Il discorso di Nilde Iotti

PRIMA PRESIDENTE DONNA DELLA CAMERA. «Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l'affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita.»

Il discorso di Nilde Iotti
Nilde Iotti, ph fondazionefeltrinelli

Nilde Iotti, partigiana, componente della Costituente, viene eletta presidente della Camera dei Deputati. E' la prima donna in Italia ad occupare un ruolo così importante. 

Per l'occasione pubblichiamo il discorso pronunciato il 20 giugno del 1979 da una donna eccezionale.

«Presidente. (Stando in piedi pronuncia il seguente discorso):

Onorevoli colleghi, con emozione profonda vi ringrazio per avermi chiamato col vostro voto e con la vostra fiducia a questo compito così ricco di responsabilità e di prestigio. Voi comprenderete, io credo, la mia emozione. In questo alto incarico mi ha preceduto l'onorevole Pietro Ingrao, che fino a ieri ha diretto i nostri lavori con grande intelligenza e imparzialità, e prima ancora l'onorevole Sandro Pertini, oggi Presidente della Repubblica, a cui va il mio deferente saluto (Vivissimi applausi).

Ma in particolare comprenderete la mia emozione per essere la prima donna nella storia d'Italia a ricoprire una delle più alte cariche dello Stato (vivissimi applausi). Io stessa - non ve lo nascondo - vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione. Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l'affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita.

Il momento che attraversiamo è drammatico e difficile, ne siamo tutti consapevoli. Il terrorismo continua nella sua opera nefasta e delittuosa. Pochi giorni fa a Roma si è tentata ancora una volta «la strage» su pacifici lavoratori riuniti in una loro sede, nell'espressione del primo e più alto diritto democratico e costituzionale, quello della libertà di associazione e di espressione. Questa nostra stessa Assemblea ha dovuto ricorrere a misure di sicurezza, senza alcun dubbio necessarie.

Ma guai a noi, onorevoli colleghi, se non avvertissimo con tutta la nostra forza e con tutto il nostro senso di responsabilità che le assemblee parlamentari esprimono il più alto grado la sovranità popolare. Non possono perciò, per la loro stessa natura, divenire un fortilizio, ma devono continuare a essere, anzi essere sempre di più, assemblee aperte al nostro popolo, alla grande forza di democrazia e di unità che lo anima. Lo provano ogni giorno la risposta puntuale alle provocazioni del terrorismo e le stesse elezioni. A questa forza dobbiamo ricondurci in ogni momento della nostra azione, sicuri che essa non verrà mai meno, che anzi essa costituisce la base prima di un possibile successo.

In questo spirito va il nostro saluto e augurio alla magistratura, alle forze dell'ordine e alle forze armate, così duramente impegnate nella difesa della democrazia e della libertà. Su tutti noi, onorevoli colleghi, incombe un compito arduo. Ognuno di noi ha avvertito - io credo - negli anni appena trascorsi, malgrado la mole sempre più ingente di lavoro svolto e l'abnegazione dei parlamentari, la difficoltà per le assemblee di vivere e operare col paese, per rispondere ai mille e drammatici problemi dell'economia e dei lavoratori, nelle fabbriche e nelle campagne, dei giovani, delle donne, della pubblica amministrazione, della scuola, della magistratura, delle forze armate e delle forze dell'ordine, dei pensionati. Cioè a quel complesso ed intricato processo di democrazia e di liberazione, che è segno del nostro tempo e che accompagna l'avanzare dei lavoratori alla direzione dello Stato.

Il Parlamento, questo altissimo strumento di democrazia, non può e non deve essere superato dai tempi. Esso, al contrario, deve riuscire a guidare questo processo. Non già nel senso di confondere le diverse funzioni degli organi istituzionali dello Stato - ché nessuno più di me, per il mio stesso lontano passato, è convinto che tali diverse funzioni sono presidio di democrazia -, ma nel senso che il Parlamento diventi iniziativa, stimolo, confronto e incontro delle volontà politiche del paese e assolva in questo modo la sua altissima funzione di guida. Fare questo con rigore, con dedizione, con proibità significa attuare la Costituzione repubblicana, renderla operante ispiratrice della vita del paese.

