Assassinato dallo schiavismo

Ci si può girare intorno quando pare, si possono inventare tutte le perifrasi assolutorie possibili, ma l’omicidio di Novara squarcia il velo della realtà vera.

Assassinato dallo schiavismo

La stampa è in crisi, i giornali di carta stanno scomparendo, oddio i quotidiani non li legge più quasi nessuno. Sono anni che, autoreferenziale e stucchevole, il finto dibattito va avanti e riempie vagonate e vagonate. Animato da chi non è minimamente interessato a trovare soluzioni ma solo stancamente a dare cenni di esistenza in vita. In tutto questo ci sarebbe un fondo di verità ma leggere le rassegne stampa e vedere come i grandi giornali scrivono di un qualsiasi fatto resta indice del mondo grande e terribile in cui viviamo.

L’omicidio a Novara di Adil Belakhdim, sindacalista del Si-Cobas, durante uno sciopero della logistica è stato l’ultima dimostrazione. Incidente, scontri, tragedia, abbiamo letto di tutto e di più. E le prime pagine hanno cercato, nella quasi totalità, di ignorare o confinare in un francobollo. Troppo impegnati a omaggiare ras e padrini, a fare la rincorsa al megafono più servente, a continuare ad ammorbare con le vacue e ottuse amenità con cui invadono etere e infotainment quanto accaduto a Novara non li ha – al di là di coccodrilli e nauseanti frasi di circostanza – interessati minimamente. È stato ucciso un lavoratore sfruttato e malpagato, che non consumava certo nelle ricche località del lusso e nelle vie dell’alta borghesia, non drogava con ricchi capitali un’economia capitalista rapace. Era pure un immigrato africano militante di un sindacato di base. Suvvia contessa perché occuparsene. L’unica eccezione di fatto è stata l’ultima creatura filo padronale, l’ultimo megafono in ordine di arrivo del regime democristiano e filo confindustriale e filo finanza. Non ne citeremo il nome per non rischiare, in omaggio all’eterogenesi dei fini, di fargli pubblicità. Ma l’editoriale in prima pagina, gli sragionamenti (se fossimo un Paese normale ma la normalità mai è albergata tra l’Alpe e la Sicilia) riportati sono più che indicativi. Dopo qualche paragrafo più o meno di circostanza, addolorati dalla tragedia, due sono state le tesi portate avanti. La prima è la più banale e scontata: responsabilità individuale, tutti assolti nella catena di comando, e auspicio che la persona individuata venga messo di fronte alle sue «responsabilità». La seconda, nelle ore in cui anche Draghi e Orlando hanno espresso preoccupazioni perché «oddio aumenta la conflittualità sociale, oddio la tensione sociale», ha subito individuato il vero bubbone, la madre di tutti i problemi, il mandante di quanto accaduto. Signori della corte sociale davanti a voi sbattuto, con una squallida sicurezza da fare ribrezzo, il colpevole di tutto: i picchetti, i lavoratori che hanno «strane idee» in testa e provano a far sentire la loro voce. Che roba contessa fiatano e provano pure a dire la loro, che indecenza. Non solo non producono il più possibile, non solo per colpa loro i vostri gingilli non arrivano prima ancora che lei li ordini. Fanno anche casino e sporcano pavimenti e strade. Che orrore!

Il tam tam dal basso e l’indignazione corsa per tutta Italia ha costretto per alcune ore ad accendere i riflettori (in realtà finti come la vera finta pelle di coccodrillo delle borse e delle pellicce della contessa di cui sopra) sulla logistica e su chi vi lavora. Cosa mai accaduta prima e durante la pandemia. Quando lavoratori sfruttati, ridotti in schiavitù da turni massacranti e condizioni sette/ottocentesche – sarebbe notizia recente che ci son lavoratori nel mondo costretti a soluzioni vergognose e disumane anche per espletare i bisogni fisiologici ma nessuno o quasi l’ha raccontato – sono stati quotidianamente sacrificati al moloch del capitale e dell’economia. In queste settimane, nel silenzio omertoso, abbiamo avuto solo nelle ultime settimane l’ennesima inchiesta contro evasione fiscale da parte di un colosso della logistica e almeno due aggressioni violente - persino con mazze e bastoni – a lavoratori in sciopero per denunciare lo sfruttamento disumano in cui sono costretti quotidianamente. Ad aprile, almeno secondo caso in due anni, le mafie padronali hanno sparato in agguati contro braccianti immigrati. Come accaduto anche in Calabria, dove negli anni scorsi un sindacalista USB (nel disprezzo e nel rovesciamento di colpevoli e vittime da parte delle destre) è stato assassinato.

All’alba della nostra avventura intervistammo Marta Fana, a Vasto per presentare il libro «Basta salari da fame». Un’intervista  in cui ci ha sottolineato storia (sociale e legislativa) e dati attuali dello sfruttamento, del caporalato della logistica, dello schiavismo che domina. In quelle settimane era emersa la notizia, taciuta dai grandi mass media e dai pavoni della grande politica, che ci sono stabilimenti dove mazzieri armati di tutto punto picchiavano gli operai se non rispettavano – o addirittura protestavano – il massacro quotidiano, la connivenza e compresenza delle mafie nella logistica e negli affari degli schiavisti. Nell’intervista Marta Fana ha riportato e denunciato quanto le diseguaglianze sociali in Italia sono state favorite e agevolate a norma di legge, del ricatto contro i lavoratori: appalti, subappalti, lavoratori in affitto - ma può essere accettabile affittare esseri umani? L’unica risposta dovrebbe essere no eppure accade nell’Italia del 1621 in cui siamo ingabbiati – contratti che sfondano ogni limite della precarietà.

Che roba contessa, oddio che orrore, ma il coccodrillo come fa. Ora, passato il clamore di un momento, tornate pure agli yacht di stralusso, ai pacchi di migliaia di euro, alle borse di vera finta pelle di coccodrillo, all’alta elite nobiliare. Anche se vi credete assolti i colpevoli siete voi.

Dopo l’omicidio di Abdil picchetti e proteste sono fioriti in tanta parte d’Italia, 15.000 persone almeno il giorno dopo sono scese in piazza solo a Roma. Quest’articolo, doverosamente e anche con gran piacere, si chiude omaggiando i lavoratori, gli sfruttati, chi non cede e lotta contro il sistema padronale, capitalista, violento, mafioso, le compagne e i compagni di Adil.  

 

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