Buon compleanno, Peppino

AUGURI GRANDE UOMO. Peppino Impastato è nato il 5 gennaio del 1948. Quattro giorni prima era entrata ufficialmente in vigore la Costituzione italiana.

Buon compleanno, Peppino
Peppino Impastato

Ci sono storie dentro le quali bisogna scavare, affossarci le mani fino alla radice per trarne fuori un germoglio di bellezza da far scoppiare nel mondo. Ci sono storie che vanno ripulite dalla polvere e dal terriccio umido della vuota retorica, per restituirle alla vita così come sono: limpide, azzurre, frizzanti.

La storia di Peppino Impastato è una di quelle. Un tesoro in mezzo all'acqua da ripescare ogni volta che ci sentiamo annegare. Oggi quel ragazzo nato a Cinisi, tra le palme e la salsedine di una terra sfregiata dalla mafia, compie settantatré anni. Compie, non compirebbe, perché ci sono uomini che restano vivi anche dopo la morte. Peppino è uno di loro.

Sembra passato un enorme tempo bianco da quel 9 maggio del '78. E invece è stata solo una breve nottata all'addiaccio da cui ci siamo risvegliati più poveri. Oggi Peppino potrebbe girarci intorno come uno qualunque. Come uno di quei settantatreenni con la mascherina tirata su con più attenzione dei giovani. Uno di quei nonni con le storie sempre pronte, allenato alla fantasia, con le scintille negli occhi.

Peppino Impastato è nato il 5 gennaio del 1948. Quattro giorni prima era entrata ufficialmente in vigore la Costituzione italiana.

Ma Peppino è cresciuto in un posto in cui i diritti dovevano ancora mendicarsi col cappello in mano e il capo chino davanti al boss del paese. Ecco perché la sua rivoluzione è ancora più dirompente delle altre: perché provava a disegnare a colori un mondo adagiato inesorabilmente sul bianco e nero.

Peppino è nato in un ambiente rassegnato, prostrato. Un piccolo cosmo chiuso in cui prepotenza, sopraffazione e ingiustizia inghiottivano le speranze di chi non aveva niente e di chi era destinato a vivere nella paura. Ci ha camminato dentro quel mondo Peppino. Ne ha respirato l'odore acre, il tanfo maleodorante. Ha osservato tutte le forme che può assumere l'assuefazione, fino a che non diventa aperta connivenza. Ha tastato la mafia con polpastrelli di bambino che poi è cresciuto ed è diventato uomo. Ma non si è mai lasciato insozzare.

Ha guardato dentro il paradiso di cartapesta dei potenti e ne ha tratto fuori solo sdegno, disgusto, la rabbia di chi non si piega e rema contro. Ostinatamente contro.

Peppino giocava a fare il cowboy contro la tribù di "Tano Seduto" Badalamenti. Solo che al posto della colt, lui aveva le parole, da scagliare come proiettili contro quel muro di omertà e malaffare che si stava mangiando Cinisi e la Sicilia.
Perché se contro una barriera impenetrabile ci spari addosso il piombo, non succede niente. Ma se contro quella stessa barriera ci lanci parole, quelle affondano, bucano la superficie e da qualche parte vanno a finire.

Questo ci ha lasciato in eredità Peppino: parole come strumento per vomitare tutto il nostro sdegno, lame da conficcare nella corazza scura del potere mafioso e dell'indifferenza.

Oggi saprebbe declinarla ancora quella rabbia, Peppino. Come sapeva fare lui, con ironia e fame di giustizia.

La mafia, caro Peppino, è ancora quella montagna di merda che ti è franata addosso abbandonandoti massacrato sui binari della ferrovia, nella notte buia d'Italia. Solo che quella stessa mafia oggi si è spalmata addosso una veste nuova, più elegante. Si è intrufolata nell'economia legale, nel tessuto imprenditoriale del Paese. Tratta con lo Stato, smista elargizioni dai banchi del Parlamento. È un grosso letamaio in cui ingrassano i potenti, ma è pur sempre quella stessa merda che tu sapresti immediatamente riconoscere e schernire.

Buon compleanno, Peppino. Certe storie, come la tua, non si possono disinnescare. Restano giovani, proprio come te. E germogliano sulle bocche di altri giovani, finché, pietra dopo pietra, la montagna di merda non si sarà accasciata su se stessa.

"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà. All'esistenza di orrendi palazzi sorti all'improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, e ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. Per questo bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l'abitudine e la rassegnazione e rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore".

 

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