Onorevoli colleghi, nelle settimane immediatamente trascorse sono avvenuti due fatti di importanza eccezionale: l'elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo e la firma dell'accordo «Salt II» fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Mentre ribadisco l'impegno della nostra Assemblea per una politica di distensione e di pace, consentitemi di collegare per un momento i due avvenimenti, nel senso cioè che le elezioni del Parlamento europeo (che ci pongono anche delicati problemi di coordinamento) costituiscono un passo qualitativo verso la costruzione di una Europa unita, capace di contare nel mondo per una politica di disarmo, di pacifica coesistenza e di pace.

Infine sento di dover sottolineare di fronte a voi, onorevoli colleghi di tutte le parti, il mio impegno a presiedere i nostri lavori con la più assoluta imparzialità, nella rigorosa applicazione del regolamento in ogni sua parte, per la tutela in primo luogo dei diritti delle minoranze, ma anche per la tutela del diritto-dovere della maggioranza di legiferare. Mi pare inoltre opportuno proseguire l'opera, avviata dal mio predecessore onorevole Ingrao, di aggiornare il regolamento alle nuove e mutate esigenze di funzionalità del Parlamento. Da questo alto seggio invio il mio saluto al Presidente del Senato e al Presidente della Corte costituzionale e a voi, colleghi della stampa e della televisione, che seguite i nostri lavori, chiedendovi di collaborare con noi, attraverso l'informazione e la critica, a far vivere nel popolo i lavori di questa Assemblea, nell'interesse comune della democrazia e del paese. So infine di poter contare sull'aiuto intelligente ed essenziale che ci verrà da tutto il personale della Camera, dal Segretario generale dottor Longi, da tutti i funzionari, da tutti i dipendenti.

A voi, onorevoli colleghi di tutte le parti, buon lavoro. Mi auguro di poter contare sulla vostra personale collaborazione nel difficile compito di dirigere questa Assemblea, nell'interesse del popolo, della democrazia e dell'Italia (Vivissimi, prolungati applausi).

VIII Legislatura della Repubblica italiana

Seduta del 20 giugno 1979

fonte: camera dei deputati

La nomina di Nilde Iotti aveva, come lei stessa ha ammesso, «un significato profondo» e investiva milioni di persone, di donne «che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci, si sono aperte la strada verso la loro emancipazione». Nilde Iotti si sentiva «una di loro», incarnava un esito del lungo cammino delle donne italiane che fin dall’esperienza partigiana – levatrice di un nuovo protagonismo femminile – e attraverso le lotte sociali, interne ai partiti, dei movimenti delle donne e femministi aveva messo al centro le specificità delle donne «per il loro riscatto», la necessità della loro autonomia politica «per l’affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana» e di costruire l’unità sociale e politica di donne e tra donne. Una donna comunista tra le più alte cariche dello Stato ci dice molto sulla mutazione della posizione interna e delle relazioni internazionali del Partito Comunista Italiano alla fine degli anni Settanta. Ma, soprattutto, svela che nei tempi cupi che seguono l’omicidio di Aldo Moro del 1978, caratterizzati dalla recrudescenza del terrorismo e da una evidente pervasività della corruzione nella politica e nello Stato che sarebbe uscita allo scoperto pochi anni dopo, nonostante sembrasse prossimo il baratro, in realtà molte delle novità e delle innovazioni avviate dalle battaglie degli anni precedenti si stavano ancora sedimentando. Istituzioni e classe dirigente stavano dando nuove risposte, mostravano di essere capaci di dialogare con una società sempre più moderna e secolarizzata, nonostante i colpevoli ritardi. La nomina di una donna comunista a Presidente della Camera era stata di poco preceduta da un’altra nomina inedita, quella della democristiana Tina Anselmi, alleata di Nilde Iotti nella causa dell’emancipazione delle donne nonostante le diverse militanze di partito, a Ministro del Lavoro nel 1976, carica che nell’immaginario collettivo apparteneva naturalmente a un uomo. Pochi anni dopo, nel 1982, è stata la volta della comunista Camilla Ravera, nominata per la prima volta nella nostra storia senatore a vita dall’allora Presidente della Repubblica 

Sandro Pertini

 

Biografia ufficiale

NILDE IOTTI, nasce a Reggio Emilia il 10 aprile 1920. Nonostante le difficoltà economiche conseguenti al licenziamento per motivi politici del padre, frequenta una scuola privata cattolica e grazie ad una borsa di studio si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia dell'università cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove si laurea il 31 ottobre del 1942. Si avvia alla carriera dell'insegnamento presso istituti tecnici di Reggio Emilia, dove insegna fino al 1946.

