Il carcere italiano è un inferno per tutti

L'OPINIONE DELL'AVV. GUARNERA. «Da inizio anno ad oggi i suicidi in carcere sono stati 47, uno ogni 5 giorni. L'anno scorso, nello stesso periodo, furono 32.»

Il carcere italiano è un inferno per tutti

Partiti decenti, politici dignitosi e governi seri dovrebbero porre, al vertice dei loro programmi, l'attenzione nei confronti dei tanti poveri, esclusi e disagiati del Paese. Ma non mi sembra che ciò avvenga. Forse, seriamente, non è mai avvenuto. Pertanto non vi è decenza, nè dignità, nè serietà.

Tra le numerose questioni da affrontare esiste quella della situazione carceraria.

Alcuni dati. In Italia i detenuti, al 30 giugno 2022, erano 54.841. Il tasso di affollamento è del 112%. Da inizio anno ad oggi i suicidi in carcere sono stati 47, uno ogni 5 giorni. L' anno scorso, nello stesso periodo, furono 32.
Il 13% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave, e spesso non sono curati. I condannati all'ergastolo reclusi sono 1840, e dieci anni fa erano 1581.

Il carcere italiano, tranne qualche piccola e rara eccezione, è un inferno per tutti, detenuti e personale penitenziario. Caldo insopportabile, tanti problemi irrisolti e spesso invisibili, tra essi la carenza di cure mediche adeguate e specifiche.
Cresce il clima di violenza, di rabbia e di ribellione, in quanto, sempre più spesso, vengono calpestati i diritti essenziali della persona.

In tale contesto la funzione riabitativa della pena, prevista dalla Costituzione, rimane una chimera. I detenuti sono, innanzitutto, persone, come tutti. Il fatto che abbiano sbagliato non modifica tale identità: restano persone.
Sembra che la classe dirigente se ne sia dimenticato, forse perchè nelle carceri molti non votano.
Qualche politico, alla ricerca di facili, miserevoli consensi, ha persino oscenamente auspicato che alcuni debbano "marcire in carcere".

Al contrario di ciò che veramente occorre. Occorrono riforme serie, radicali, strutturali. Occorre favorire i contatti dei detenuti con le famiglie, non spegnere l'esigenza di affettività.
Nel carcere deve entrare la speranza, che va alimentata nella prospettiva, ove possibile, di una completa riabilitazione.

Il detenuto non è un "vuoto a perdere", ma rimane parte della collettività. Il nostro Paese si richiama ai "valori cristiani", ma di essi nel carcere non vi è traccia.

E, purtroppo, non solo nel carcere.