Carceri, tra sovraffollamento e covid-19
Cosa sta accadendo negli istituti di pena italiani? Come si sta affrontando la pandemia? INTERVISTA al coordinatore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione, Michele Miravale: «Abbiamo circa quattordici casi accertati. La sensazione è che siano molti di più e questo sta creando molta paura. Abbiamo una Costituzione che sul tema carcere è molto avanzata perché molti padri costituenti avevano vissuto l’esperienza penitenziaria durante il fascismo e la disumanità dei luoghi come il carcere. Molti parlano di carcere senza esserci mai entrati».
In questo Paese è possibile portare avanti una discussione seria su un argomento delicato? Si può affrontare il tema delle condizioni di detenzione? Sembra un argomento tabù. Poco se ne discute. E quelle poche volte che se ne parla si utilizzano affermazioni dannose e populiste. Nel Paese dei giustizialisti, un tanto al chilo, e dei garantisti, a convenienza, questo dibattito sembra provocare l’orticaria. Nonostante l’articolo 27 della Costituzione, caduto nel dimenticatoio, si continua a far finta di niente. Nel 2013 è arrivata anche la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza Torreggiani, per i trattamenti inumani e degradanti legati al sovraffollamento carcerario.
«Le pene – si legge nella Carta Costituzionale - non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità devono tendere alla rieducazione del condannato». Quali sono le condizioni all’interno delle strutture carcerarie italiane? Perché, in questi tempi bui, i carcerati hanno organizzato, in diverse strutture, eclatanti sommosse? Si sono messi d’accordo o esiste un problema di fondo riemerso con il contagio da coronavirus?
Partiamo dai numeri. Secondo il quindicesimo Rapporto dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, al 30 aprile 2019, sono 60.439 i detenuti presenti nelle carceri italiane. Diecimila in più, rispetto ai 50.511 posti letto ufficialmente disponibili, «cui si debbono sottrarre gli eventuali spazi momentaneamente in manutenzione».
Il tasso di affollamento sfiora il 120%. Le donne sono 2.659 (4,4% del totale), i detenuti stranieri sono 20.324, il 33,6%.
Secondo Michele Miravale, coordinatore dell’Osservatorio: «il sovraffollamento è strutturale e altalenante. Dal 2013 in poi sopra la capienza massima dei posti disponibili. Qualche riforma era stata fatta, ma il loro effetto è terminato in un paio di anni. E i numeri hanno ripreso a salire notevolmente. Il dato sul sovraffollamento è molto disomogeneo, per cui abbiamo alcuni carceri con un sovraffollamento tra il 150 e il 200%».
E dopo le rivolte? «Stando ai numeri ufficiosi – spiega Miravale - sarebbero tra i 1.000 e i 2.000 posti distrutti dalle rivolte o, comunque, resi inagibili. Tutto il carcere di Modena oggi è inagibile. Ai 50 mila posti disponibili dobbiamo togliere, facendo una media, quei 1.500 posti distrutti. Gli ultimi episodi hanno ulteriormente aggravato la situazione. Se davvero l’obiettivo di tutti è quello di evitare il contagio da coronavirus la prima cosa è annullare il sovraffollamento. Mentre, invece, quest’ultimo decreto, dai nostri calcoli, nelle migliori delle ipotesi, dovrebbe mandare in detenzione domiciliare tra le 2 mila e le 3 mila persone. Anche se il provvedimento fosse applicato in maniera sistematica avremmo comunque una situazione di sovraffollamento e, quindi, molto pericolosa sul piano del rischio contagio».
Un decreto, quindi, poco soddisfacente? «Proprio per una ragione numerica. Nessuno in questo momento sta pensando di strumentalizzare il coronavirus. Il problema è la tutela delle persone che vivono in carcere. Noi facciamo rientrare non solo i detenuti ma tutti i lavoratori, quindi gli operatori di polizia penitenziaria, gli educatori e i direttori che sono i primi soggetti ad essere impauriti. Anche perché, a fine turno, tornano a casa e questo virus, potenzialmente, possono portarlo in giro. C’è una volontà di fare provvedimenti che servano a tutelare la salute. Se il Governo non si libera di questo chiodo fisso “più carcere, più carcere, più carcere” rischiamo di trasformare le carceri in bombe sanitarie. Il problema è che in carcere, per questioni strutturali, quelle norme che noi stiamo seguendo sono impossibili da applicare».
Alla fine del 1998 – si legge nel Rapporto di Antigone - i detenuti erano 47.811. All’inizio di quel decennio (30 giugno 1991) erano 31.053. Dopo l’indulto del 2006, «la popolazione detenuta è stata tendenzialmente in continuo aumento fino al picco del 2010», 68.258 i detenuti a metà anno (tasso di affollamento pari al 153%).
Nel 2013 arriva la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. «Con le misure prese a seguito della sentenza, i numeri della popolazione detenuta sono cominciati a calare ulteriormente, fino al 31 dicembre del 2015», con 52.164 detenuti. «È dall’inizio del 2016 che si inverte nuovamente la tendenza, registrando un continuo aumento del numero dei detenuti».
