Report, Baiardo e la latitanza dei Graviano

MAFIA E STATO. Le prime dichiarazioni di Salvatore Baiardo risalgono al 1996. Le sue dichiarazioni non finirono mai dentro un’inchiesta anche perché lo stesso Baiardo chiese di mantenere l’anonimato e scelse di non voler confermare le sue dichiarazioni.

Report, Baiardo e la latitanza dei Graviano
Il collega Ranucci

Durante la puntata di Report, andata in onda ieri 4 gennaio, ha fatto sicuramente scalpore l’intervista a Salvatore Baiardo, personaggio sicuramente sconosciuto ai più. Quanto dichiarato dal Baiardo che, molto spesso, ha solo confermato con il capo quanto chiesto dall’intervistatore, è solo la lunga coda di quella che, ancor oggi, è impossibile definire una vera e propria collaborazione tra il Baiardo e lo Stato.

 

Per meglio capire chi sia Salvatore Baiardo bisogna tornare all’inizio del 2020 quando si tenne il processo denominato “’Ndragheta stragista” e a quanto dichiarò allora Francesco Messina, dirigente della polizia di Stato in servizio alla Dia di Milano sino al 1997 e oggi Direttore del servizio Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Acquisito agli atti del processo un documento di duecento pagine, firmato dal dottor Messina, inviato alla procura di Reggio Calabria, in cui gli investigatori della Direzione investigativa antimafia dettagliarono la latitanza in Nord Italia dei boss di Brancaccio e i loro legami – sempre presunti – con Marcello Dell'Utri.

 

Per meglio avvalorare la loro indagine citano un vecchio documento investigativo del '97 definito di "portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi comprovata attendibilità e riscontro".

E sui contenuti di questo documento fu deciso di sentire il dottor Messina che, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha ricostruito la collaborazione “ondivaga” di Salvatore Baiardo, il gelatiere di Omegna di origini siciliane, “testa di legno” dei fratelli Graviano, nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi.

 

“Io - ricorda Francesco Messina - ho incontrato fisicamente due volte Salvatore Baiardo, insieme al collega Zito della Dia di Firenze, quando lo stesso sembrava orientato a collaborare nell’estate del 1994, vicino a Omegna. In quell’occasione rappresentò di avere genericamente notizie per ricostruire la latitanza dei Graviano, ci parlò dei Graviano e dei loro contatti ma ci disse di avere paura e non si fece nulla”.

 

Nel corso delle sue dichiarazioni ha raccontato il contenuto del primo verbale di sommarie informazioni rilasciato da Salvatore Baiardo e sull’annotazione di servizio sul primo incontro con il gelatiere di Omegna che rappresentò agli investigatori della sua conoscenza con i fratelli Graviano dal 1989 sino al 1994: anno in cui i Graviano vennero arrestati. 

 

“Baiardo - dichiarò Messina - ci ha riferito che a casa sua, fra il 1991 e il 1992, fu presente a due conversazioni telefoniche fra Marcello Dell’Utri e Filippo Graviano su questioni di interesse economico. Capì che si trattava di Dell’Utri perché Graviano pronunciò il suo nome a chi rispose al telefono per farsi annunciare”.

 

E ancora: “Baiardo ci disse di avere particolari su rapporti fra Dell’Utri e Graviano e che vi fosse coinvolto anche tale Fulvio Lima che, a suo dire, era parente di Salvo Lima e che aveva rapporti economici con Graviano”.

“Baiardo - ha continuato Francesco Messina - ci disse che i Graviano, attraverso Dell’Utri, erano interessati al finanziamento del nascente partito di Forza Italia perché poteva garantirli.

Baiardo, poi, ci raccontò anche di aver accompagnato i fratelli Graviano presso il ristorante Assassino dove avrebbero dovuto incontrare Dell’Utri ma che non partecipò a quell’incontro”.

 

Si aprì quindi un’inchiesta? No, le dichiarazioni del Baiardo non finirono mai dentro un’inchiesta anche perché lo stesso Baiardo chiese di mantenere l’anonimato e scelse di non voler confermare le sue dichiarazioni per paura.

 

“Sino al 1997 - ha spiegato Messina - non si fecero accertamenti”. Rispondendo a una domanda della presidente Ornella Pastore, infine, Francesco Messina commenta il rapporto con Salvatore Baiardo, o meglio la sua idea sulla collaborazione: “Era difficile - ha detto - trovare una logica nel comportamento di Baiardo. Non c’è mai stata una grande collaborazione. Abbiamo anche avuto il dubbio che il suo comportamento fosse etero diretto”.

 

Dopo il 1997 Baiardo torna a parlare, come una bomba a orologeria.

Nel 2012 racconta ai giornalisti Peter Gomez e Marco Lillo: “I Graviano sono stati lì due estati. Nel 1992 ho affittato io la villa per loro e invece di sentire me i magistrati sentono le cazzate di Tranchina e Spatuzza. Andate a vedere la villa pagata da me, affittata da me. Era in linea d’aria a 200 metri dall’ex presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr). Via mare ci si arriva perché era proprio sul mare. Poi da quello a dire che si conoscessero e si frequentassero c’è ne passa. Io l’ho affittata nel 1992. Poi presumo che nel 1993 abbiano ripreso la stessa villa, ma il contratto non l’ho fatto io”.

 

Anche queste dichiarazioni non sono finora mai state riscontrate e per i magistrati Baiardo non è attendibile.

 

L’unico riscontro possibile delle dichiarazioni del Baiardo sono solo le sue dichiarazioni antecedenti, ossia quelle che compaiono nel documento della Dia di Firenze sopracitato: “I fratelli Graviano avrebbero, inoltre, trascorso parte della latitanza (agosto- settembre 1993) in località della Sardegna, ivi occupando sia un appartamento che una villa, entrambi ubicati nella zona di Porto Rotondo“.

 

Si tratta però d’informazioni che il gelataio di Omegna si è sempre rifiutato di ripetere di fronte ai magistrati«Con noi, ci furono dei contatti preliminari finalizzati a capire se fosse intenzionato a collaborare – spiega Messina – e sembrava intenzionato a dare un contributo, tanto che il dottor Patronaggio e il dottor Caselli vennero da Palermo alla Dia di Milano per sentirlo. Lui fu convocato e all’apertura del verbale disse che non aveva nulla da riferire».

 

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