BENVENUTA RESTAURAZIONE

Sono alcuni mesi che in Italia si respira una certa aria particolare. Se per un primo momento era sembrato che si potesse ambire ad una sorta di “cambio di passo” su temi come la giustizia, la legalità, la lotta alla corruzione endemica, il diritto come cittadini di ricevere verità su argomenti che hanno condizionato e continueranno a condizionare il nostro passato/presente e futuro, negli ultimi mesi pare che su tutto ciò si voglia sprofondare nel più totale oblio.

BENVENUTA RESTAURAZIONE
Roma, il Palazzaccio (foto d'archivio)

Vi è un comune denominatore, una sorta di punto cardine per programmare un'azione strategica che riguarda i mezzi di informazione nel nostro paese: restaurare tutto. Ovvero, omettere, nascondere certe notizie da un lato, e bombardare h24 l'informazione con notizie travisate, infiocchettate a dovere. Tutto condito all'acqua di rose, in modo tale che nessuno (o pochi), tra noi cittadini, alla fine riesca a farsi un'idea precisa su cosa sta accadendo. Vediamo alcuni esempi.

Giorni fa, un tale di nome Giuseppe Graviano, chiamato a testimoniare a Reggio Calabria nel processo sulla cosiddetta “'ndrangheta stragista” si è messo a dire alcune cose dopo 26 anni di silenzio. Tipo che da latitante, quindi fra gli anni '80 e i primi anni '90, aveva incontrato un altro signore, un imprenditore, un tale Silvio Berlusconi. Il "sig." Graviano sostiene di averlo incontrato minimo tre volte, una di queste volte in una cena nel 1993. Ma non si ferma qui: dice anche, e qui sta la finezza di tutto il suo discorso che poi  magistrati dovranno mettere al vaglio, che questo signor Silvio Berlusconi aveva avuto l'intenzione di scendere in politica già nel 1992, prima delle stragi di Capaci e Via D'Amelio. Fermiamoci un attimo.

Chiunque, in qualunque Paese veramente democratico, di fronte a queste frasi avrebbe iniziato a parlarne su ogni giornali cartaceo, rivista online, telegiornale. Per giorni e giorni. Magri istruendo dibattiti telelvisivi e quant'altro attinente alla libera informazione. Qui, in Italia, invece, una notizia del genere, la trovi a pag.18, in un trafiletto, oppure del tutto oscurata. Funziona così: in Italia se associ Silvio Berlusconi, il suo impero, la sua storia, a Cosa Nostra ti prendono per pazzo. Perciò è meglio buttare tutto in caciara: “Il sig. Graviano parla perchè vuole ottenere dei benifici carcerari”, “Dichiarazioni prive di ogni fondamento”.

Ci si dimentica e si vuole far dimenticare alcuni dettagli non da poco. La sentenza del processo a Marcello Dell'Utri, per esempio. Chi era costui? Il fondatore di Forza Italia, il braccio destro di Silvio Berlusconi (sempre quel signore di cui parla il Graviano): condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa per essere stato “l'anello di congiunzione” tra Cosa Nostra e la politica e l'imprenditore Silvio Berlusconi fino al 1992. Oggi Dell'Utri ha scontato parte della pena in carcere, poi per motivi di salute dopo 5 anni e mezzo, il resto se li è scontati nella sua casa. Pena edittale irrogata e scontata. Opuure ci si dimentca la sentenza di primo grado (e che vuoi che sia il primo grado in Italia?) sul processo sulla Trattativa Stato-mafia in cui viene descritto l'accordo tra Cosa nostra, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi fino al 1994. Si parla del Decreto Biondi, in cui si voleva inserire un emendamento per togliere la custodia cautelare in carcere pure ai mafiosi. Un emendamento discusso e voluto dal governo Berlusconi (si, sempre quel signore citato dal Graviano) e che poi venne bocciato dalla Lega nel gennaio 1995, ma di cui i mafiosi in carcere erano già a conoscenza. Questo lo sappiamo perchè i pentiti al processo Trattativa hanno parlato. Però si fa finta di niente. Tutti sanno cosa è accaduto nel biennio 1992-1994 ma è meglio andare avanti e restaurarci in pace.