Ecco i numeri disomogenei: la Lombardia, con 8.610 detenuti, è la regione italiana con più carcerati. Poi c’è la Campania con 7.844, il Lazio con 6.528 e la Sicilia con 6.509. La Puglia è la regione con il tasso di affollamento maggiore, pari al 160,5%, seguita dal piccolo Molise, con 419 detenuti nei 3 istituti penitenziari e con un tasso di affollamento pari al 155,2%. A seguire la Lombardia con il 138,9%.
La Sardegna (79,4%) e le Marche (98%) sono le uniche regioni senza sovraffollamento. «Sono 42 gli istituti di pena con un tasso di affollamento superiore al 150%». Le carceri di Taranto (199,7%) e Como (197%) sono le più sovraffollate d’Italia. Segue Chieti (193,6%), Brescia Canton Mombello (193,1%) e Larino (192,1%).
Rispetto al coronavirus qual è la situazione? «Stiamo monitorando – dichiara Michele Miravale -, abbiamo avuto un innalzamento delle segnalazioni. Il primo effetto del coronavirus era la famosa sospensione dei colloqui con i familiari, quindi oggi in carcere non si possono fare. Dove va bene sono stati sostituiti con telefonate o con dei colloqui skype. Anche questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso per le rivolte. Abbiamo circa quattordici casi accertati di detenuti nelle carceri italiane. La sensazione è che siano molti di più e questo sta creando molta paura. Il problema, in queste condizioni di sovraffollamento, è che determinate misure, come ad esempio la quarantena, sono difficili da attuare, perché non ci sono gli spazi per farlo. Allora bisogna rivolgersi all’esterno, ai servizi sanitari che sono già al collasso, oppure affidarsi alla Madonna per chi ci crede. Battute a parte, non ci sono gli spazi per applicare quelle profilassi e quegli strumenti che si possono applicare alla società dei liberi».
Questo problema come si sta affrontando? «In ordine sparso. C’è una mappa che stiamo aggiornando. In questa fase, e questa è un’altra critica che facciamo al Governo, si sono lasciati i direttori soli di fronte a questa emergenza. Si sono date informazioni vaghe, si è parlato genericamente di ampliamento dei posti per i colloqui (telefonici e via skype) senza entrare troppo nel merito, si è parlato di dispositivi di protezione individuale (dpi), di disinfettanti. Ma non sono arrivati nei vari Istituti. Si è lasciato molto alla iniziativa individuale dei singoli territori e, quindi, abbiamo situazioni molto diverse. La situazione è a macchia di leopardo».
Ecco cosa emerge dal Rapporto per quanto riguarda il dato assoluto dei detenuti in sovrannumero rispetto ai posti letto disponibili. Ad esempio, nel carcere di Poggioreale (Napoli) ci sono 731 detenuti in più, mentre in quello di Secondigliano sono 418. A Rebibbia Nuovo Complesso (Roma) ce ne sono 400 in più, rispetto alla sua capienza. Nel carcere di Regina Coeli (Roma) sono 381, a Milano Opera 387, a Torino 341, a Taranto 305, a Bologna 303, a Lecce ben 415.
Ma in questo Paese è un tabù parlare di questi argomenti? «Diciamo - continua il coordinatore dell’Osservatorio di Antigone – che siamo un Paese che negli ultimi anni ha un po’ perso l’umanità da questo punto di vista. Calamandrei diceva bisogna aver visto. Noi abbiamo una Costituzione che sul tema carcere è molto avanzata perché molti padri costituenti avevano vissuto l’esperienza penitenziaria sulla loro pelle durante il fascismo e sapevano cosa significava la privazione della libertà e la disumanità dei luoghi come il carcere. Molti parlano, politici e commentatori, di carcere senza banalmente esserci mai entrati, semplicemente perché si rifiutano di conoscere quelle realtà. Se conoscessero un po’ più quelle realtà, probabilmente, si capirebbe che per la maggior parte la popolazione detenuta è una popolazione, tendenzialmente, di persone con problemi variegati e diversi, in cui il problema criminale è solo l’ultimo».
Facciamo degli esempi per capire meglio. «Mi riferisco ai problemi di droga, ai problemi di povertà, ai problemi di inclusione sociale. Noi pensiamo alla popolazione carceraria come una popolazione fatta di grandi criminali. Ma non è così. Ovviamente c’è una percentuale e non l’abbiamo mai negato. Ma, in certe realtà, la maggior parte non appartiene a questa categoria. E quindi se si ha un’idea sbagliata di quello che è il carcere necessariamente le risposte normative sono risposte che non considerano determinati aspetti, che non considerano che il problema delle droghe si deve risolvere con strumenti diversi. Un piccolo spacciatore non lo aiuti con una condanna in carcere. Da questo deriva il tabù. Altre società lo hanno fatto e sono più sicure. Oggi si stanno tenendo queste posizioni anche di fronte al virus che in carcere, come in qualsiasi struttura chiusa, rischia di essere letteralmente letale. Una vera bomba sanitaria».