Durante la Resistenza collabora attivamente all'organizzazione dei Gruppi di difesa della donna, aperti alle donne di ogni convinzione politica e religiosa, che si segnalano per l'attività di sostegno ai Comitati di liberazione periferici, alle agitazioni nelle fabbriche per il sabotaggio della produzione di guerra e per l'assistenza alle famiglie dei deportati, dei carcerati e dei caduti. Nell'autunno del 1945 diventa segretario provinciale dell'Unione donne in Italia (Udi).
Grazie alla capacità organizzativa e all'impegno dimostrati nei Gruppi di difesa della donna prima e nella conduzione dell'Udi poi, Nilde Iotti guadagna apprezzamento e consensi a livello locale, tanto da essere eletta, nella primavera del 1946, al consiglio comunale di Reggio Emilia, come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano (PCI). Successivamente si iscrive al PCI e il 2 giugno 1946 è eletta deputato all'Assemblea costituente.
Entra a far parte della Commissione per la Costituzione e partecipa ai lavori della prima delle tre sottocommissioni, incaricata della stesura della parte relativa ai diritti e ai doveri dei cittadini. Nominata relatrice sul tema della famiglia insieme all'esponente democristiano Camillo Corsanego, sostiene, pur affermando il valore della famiglia, la necessità di emancipare la donna dalla condizione di arretratezza e di inferiorità in cui versa in tutti i campi della vita sociale e di garantirle una posizione giuridica che le riconosca la piena dignità di cittadina. Nell'ambito dei lavori della I Sottocommissione si batte, quindi, per l'affermazione del principio della parità tra i coniugi, del riconoscimento dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle famiglie di fatto. Si dichiara, inoltre, nettamente contraria all'introduzione del principio dell'indissolubilità del matrimonio nel testo costituzionale.

L'esperienza dei lavori della Costituente rappresenta una tappa decisiva nel suo percorso politico e parlamentare, in termini di aderenza a valori, principi e indirizzi istituzionali ai quali farà costante riferimento nel concreto svolgimento del mandato parlamentare alla Camera dei deputati, di cui sarà membro ininterrottamente dalla I alla XIII legislatura.

I lavori dell'Assemblea costituente, in particolare nella I Sottocommissione, la avvicinano al segretario del PCI Palmiro Togliatti, al fianco del quale resterà fino alla morte del leader comunista, avvenuta nel 1964.
Nel 1956, in occasione dell'VIII congresso del partito, entra a far parte del comitato centrale del PCI e nel 1962 della direzione nazionale.
Nel 1963, rieletta deputata, è membro della Commissione affari costituzionali e torna ad occuparsi del problema della collocazione delle donne nel mondo del lavoro e delle tematiche relative alla famiglia.
A partire dalla V legislatura assume un ruolo di punta nei dibattiti sulle riforme civili; si impegna a fondo nella battaglia in favore dell'introduzione del divorzio nell'ordinamento giuridico italiano e nella successiva battaglia referendaria per il mantenimento della legge.

Nel 1969, quando per la prima volta i parlamentari comunisti entrano a far parte della delegazione italiana al Parlamento europeo, Nilde Iotti è tra questi. La priorità assoluta sulla quale si impegna è l'elezione a suffragio universale diretto del Parlamento europeo, per la ferma convinzione che il peso politico derivante dall'investitura popolare rappresenti l'indispensabile premessa per l'estensione dei poteri del Parlamento, posizione fatta proprio dal suo partito. Nilde Iotti esercita il mandato parlamentare europeo dal 1969 al 1979, fino a quando, cioè, i cittadini europei eleggeranno direttamente i propri rappresentanti.

Nella VI legislatura è eletta Vicepresidente della Camera dei deputati ed è tra i protagonisti della riforma del diritto di famiglia, il cui iter parlamentare si concluderà nel 1975.
Le contrapposizioni tra comunisti e democristiani cedono il passo alla stagione della cosiddetta politica di solidarietà nazionale, nella quale si registra l'affermazione del PCI nelle elezioni politiche del 1976. In questo clima matura nella VII legislatura l'elezione alla Presidenza della Camera dell'esponente comunista Pietro Ingrao e l'elezione di Nilde Iotti alla presidenza della Commissione affari costituzionali di Montecitorio.

