Cosa sta rivelando Pietro Riggio al processo Trattativa Stato-mafia?

PRIMI RISCONTRI. Nell'udienza del 23 novembre al processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia è stata ascoltata la dirigente della Squadra mobile di Caltanissetta, Marzia Giustolisi, a proposito degli accertamenti effettuati sulle dichiarazioni del collaboratore Riggio. La deposizione è stata interrotta su richiesta delle difese, l'esame differito e l'udienza aggiornata al 14 dicembre. Ma intanto proviamo a capire cosa sta dicendo Riggio ai magistrati e perché le sue dichiarazioni, se provate, sarebbero sconvolgenti.

Cosa sta rivelando Pietro Riggio al processo Trattativa Stato-mafia?
Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia

Nell'ultima udienza del processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia, quella tenutasi il 23 novembre scorso, si sarebbe dovuto procedere all'esame dei riscontri effettuati dal vicequestore Marzia Giustolisi, dirigente della Squadra mobile di Caltanissetta, in merito alle dichiarazioni del pentito Pietro Riggio. Esame che però è stato differito in seguito alle richieste della difesa di Marcello Dell'Utri, che vuole procedere all'ascolto dei riscontri solo sulle parti non omissate.

L'udienza è stata dunque aggiornata al 14 dicembre, ma qualche piccolo elemento è già emerso dalle prime battute della deposizione.

Secondo gli accertamenti svolti dalla Squadra mobile di Caltanissetta, infatti, Giovanni Peluso e Giuseppe Leonardo Porto, i due ex agenti di cui Riggio aveva parlato nei suoi interrogatori, erano detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel periodo (1998-99) in cui vi era anche il collaboratore di giustizia. Porto, per il quale non risulta che abbia mai percepito emolumenti da parte della Presidenza del Consiglio come membro dei Servizi di sicurezza, sarebbe comunque considerato un “collaboratore esterno”.

Inoltre, sempre secondo l'esame dei riscontri effettuati, si è accertato che esisteva una corrispondenza fitta tra Riggio, Peluso, Porto e Pasquale De Nicola (detenuto insieme agli altri nel carcere di Santa Maria Capua Vetere). La dottoressa Giustolisi ha sottolineato come i quattro utilizzassero nomi in codice e linguaggi cifrati per comunicare. Porto era “Elliot”, Peluso “Giaguaro”, De Nicola “El Tano” e Riggio “Pedro”, “Cobra” o “Gabriel”. Per indicare località e cognomi, veniva utilizzato un alfabeto criptato inventato direttamente da loro, in parte decifrato dalla Squadra mobile nissena.

A questo punto l'esame si è interrotto su richiesta della difesa dell'ex senatore Dell'Utri. Per ulteriori novità e per un'analisi approfondita sui riscontri ai verbali degli interrogatori di Riggio del 7 e del 26 giugno 2018, dovremo attendere l'udienza del 14 dicembre.

Intanto le dichiarazioni di Pietro Riggio, di cui si sono già occupate diverse Procure, non sono passate affatto inosservate.

Il collaboratore di giustizia è un ex agente di polizia penitenziaria, destituito in seguito al primo arresto nel 1998. Tornato in libertà nel 2000, si è avvicinato a Cosa nostra entrando a far parte dell'organizzazione criminale. Nel 2004, in seguito all'operazione Itaca Bobcat, viene nuovamente tratto in arresto e condotto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove rimane fino a marzo del 2008. Pochi mesi dopo, a luglio, viene raggiunto da un nuovo fermo ed è in quel momento che decide di iniziare la collaborazione con la giustizia.

Riggio è stato già sentito da cinque Procure nell'ambito di processi diversi, legati però dalla comune presenza della longa manus dello Stato che ha agito nell'ombra per occultare tante, troppe verità.

Sentito al processo d'Appello sulla Trattativa, Riggio aveva dichiarato, tra le altre cose, di aver raccolto le confidenze del mafioso Vincenzo Ferrara, cognato di Piddu Madonia. Secondo il boss, detenuto nel carcere di Villalba negli anni in cui Riggio vi prestava servizio, sarebbe stato Marcello Dell'Utri a suggerire gli obiettivi delle stragi sul continente. Da Cosa nostra sarebbe arrivato l'input a votare Forza Italia, perché questo era “il partito che ci poteva aiutare”.

Ma non sono solo le confidenze di Ferrara a catturare l'attenzione dei magistrati. Riggio, che sostiene di essere stato minacciato “da appartenenti allo Stato, non dalla mafia”, ha parlato anche dell'uccisione di Luigi Ilardo, del “suicidio” in carcere di Antonino Gioè (“Tutti sapevano che non si era suicidato. Mi racconta Di Modugno [agente di polizia penitenziaria, collega di Riggio] che Gioè il giorno in cui decise di collaborare, aveva fatto una lettera. Non quella che fu ritrovata, ma un'altra ben precisa in cui accusava e faceva dei nomi, parlava di stragi e dei contatti con servizi segreti con cui lui aveva avuto a che fare”), delle confidenze di Pino Del Vecchio sulla mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso, del progetto di attentato nei confronti del magistrato Leonardo Guarnotta, della proposta fattagli da Peluso e Porto di entrare a far parte di una task force per catturare Provenzano, delle “presenze esterne” a Cosa nostra nell'attentato di Capaci, nel quale lo stesso Giovanni Peluso sarebbe stato coinvolto nella fase esecutiva della strage “come uomo dei Servizi” e a cui avrebbe preso parte anche una donna dei servizi segreti libici.

Fiumi di parole, pagine e pagine di interrogatori che devono naturalmente trovare tutti i riscontri. Siamo difronte a un nuovo Buscetta, come si è giustamente domandato Andrea Purgatori nella sua trasmissione Atlantide, o a un secondo flop Scarantino?

I dubbi sono legittimi, per questo l'udienza del 14 dicembre potrebbe essere importante in tal senso. Sappiamo che sono stati fatti accertamenti sulle relazioni di Peluso con i Servizi, sulle confidenze di Vincenzo Ferrara, sull'attentato a Guarnotta, sullo “zio Tony” (che la Dia avrebbe individuato in Antonio Mazzei), sulle conoscenze di Riggio in ambito mafioso e sul suo rapporto di collaborazione con la Dia.

Nella prossima udienza del processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia avremo qualche risposta in più.

 

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