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È vero che le mafie esistono solo al sud?

Dall'inchiesta di Report possiamo vedere, ancora una volta, che non è così

by Antonino Schilirò
17 Gennaio 2024
in Mafie
Reading Time: 6 mins read
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Dalle tranquille e produttive province di Padova e Treviso al distretto vicentino della chimica, le organizzazioni mafiose si stanno prendendo il Veneto.

Le inchieste antimafia degli ultimi anni hanno portato alla luce un territorio in cui si è radicata la criminalità organizzata: nel ricco Nordest Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Casalesi si mescolano, concludono affari, si infiltrano negli appalti, si interessano di voti e di amministrazione pubblica, intrattengono rapporti privilegiati con forze dell’ordine, imprenditoria e massoneria.

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L’imprenditore Luigi Brugnaro, prima di diventare sindaco di Venezia, si aggiudica con altri una gara, quella per il restauro e la gestione della Scuola della Misericordia, un palazzo storico del 500 dove si tengono avvenimenti ed eventi esclusivi. Dopo avere speso 11 milioni di euro per il restauro nel 2017 un dirigente del comune di Brugnaro, concede la gestione della Scuola della Misericordia all’imprenditore Brugnaro fino al 2051.

La Misericordia sembra una succursale del partito di Brugnaro, Coraggio Italia, di cui un personaggio importante è la deputata Martina Semenzato, ex dipendente di Brugnaro e fa parte del consiglio di amministrazione della SMV, la società che gestirà la Scuola della Misericordia.

La SMV è stata socia del consorzio AEDERS e fa riferimento a Pietro Mollica, imprenditore messinese, coinvolto in inchieste di mafia e assolto definitivamente nel 2011. Ma dal 2015, e poi confermato nel 2019, il Tribunale delle Misure di Prevenzione gli ha sequestrato e poi confiscato definitivamente beni per 171 milioni di euro perché provenienti dalla criminalità organizzata. Tra questi beni c’erano anche le quote del consorzio con cui era socio di Brugnaro.

“Fino a quando la SIAF (di proprietà dei fratelli Domenico, Pietro e Antonino Mollica con la quale vincevano centinaia di appalti) finisce in una mega inchiesta con 250 persone inquisite, il che significa a metà degli amministratori della provincia di Messina. C’era molta attesa perché si toccavano i vertici della politica regionale e i maggiori esponenti della politica messinese”

afferma il giornalista Enzo Basso ai microfoni di Report.

Nel 1991 il comune di Piraino viene sciolto per mafia

“per la presenza ossessiva del gruppo Mollica all’interno del consiglio comunale”.

Il mistero, in tutto questo, è come mai Brugnaro sia rimasto in società con Mollica anche quando nel 2015 è stato arrestato, quando il Tribunale per le Misure di Prevenzione di Roma aveva prima sequestrato e poi confiscato definitivamente i beni per 171 milioni di euro, proventi accumulati grazie ai rapporti di Mollica con la mafia messinese e i clan della camorra (secondo la Guardia di Finanza).

Mollica è risultato in contatto con personaggi vicini al clan Cesarano, Alfieri, i Casalesi di Francesco Bidognetti, in particolare Antonio Cozzolino, uomo del clan Moccia adesso in carcere perché qualche mese fa ha puntato la pistola in testa a Moccia chiedendo indietro 8 milioni di euro, pluri-indagato perché è riuscito a movimentare ben 43 milioni di euro (sconosciuto al fisco).

In questo momento c’è un processo chiamato ‘Eraclea‘, proprio per il posto in questione. Secondo la Procura antimafia fin dagli anni ‘90 si è radicata una costola del clan dei casalesi.

Nel 2019 vengono arrestati politici, imprenditori, professionisti ed esponenti delle forze dell’ordine.

L’attenzione cade su Luciano Donadio, non solo imprenditore originario di Casal di Principe, ma anche presunto boss dei Casalesi. Sono state messe in luce le dinamiche che fanno capire la capacità delle mafie di lucrare tramite gli appalti e la pubblica amministrazione, grazie alla presenza della massoneria. Report si è poi occupata delle indagini sul presunto gruppo Donadio, e quindi estorsioni, minacce, usura, voto di scambio, la condanna di Donadio a 26 anni di reclusione per associazione a delinquere senza l’aggravante mafiose.

Si è inoltre occupata della presenza della ‘ndrangheta a Verona e dei contatti politici presenti all’interno della giunta dell’ex sindaco di Verona, Flavio Tosi.

“L’imprenditore ‘ndranghetista veste come noi, mangia come noi ha l’accento calabrese come il mio però porta tanti soldi. Mettiamo il caso in cui l’imprenditore del nord sia in buonafede. Quando l’imprenditore ‘ndranghetista gli propone lo smaltimento dei rifiuti con ribasso del 30-40%, manodopera a basso costo, non si può parlare di ingenuità o buona fede. Si chiama ingordigia”

afferma così il procuratore Nicola Gratteri ai microfoni di Report.