Nella Relazione c’è anche un passaggio importante sugli spazi inadeguati. «Tra le 85 carceri visitate da Antigone nel 2018, sono 16 quelle in cui abbiamo avuto modo di osservare direttamente celle nelle quali non venivano garantiti i 3 metri quadri di spazio a persona, soglia considerata dalla Corte di Strasburgo quale parametro minimo al di sotto del quale estremo è il rischio di trattamento inumano o degradante». Nell’elenco compare il carcere di Milano Opera, Poggioreale, Secondigliano, Bergamo, Milano San Vittore, Monza, Voghera, Alba, Pisa, Campobasso, Civitavecchia Nuovo Complesso, Turi, Trani femminile, Catanzaro, Catania Piazza Lanza e Nuoro.
Ma allora l’articolo 27 della Costituzione a cosa serve? È stato mai applicato? «L’Italia è il paese di Beccaria, dell’Illuminismo, c’è una grande tradizione nel nostro Paese. L’abbiamo un po’ tradita, ma non solo in Italia».
Perché è stata tradita? «Siamo all’interno di un mondo occidentale che ha preferito le risposte di populismo penale ad un approccio molto più serio e, soprattutto, basato sui dati e sulla realtà dei fatti».
Ma, nelle carceri italiane, il singolo detenuto può essere rieducato? «Questo è uno dei problemi. Le rivolte non scoppierebbero se i detenuti avessero la sensazione di non essere abbandonati sul piano umano e sul piano giuridico. Oggi, in carcere, c’è disperazione. I detenuti sono perfettamente consapevoli che una delle poche prospettive, quando usciranno, è tornare a delinquere. Le rivolte della settimana scorsa, nella maggior parte dei casi, sono rivolte di disperati».
Le due norme contenute nel DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18
Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Art. 123
(Disposizioni in materia di detenzione domiciliare)
1. In deroga al disposto dei commi 1, 2 e 4 dell’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2020, la pena detentiva è eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, salvo che riguardi:
a) soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale;
b) delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale;
c) detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell'articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall'articolo 14-ter della medesima legge;
d) detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati per le infrazioni disciplinari di cui all’articolo 77, comma 1, numeri 18, 19, 20 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230;
e) detenuti nei cui confronti sia redatto rapporto disciplinare ai sensi dell’articolo 81, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse a far data dal 7 marzo 2020;
f) detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.
2. Il magistrato di sorveglianza adotta il provvedimento che dispone l’esecuzione della pena presso il domicilio, salvo che ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura.
3. Salvo si tratti di condannati minorenni o di condannati la cui pena da eseguire non è a superiore a sei mesi è applicata la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari.
4. La procedura di controllo, alla cui applicazione il condannato deve prestare il consenso, viene disattivata quando la pena residua da espiare scende sotto la soglia di sei mesi.
5. Con provvedimento del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, d’intesa con il capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, adottato entro il termine di dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto e periodicamente aggiornato è individuato il numero dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici da rendere disponibili, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, che possono essere utilizzati per l’esecuzione della pena con le modalità stabilite dal presente articolo, tenuto conto anche delle emergenze sanitarie rappresentate dalle autorità competenti. L’esecuzione del provvedimento nei confronti dei condannati con pena residua da eseguire superiore ai sei mesi avviene progressivamente a partire dai detenuti che devono scontare la pena residua inferiore.
6. Ai fini dell’applicazione delle pene detentive di cui al comma 1, la direzione dell’istituto penitenziario può omettere la relazione prevista dall’art. 1, comma 4, legge 26 novembre 2010, n. 199. La direzione è in ogni caso tenuta ad attestare che la pena da eseguire non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, che non sussistono le preclusioni di cui al comma 1 e che il condannato abbia fornito l’espresso consenso alla attivazione delle procedure di controllo, nonché a trasmettere il verbale di accertamento dell'idoneità del domicilio, redatto in via prioritaria dalla polizia penitenziaria o, se il condannato è sottoposto ad un programma di recupero o intende sottoporsi ad esso, la documentazione di cui all'articolo 94, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309, e successive modificazioni.
7. Per il condannato minorenne nei cui confronti è disposta l’esecuzione della pena detentiva con le modalità di cui al comma 1, l’ufficio servizio sociale minorenni territorialmente competente in relazione al luogo di domicilio, in raccordo con l’equipe educativa dell’istituto, provvederà, entro trenta giorni dalla ricevuta comunicazione dell’avvenuta esecuzione della misura in esame, alla redazione di un programma educativo secondo le modalità indicate dall’articolo 3 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, da sottoporre al magistrato di sorveglianza per l’approvazione.
8. Restano ferme le ulteriori disposizioni dell’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, ove
compatibili.
9. Dall’attuazione del presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono alle attività previste mediante utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Art. 124
(Licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà)
1. Ferme le ulteriori disposizioni di cui all’art. 52 della legge 26 luglio 1975, n. 354, anche in deroga al complessivo limite temporale massimo di cui al comma 1 del medesimo articolo, le licenze concesse al condannato ammesso al regime di semilibertà possono avere durata sino al 30 giugno 2020.