Stesso discorso riguarda un altro aspetto con cui in Italia si è finito per fare una confusione estrema. Si parla del regime del carcere duro. In estrema sintesi, tra ottobre e dicembre del 2019 l'argomento era tornato in voga, per poi ritornare nell'oblio. Si era parlato tanto di art.4 bis dell'ordinamento penitenziario e del consequenziale regime del 41 bis, creazione di Giovanni Falcone e per la cui entrata in vigore si dovette aspettare il suo sacrificio e, non contenti, anche quello di Paolo Borsellino e degli agenti delle loro scorte. Questa concatenzione di normative prende da vita al cosiddetto ergastolo ostativo. Su questo tema prima Strasburgo si era pronunciata stabilendo la violazione da parte dell'art.4 bis dell'art.3 della Convenzione europea sui diritti umani. Il ricorso era stato vinto da Marcello Viola (condannato per omicidi plurimi, occultamente di cadavere e detenzione di armi) al quale, prima del pronunciamento della Corte di Strasburgo, erano stati respinti due permessi premio e anche la libertà condizionale. La pronuncia sull'incostituzionalità dell'ergastolo ostativo ha agito come un precedente. Lo sappiamo, una norma di diritto comunitario è  una fonte  di rango superiore rispetto alle norme di diritto interno, per cui anche la Corte Costituzionale in seguito si è pronunciata sull'incostituzionalità dell'ergastolo ostativo, rinnegando un suo stesso orientamento del passato. In sostanza: mentre prima si teneva conto della pericolosità dei condannati all'ergastolo per mafia (tenuto conto che un mafioso rimane tale a vita), adesso gli eventuali segnali e dimostrazioni di dissociazione con l'appartenenza alla mafia diventano elementi su cui può venir meno l'ergastolo ostativo, previo parere di un Giudice di sorveglianza  (il quale si sobbarca tutto sulle sue spalle).                                       

In tutto questo, non possiamo non fare a meno di pensare alle ragioni, così delicate che videro la nascita (all'indomani delle stragi del 1992) dell'applicazione del regime del 41 bis e ai continui analogismi, troppo banali e superficiali fatti in tema di regime penitenziario (art.4bis) con il reato di tortura Si va ad ignorare quale sia stato il beneficio che il regime del 41 bis ebbe sulle indagini di mafia e politica in quegli anni (pensiamo solo ai risultati della Procura di Palermo guidata da Caselli) e ci si concentra solo ed esclusivamente sul sillogismo regime carcere duro = tortura. Ignorando che l'ordinamento penitenziario stesso prevede sistemi rigidi per la tutela dei detenuti. Storture, ribaltamenti della realtà. Ma funzionali ad una rimozione effettiva sul periodo del 1992-1993 su quelle stragi, su certe figure politiche che sono subentrate alla vecchia classe dirigente, su temi ricollegati alla Trattativa Stato-mafia, di cui è bene non parlare.

A questo cambio di prospettiva, si aggiunge il ribaltamento giurisprudenziale, sempre della Corte di Cassazione in tema della legge Spazzacorotti (eliminazione deei riti alternativi al carcere per il reato di corruzione). Il tema era il seguente: si applica anche retroattivamente?                                                       

Fino a pochi giorni fa, l'interpretazione giurisprudenzale sulle modifiche peggiorative dbella disciplina sulle misure alternative al carcere, della stessa Corte di Cassazione, consentiva che esse venissero applicate anche retroattivamente. Così è successo negli ultimi 28 anni. Ora non più: la legge Spazzacorrotti, già spacciata per incostituzionale dai partiti di opposizione al governo e non solo, è ancora legge e si applica per i reati commessi dopo la sua entrata in vigore e non prima. Ma ormai viene tutto inserito in una sorta di volontà specifica di restaurazione, rimozione e del volemose tutti bene.

Sia ben chiaro: la Corte Costituzionale ha come funzione quella di tipo politico: creare diritto e, quindi, adeguare l'ordinamento alla sensibilità del momento esistente all'interno della società. Dovremo leggere le motivazioni e vedere se queste modifiche riguarderanno i soggetti responsabili dei reati di corruzione e peculato, oppure, se si andrà ad applicare anche alle catgorie di soggetti rientranti nel regime dell'art.4bis, quelle sull'ergastolo ostativo. Lo vedete il disegno? Corruzione ed ergastolo ostativo; due argomenti in apparenza distinti ma collegati tra loro. E se la Consulta adegua l'ordinamento alla sensibilità sociale del momento, è evidente che questo spirito di restaurazione e rimozione (amplificato da chi fa le leggi e quindi dai politici, i quali in Parlamento “fanno” le leggi) condizioni tutto.

Infine anche la riforma della prescrizione rientra in questa strategia di garantismo sfrenato di restaurazione. Stopparla dopo il primo grado di giudizio, ci renderebbe leggermente più simili agli altri Paesi, ma si rischia di intaccare certi interessi, certi personaggi, che hanno fatto di tutto per rendere  (vedere legge ex Cirielli) la prescrizione una patologia del sistema.

In tutto questo, noi italiani che cosa ci capiamo? Solo se rimaniamo informati ce la possiamo cavare e solo se c'è un interesse collettivo nel farlo. Il processo di restaurazione è già in atto e c'è il forte rischio, si percepisce nell'aria, di una voglia estrema di tornare ad una rimozione volontaria di tutto ciò che ha a che fare con legalità, anticorruzione, stato-mafia e malaffare. Perciò, teniamo le orecchie ritte.