, a volte, il silenzio può restituire quel senso di rispetto nei confronti delle vittime di camorra.

Non ho mai udito, dalla sua bocca, le parole: "chiedo perdono", "chiedo scusa per tutto il male". Mai!

Forse sarò un peccatore. Ma nel leggere le sue dichiarazioni non ho provato né compassione né tantomeno pietà.