Cavallini è colpevole, legami con i servizi. Alla stazione di Bologna “fu strage di Stato”

2200 pagine, questo è il peso cartaceo delle “motivazioni” depositate dal giudice Michele Leoni, presidente della Corte d’Assise ed estensore della sentenza, parte per motivare la condanna all’ergastolo dell’ex Nar oggi 68enne, ritenuto in primo grado “oltre ogni ragionevole dubbio” colpevole di concorso nella strage del 2 Agosto, così come prima di lui Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Valerio Fioravanti. Il peso storico e processuale, invece, è al pari di quello di un macigno che piomba su una farfalla.

Cavallini è colpevole, legami con i servizi. Alla stazione di Bologna “fu strage di Stato”

Lo riconosce lo stesso Leoni. La nuova condanna arriva a quarant’anni di distanza ma avrebbe potuto essere pronunciata molto tempo fa perché per la Corte “Gilberto Cavallini è colpevole anche nella sola ipotesi «minimale» del contributo logistico e agevolatore dato dall’ospitalità da lui concessa» al duo Mambro-Fioravanti nella sua casa di Villorba di Treviso. I giudici si chiedono perché “per sette lustri una persona sia stata, sostanzialmente, in attesa di giudizio”.

 

Non c’è, è vero, la “pistola fumante” che nemmeno 40 anni di processi hanno mai rinvenuto, ossia quell’elemento o quella testimonianza che abbia potuto collocare il gruppo dei Nar in stazione a Bologna quella mattina, ma secondo la Corte “a fronte degli innumerevoli indizi gravi raccolti, che si legano tra loro e si potenziano a vicenda” il quadro probatorio emerso durante il dibattimento contro Cavallini è “univoco e di notevole spessore” ma anche corroborato da nuovi indizi.

 

 

Quella del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna fu una strage politica, una strage di Stato e non certo l’azione di un gruppo spontaneista.

 

I neofascisti implicati non erano “quattro amici al bar”. Secondo i giudici si tratta di una strage di Stato inserita in un contesto di eversione e in un’operazione complessa di destabilizzazione dell’ordine democratico.

 

Cavallini, si legge nelle motivazioni, “era tutt’altro che uno spontaneista confinato in una cellula terroristica autonoma”. Non solo.

Le motivazioni indicano che “Risulta chiaro che, con i suoi collegamenti, (Cavallini, ndr) era pienamente consapevole dei disegni eversivi che coinvolgevano il terrorismo e le istituzioni deviate”.

 

Una strage che si colloca, con profonde radici, in quella che è passata alla storia come strategia della tensione.

 

Il giudice ricorda che “resta invece il fatto che quella di Bologna è stata una strage buona per tutte le piste, varie, eterogenee, tutte fungibili come pezzi di ricambio, per nulla imparentata l’una con l’altra, salvo che per un comune intento: negare la responsabilità di terroristi di destra italiani, servizi segreti italiani e istituzioni italiane, e dirottare tutto su imprecisate, fantomatiche e fantasiose organizzazioni estere, o su governi esteri che a loro volta reclutavano imprecisati e fantomatici mercenari. Anche questo non è senza significato. Ma è anche drammatico perché rivela come, da più parti, ma congiuntamente si sia sempre operato sistematicamente per nascondere la verità. Quella della strage di Bologna resta una vicenda costellata da una stupefacente convergenza di falsità e depistaggi, che dura tutt’ora”.

 

E ancora, i giudici mettono il dito nella piaga dei depistaggi che in questi quarant’anni hanno alimentato l’improbabile pista che spesso ha portato all’estero.

 

Indicano false testimonianze finalizzate a depistare le indagini, ma anche molta reticenza e diverse calunnie. Sono dodici i testimoni indicati nelle motivazioni che a vario titolo dovranno rispondere di menzogne e mezze verità dette durante le 42 udienze del processo a Gilberto Cavallini.

 

Di nuovo sotto indagine c’è Valerio Fioravanti, il biondino neofascista ex capo dei Nar già condannato in via definitiva per la strage.

In questo caso il Fioravanti è accusato di falsa testimonianza e calunnia nei confronti dell’ex pm Claudio Nunziata, dell’allora capitano Giampaolo Ganzer e di Nicolò Amato, l’allora direttore del Dap.

 

Di falsa testimonianza dovranno invece rispondere anche Luigi Ciavardini, altro condannato in via definitiva e l’ex compagna di Cavallini, Flavia Sbrojavacca.

Nell’elenco redatto da Leoni ci sono anche Elena Venditti, Giovanna Cogolli, Stefano Sparti, Roberto Romano, Pierluigi Scarano, Fabrizio Zani ma anche il generale Mario Mori, accusato di falsa testimonianza e reticenza, e Vincenzo Vinciguerra accusato di reticenza.

 

Le vittime continuano a essere 85 e non 86 come paventava l’ipotesi che legava il ritrovamento del corpo di Maria Fresu oltre ai resti di un altro possibile corpo che portava, appunto, il numero delle vittime a 86. Scrive il giudice: “l’unica spiegazione razionale è che la Fresu, per la sua particolare posizione rispetto all’onda di d’urto della bomba, ne sia stata travolta e che sia stata investita da massicci crolli di strutture, con l’effetto che il suo corpo sia stato smembrato in maniera tale da non rendere più assimilabili i suoi resti, che possono essere andati a finire in contenitori residuali, poi dispersi”.

 

Intervistato da Giuseppe Baldessarro per Repubblica, Paolo Bolognesi, presidente della “Associazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna” dichiara: “Mi pare di capire che nei fatti (la sentenza, ndr) accoglie la nostra tesi. Tra l’altro è la stessa che abbiamo scritto nel manifesto per il 40ennale del Due agosto: «Una strage fascista, finanziata dalla P2 e coperta dai servizi segreti». Mi pare che anche i giudici vadano in quella direzione”. E ancora: “Di certo c’erano di mezzo i servizi segreti e non parlo di figure di secondo piano, ma dei vertici degli apparati dello Stato, legati a doppio filo con Licio Gelli e la P2. Gente che ha fatto carriera grazie alla politica che li ha nominati nei gangli vitali del nostro Paese”.

 

La procura generale di Bologna sta perseguendo il percorso che ha portato a chiedere il rinvio a giudizio per il possibile quinto uomo dell’attentato, Paolo Bellini, e per chi quelli considerati complici del depistaggio ossia l’ex generale del Sisde Quintino Spella e l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, e per Domenico Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli a Roma, imputato per false informazioni al pm, non dovrà avere dubbi ma troverà, nelle parole messe nere su bianco, una sorta di macro indicazione dell’orizzonte da esplorare in futuro nel nuovo processo.

 

“Sia chi ha commesso una strage (come qualsiasi altro delitto) sia chi lo protegge – si legge ancora nelle motivazioni – è a conoscenza delle ragioni per le quali la strage è stata fatta, e doveva essere fatta. Soprattutto entrambi vogliono salvaguardare il fine della strage, ossia il terrore, che per essere davvero totale, dirompente e inarginabile deve provenire da una mano invisibile.

Solo in questo modo si fa sentire la popolazione esposta su tutti i fronti, in balia di ogni cosa, senza coordinate, riferimenti, ripari sicuri, perché nessuno può individuare un nemico da cui difendersi”.

 

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