L’arrogante e squallida propaganda criminale sui social e nelle canzoni

Video, foto, messaggi, ostentazione di violenza, denaro e crimini, propaganda. Anche i botti e le sparatorie di inizio anno confermano l’assidua frequentazione mafiosa dei social network.

L’arrogante e squallida propaganda criminale sui social e nelle canzoni
Progetto Di Vita (fb)
L’arrogante e squallida propaganda criminale sui social e nelle canzoni

«Lo squallore del mal utilizzo dei social continua... la propaganda per un malacarne mafioso come Matteo Messina Denaro e le mafie dichiarate come salvatrici del Paese con la morte agli infami è vomitevole» hanno denunciato pubblicamente su facebook Adriana Colacicco e Gerardo Gatti di Progetto Di Vita. Il riferimento è ad una pagina a sostegno di Matteo Messina Denaro, parole che «umiliano le vittime assassinate per mano delle mafie e tutti coloro che le lottano ogni giorno» aggiungono indignati. I sistemi criminali cercano di sfruttare sempre più i social network, per impartire ordini, lanciare messaggi e minacce, ostentare il loro stile di vita e la loro prepotenza mafiosa, fare proseliti e diffondere la loro squallida sottocultura.

Matteo Messina Denaro è tra i più gettonati, è impossibile contare tutte le pagine e i gruppi in cui viene esaltata la sua figura di «padrino» e addirittura «salvatore del popolo». Il commento documentato da Adriana e Gerardo è eloquente di questi messaggi. Solo Totò Riina probabilmente contende il gradino più alto del podio a Messina Denaro di boss più esaltato, omaggiato, venerato. Commenti riferiti al defunto boss stragista dello stesso tenore di quello riferito a Messina Denaro, come abbiamo documentato nelle scorse settimane, sono comparsi anche sulla bacheca facebook del terzogenito. «Altro che coronavirus se c’era lo zio Totò gli metteva la mascherina nel c*** a conti e la faceva mangiare e me la faceva cagare nel c*** sicuro a quanto valeva Totò Riina», «una tra le migliori famiglie siciliane», «se c’era lo zio libero e vivo tutti sti cialtroni volevo vedere sti pezzenti mangiano solo loro e il popolo morto di fame quando c’era lo zio la parola crisi ti mettevi a ridere neanche esisteva», «quando c’era lui .. esisteva il rispetto ..queste parole del film, il capo dei capi..non posso dimenticarli..ha ma patri, nun u mazzo a bumma ma fami. Grande uomo».

Sui social, da facebook ad instagram fino al più recente TikTok, sono attivi affiliati, familiari e sodali dei clan. Ma non solo. La sottocultura mafiosa, criminale, vergognosa testimoniata anche dal commento riportato da Adriana e Gerardo e da questi da noi documentati va oltre alcune ristrette cerchie. Punta ai giovanissimi a cui viene propagandato un modello e uno stile di chi si crede impunito, impunibile e in diritto di qualsiasi cosa, in cui chi denuncia, chi non piega la testa, chi si schiera con le regole della convivenza civile e la legalità diventa «infame», il cattivo che non vuole la felicità e far godere la vita. Perché questo è uno dei messaggi più pericolosi, meschini e squallidi con cui cercano di affascinare: fregatene di tutto e tutti (non molto lontano dal motto del ventennio «me ne frego») e fai quel che ti pare, punta ai soldi e al potere, ostenta la vita e spazza via chiunque, il rispetto va riconosciuto a chi è più forte, violento, a chi ha successo. Costi quel che costi.

Così dai Casamonica e dagli Spada a Roma ed Ostia passando per i loro parenti e affiliati abruzzesi, dai camorristi fino alla Società Foggiana e a Cosa nostra ostentano i loro crimini, la loro volgare e squallida quotidianità. Pavoneggiandosi e allo stesso tempo insultando, minacciando, inviando i messaggi più diversi. Una lunga carrellata l’abbiamo pubblicata già nei mesi scorsi. Quasi un anno dopo la situazione è la stessa, se non peggiorata. In pochi secondi di ricerca su facebook abbiamo trovata la pagina facebook di un baby boss di camorra dove tutto il loro linguaggio mafioso emerge appena si apre la pagina. A partire dagli attacchi al 41bis, presentato come tortura (qualcuno che si dice «progressista» e «democratico» riuscirà mai a riflettere su quel che trasmette e chi sostiene quando porta avanti teoremi simili?!), e gli infami. Appena aperta la pagina – che conta oltre 18.000 like – subito salta all’occhio il commento «Giusto chi fa l’infame deve pagare pentiti sbirri un uomo deve essere degno è meritevole amore perdono è libertà». 

Quanto stiamo documentando in questi primi giorni del 2021 è l’ennesima conferma della situazione. Dalle foto e video di O Malese denunciati dal nostro Gennaro Ciliberto ai video dei fuochi d’artificio e di alcune delle sparatorie di capodanno.

Oltre i social network un altro mondo dove scorazzano mafiosi, filo mafiosi e altri messaggeri che ammiccano e li vedono come punti di riferimento è quello musicale. «Siamo schifati dai testi di questa “artista”, come viene definita dai più, viste le migliaia di visualizzazioni dei suoi video e i like alle sue pagine» l’indignazione espressa da Adriana Colacicco e Gerardo Gatti di Progetto Di Vita per i testi di una «cantante» che «decanta la malavita e i malacarne», vanta le gesta della ‘ndrangheta e nelle sue canzoni «definisce i mafiosi “campioni e martiri” che sono perseguitati da infami, traditori come collaboratori di giustizia, Polizia e Carabinieri» come abbiamo documentato e raccontato in un articolo della nostra Alessandra Ruffini nei giorni scorsi.

Ancora una volta si conferma il più gettonato, osannato e venerato Riina, boss defunto ormai da anni ma ancora punto di riferimento. Una circostanza che dovrebbe far riflettere su cosa ha significato, significa e significherà ancora quel cognome e quella famiglia, su come sono pericolosi certi messaggi e gravissime certi silenzi, determinate indulgenze e «comprensioni».

Eppure per esempio, come abbiamo ripetutamente riportato nei nostri articoli, nonostante la rappresentazione fornita del padre e della famiglia, il libro «Riina family» viene ancora venduto (la casa editrice è fallita, ripetiamo la domanda: chi lo stampa quindi?) e il ritorno su facebook dell’autore terzogenito di «Totò u curtu» è stato accolto da una marea di commenti esaltati e veneranti. Lo stesso personaggio che, ormai quasi due anni fa, mentre veniva ospitato, coccolato e festeggiato – ospite d’onore a quanto pare – a Casalbordino, portava avanti aste in cui trasformò il cognome Riina in un brand, una conclusa alle 16.35 del 19 luglio. Pochi minuti prima dell’anniversario della strage di via D’Amelio. E intanto pubblicizzava, come continua ancora oggi a fare, ripetutamente su facebook il suo libro ed esaltare Totò Riina e Ninetta Bagarella. Su questa pubblicità torniamo a ripetere la domanda già posta in precedenza. In uno di questo post pubblicitari durante il soggiorno casalese c’era una foto, in pieno Gomorra style e che noi abbiamo già documentato il 17 gennaio e il 28 dicembre dell’anno scorso, in cui campeggiavano la copertina del libro, altri oggetti e quella che appare una pistola. La foto della pistola era di repertorio o scattata in quei giorni a Casalbordino? Qualcuno ha mai controllato e sorvegliato se era vera, finta, giocattolo o altro?  

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