Brusca: «Riina voleva uccidermi»

Al processo per l'omicidio del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, è stato sentito come testimone l'ex reggente del mandamento di San Giuseppe Jato e collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, che ha ricordato l'irritazione di Riina per l'eccessiva autonomia di Nino Madonia, già condannato all'ergastolo per il duplice omicidio col rito abbreviato.

Brusca: «Riina voleva uccidermi»

Nell'udienza del 29 ottobre al processo per l'omicidio dell'agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, Giovanni Brusca è stato ascoltato per quasi quattro ore come testimone. L'ex capo del mandamento di San Giuseppe Jato ha parlato in particolare dei rapporti tra Salvatore Riina e Antonino Madonia, boss di Resuttana già condannato all'ergastolo con il rito abbreviato per il duplice omicidio.

 

Madonia era per Brusca “un maestro d'arte”, quello che, dopo Bagarella, “mi ha insegnato il mestiere”. Insieme, Brusca e Madonia hanno commesso decine di illeciti, in particolare omicidi e stragi. Di Nino Madonia era stata per esempio l'idea di utilizzare la modalità dell'autobomba nella strage in cui perse la vita il magistrato Rocco Chinnici (“aveva preso spunto dall'attentato a Roma di un certo Casillo”, membro della Nuova Camorra Organizzata). Alcuni giorni prima dell'attentato, era andato a controllare il pianerottolo del palazzo in cui abitava il giudice, “era maniaco del controllo”.

 

Il boss di Resuttana gestiva però con troppa autonomia il proprio mandamento, commettendo “omicidi personali” e stringendo contatti di cui il capo dei capi era geloso. “Riina lo amava e lo odiava”, non sopportava di dover essere all'oscuro di ciò che accadeva nei territori controllati dai suoi sottoposti. “Tutto quello che succedeva, non dico in tutta la Sicilia, ma almeno a Palermo doveva passare per forza per l'approvazione di Riina”. 

 

Il fastidio del boss per essere stato escluso da alcune decisioni divenne tale che maturò in lui l'idea di uccidere sia Madonia che Brusca, proprio in relazione all'omicidio Agostino. “Per un periodo, Riina si comportava con me in modo strano e io non capivo perché”. Da un confronto con Salvatore Cancemi però, Brusca apprese le ragioni della freddezza del capo dei capi. “Mi fece un terzo grado sull'omicidio Agostino. Lui era convinto che a fare l'omicidio fossimo stati io e Salvuccio Madonia (fratello del boss Nino)”.

 

Riina aveva appreso dell'omicidio dai giornali. Non sapeva nulla e cercava l'autore. Il disappunto del capo dei capi non era legato tanto all'omicidio in sé, del quale non gli interessava nulla, ma al fatto che lui non ne era stato informato. Riina avrebbe volentieri ucciso Madonia (“se non fossero stati arrestati, sarebbe finita male”), il quale intratteneva rapporti esterni di cui il boss di Cosa nostra non sapeva nulla. Brusca ha anche raccontato della preoccupazione di Riina quando Nino Madonia andò a trovarlo a San Giuseppe Jato durante la latitanza, quando nessuno avrebbe dovuto sapere dove si trovava

 

Il collaboratore di giustizia ha poi parlato di una serie di omicidi legati a personaggi vicini ai Servizi che in quegli anni erano a caccia di latitanti, uomini che “avevano in tasca una lista di nomi con affianco dei prezzi”, le taglie apposte sulla testa dei boss. In vicolo Pipitone, “la base operativa dei Madonia”, fu strangolato un uomo, che solo in udienza Brusca ha appreso chiamarsi Giacomo Palazzolo. Delitto simile a quello commesso ai danni di Gaetano Genova, di cui Brusca si occupò di occultare il cadavere. Quando gli portarono il corpo, credette che la vittima potesse essere Emanuele Piazza, il poliziotto vicino ai Servizi segreti scomparso negli stessi anni. 

 

La commissione di Cosa nostra si riuniva in quei mesi anche per indagare su degli omicidi dei quali non si conoscevano i mandanti. Si scoprì poi che Salvatore Contorno era tornato in Sicilia e si diceva – anche sui giornali – che erano stati il giudice Falcone e De Gennaro ad assoldarlo per eliminare alcuni boss mafiosi. A domanda specifica dell'avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Agostino, Brusca ha ricordato di aver parlato con Riina di un magistrato di nome Di Pisa (accusato di essere il famigerato “corvo” del Palazzaccio, poi assolto dalle accuse nel 1993): “ah se parlasse Di Pisa...” avrebbe detto il capo dei capi, lasciando intendere che ci sarebbero stati problemi all'interno della Procura di Palermo. Problemi dei quali Riina era evidentemente a conoscenza. 

 

Brusca ha riferito anche di aver commentato con Riina e Salvatore Biondino, boss di San Lorenzo, il fallito attentato all'Addaura, organizzato sempre da Nino Madonia. Mentre festeggiavano per la buona riuscita della strage di Capaci, Biondino si lamentava del modo di agire di Madonia, che decidendo in solitaria aveva fallito quell'attentato. “Prima o poi chiuderemo anche quel conto”, gli avrebbe risposto Riina. 

Tornando invece all'omicidio Agostino, Brusca ha spiegato in udienza di non averne mai parlato perché non era stata opera sua e perché conosceva una parente della vittima, Maria D'Alessandro, moglie di quel Santo Sottile che fu anche uno dei suoi favoreggiatori durante la latitanza.

 

Dopo l'assassinio della nipote, la signora D'Alessandro chiese a Brusca perché avessero dovuto uccidere anche la giovane Ida. “Il senso era: posso capire lui, ma lei che c'entrava”. L'ex reggente di San Giuseppe Jato disse che non ne sapeva nulla. Lui credette sempre che a commettere l'omicidio fosse stato Biondino, perché il mandamento di San Lorenzo era gestito da lui. Dopo aver parlato con Riina però, ebbe la certezza che ad assassinare il poliziotto fosse stato invece Nino Madonia, “per un interesse personale”. 

 

Il collaboratore di giustizia ha inoltre ricordato un episodio avvenuto poco prima del delitto: mentre si recava nella macelleria dei Galatolo, c'era un uomo su una vespetta celeste che lo seguiva. Brusca non ne ha la certezza assoluta, ma ricorda che quell'uomo somigliava molto a Nino Agostino.

 

Nella prossima udienza, verranno ascoltati alcuni testimoni per confrontare le loro dichiarazioni con quelle del pentito. 

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