Tutto parte dalla famiglia calabrese dei Giardino; infatti, secondo l’antimafia, a Verona si è radicata una locale di ‘ndrangheta il cui capo sarebbe proprio Antonio Giardino. È stato condannato a 30 anni e con questa condanna si è accertata la presenza di una organizzazione mafiosa in Veneto. Alla famiglia Giardino, inoltre, sono riconducibili decine di aziende con sede in Veneto, e non solo, dall’edilizia alla manutenzione ferroviaria.

Inoltre, con il processo ‘Kyeterion‘, condotto dalla DDA di Catanzaro, è emerso l’interesse delle ‘ndrine calabresi in contatto con i Giardino per la rielezione di Flavio Tosi a sindaco di Verona nel 2012.

Ma adesso entra in gioco un altro importante personaggio, Nicola Toffanin.

Guardia giurata, ex appartenente ai corpi speciali militare e vicino ad ambienti di estrema destra, Toffanin, senza una licenza da investigatore privato, non solo ha spiato diversi politici su richiesta di altri politici ma, a tempo perso, diventava il collegamento tra la politica e la ‘ndrangheta.

Oggi, diventato super pentito, con le sue dichiarazioni sta facendo tremare il Veneto. Infatti ha confessato si curare questi rapporti tra politica e le cosche, con settori dell’imprenditoria e con la sia capacità di accedere a delle informazioni provenienti dalla Procura di Verona.

“Toffanin è uno che lavora sotto molti aspetti e in molti campi, uno che ha molti contatti e che quindi, avendo molti contatti, ha anche molte informazioni. Devo dire che le informazioni date da Toffanin quando ha deciso di collaborare sono state tutte riscontrate.”

ha affermato Bruno Cherchi, Procuratore della Repubblica di Venezia, ai microfoni di Report.

Inoltre a rendere la figura di Toffanin più interessante, sono le sue vicinanze con due persone in particolare:

  • Michele Pugliese, detto ‘il commercialista‘ e braccio destro del boss Antonio Giardino;
  • Francesco Vallone, massone vicino alla cosca dei Mancuso e responsabile del Centro studi “Enrico Fermi”, un vero e proprio diplomificio della ‘ndrangheta secondo gli inquirenti.

Infine si è cercato di far luce al progetto da 590 milioni di euro, attinto anche dai fondi Pnrr, per costruire il nuovo ospedale di Padova. Il progetto, finito nel mirino dell’antimafia, ha subito un provvedimento interdittivo sul cantiere dell’ospedale. Pare che, partito dalla provincia di Crotone e arrivato al Nord per fare affari, ci sia il boss Nicolino Grande Aracri.

Come se non bastasse l’appalto per il nuovo padiglione di pediatria dell’ospedale, sarebe stato vinto dall’azienda SETTEN per 46 milioni di euro, la quale ha subappaltato il lavoro alla Sidem, azienda cui ‘dominus‘ sarebbe tale Michele De Luca, cugino di primo grado di Nicolino Grande Aracri.

Ciò nonostante, la SIDEM è riuscita ad infiltrarsi nel processo di appalto per la costruzione del nuovo ospedale grazie al gestore di fondi immobiliare NUMERIA Spa, fondato dell’avvocato Bruno Barel, che dopo aver saputo dell’interdittiva antimafia – ha fatto sapere Report – ha ceduto il ramo operativo dell’azienda.

I consiglieri regionali del Pd Francesca Zottis, vicepresidente del consiglio con delega alla legalità,
e Andrea Zanoni, presidente della Commissione Legalità, all’indomani della puntata di Report sulla mafia in Veneto chiedono di “potenziare i controlli sugli appalti e la formazione del personale nella pubblica amministrazione”.

“Il dato che vede il Veneto al quarto posto per segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio, dopo Lombardia, Campania e Lazio, è uno degli indicatori che evidenziano il fenomeno del radicamento mafioso nella nostra regione. Ma la minimizzazione prevale ancora sulla consapevolezza, oltre al fatto che gli strumenti di contrasto sono inadeguati”.

I due consiglieri dem, facendo riferimento alla “inquietante recente inchiesta giornalistica di Report sulla mafia in Veneto” ritengono che “quanto emerso impone alla politica riflessioni ed azioni immediate”. Zottis e Zanoni riconoscono che “la Regione sta avviando una serie di azioni anche in termini di formazione ed accompagnamento con le associazioni e le categorie alla consapevolezza del fenomeno, ma è indispensabile incidere, anche sollecitando il livello nazionale, con misure di contrasto e prevenzione più stringenti”. (fonte Report).

immagine di copertina presa da Today.it

 

 

LEGGI ANCHE:

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– «Un assessore regionale figlia di un capomafia condannato»

– Le risposte di Report sulle critiche mosse riguardante la puntata sul ponte sullo stretto di Messina

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Antonino Schilirò

Appassionato di politica e lotta alle mafie conduco, insieme al giornalista Giuseppe Notaro, la rubrica online sui social "Informazione Antimafia". Responsabile comunicazione dell'associazione Dioghenes Aps, con sede distaccata aperta a Maletto (CT). Inviato dell'emittente televisiva siciliana Telemistretta Collaboratore del giornale online della Generazione Z progressista.io

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