Nel 1979 all'apertura dell'VIII legislatura, pur essendo entrata in crisi la politica di solidarietà nazionale, si ritiene comunque opportuno affidare nuovamente al maggior partito di opposizione la presidenza di uno dei due rami del Parlamento. La scelta ricade su Nilde Iotti, che il 20 giugno 1979 sarà la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera dei deputati. Confermata nel 1983 e nel 1987, dirigerà l'Assemblea di Montecitorio per tredici anni consecutivi, esercitando il mandato più lungo della storia repubblicana.
La sua Presidenza è chiamata ad affrontare una legislatura difficile, travagliata dalla grave minaccia del terrorismo e della criminalità, che in quegli anni colpisce in maniera incalzante servitori dello Stato e semplici cittadini.

Sostiene la necessità di avviare una stagione di riforme, che includono alcune parti del Regolamento della Camera, per dare concretezza all'idea del Parlamento come luogo di confronto e di centro della vita politica e istituzionale. Nel 1981 porta a compimento modificazioni al Regolamento della Camera, concordate tra i maggiori gruppi politici, assumendo la decisione di attribuire alla Giunta del regolamento il potere di presentare in Aula le proposte di emendamento presentate dai deputati per punti riassuntivi, stroncando in tal modo la possibilità di ostruzionismo attraverso l'illustrazione delle singole proposte emendative.
È rieletta Presidente della Camera il 12 luglio 1983; l'Assemblea approva nell'autunno dello stesso anno, un'ulteriore innovazione al Regolamento: l'introduzione della cosiddetta sessione di bilancio, che prevede il contingentamento dei tempi per i gruppi parlamentari.

Nel corso della IX legislatura torna a più riprese il tema delle riforme istituzionali; nonostante il lavoro della Commissione parlamentare presieduta da Aldo Bozzi, non si avvia però concretamente quel cammino di riforme tanto auspicato da Nilde Iotti.
Nella primavera del 1987, a seguito della crisi del II Governo Craxi, la complessità del quadro politico induce il Presidente della Repubblica Cossiga ad affidare a Nilde Iotti un mandato esplorativo, per verificare la possibilità di formare una nuova maggioranza e di evitare le elezioni anticipate.
L'esito dei contatti del Presidente della Camera con le forze politiche sarà negativo e nonostante gli sforzi del Capo dello Stato per evitare le elezioni, il Paese è chiamato alle urne prima della scadenza naturale della legislatura. Il 2 luglio 1987, nella seduta inaugurale della X legislatura, Nilde Iotti è riconfermata per la terza volta nella carica di Presidente della Camera.

Sempre più convinta della necessità e dell'urgenza di avviare una fase di riforme istituzionali, in grado di dare stabilità al Paese, propone che si apra in Parlamento un dibattito. Nell'ottobre del 1988 viene intanto condotta in porto la modificazione regolamentare, sollecitata dal Governo, che limita ad un numero ristretto e ben individuato di casi l'applicazione del voto a scrutinio segreto nelle votazioni alla Camera. La modifica viene introdotta in un clima di forti tensioni tra maggioranza e opposizione, che richiede ancora una volta l'intervento del Presidente della Camera per stroncare i fenomeni ostruzionistici.
Nel 1992 lascia la Presidenza della Camera e ritorna tra i banchi dei deputati, ma è ben presto chiamata a presiedere la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, succedendo a Ciriaco De Mita. La Commissione conclude i propri lavori nel gennaio del 1994, approvando un disegno di riforme, il cui iter si blocca a causa dello scioglimento anticipato delle Camere.

Nella XII legislatura, Nilde Iotti torna a convogliare le proprie energie sulla difesa dei diritti delle donne e si impegna per l'approvazione della legge contro la violenza sessuale, che sarà approvata dopo un iter parlamentare piuttosto tormentato.
Nella XIII legislatura è Presidente della Delegazione parlamentare italiana all'Assemblea del Consiglio d'Europa, ma tre anni più tardi non riuscendo, per ragioni di salute, a far parte della Camera dei deputati in modo attivo, insiste affinché la Camera accetti le sue dimissioni. Il 18 novembre 1999 l'Assemblea, contrariamente alla prassi, approva al primo turno per alzata di mano le sue dimissioni.
Muore a Roma il 4 dicembre dello stesso anno. fonte: cameradeideputati