La mia partigiana per sempre

L'OPINIONE. «In questo ricordo non parlerò, se non per qualche riferimento inevitabile, dell’intellettuale e della partigiana che tutti conosciamo, saranno i giornali e la cronaca a delineare gli aspetti ufficiali della compagna e della politica, che scelse di rimanere nel partito della Rifondazione Comunista fino alla fine dei suoi giorni, della senatrice, scrittrice e fine intellettuale. Tratteggerò, pertanto, accompagnata da un sentimento di lacerante dolore, alcuni aspetti del mio rapporto personale con lei, un rapporto speciale, di rara profondità e bellezza.»

La mia partigiana per sempre
Lidia Menapace

Lidia Brisca Menapace, ci ha lasciati il 7 dicembre 2020. Lidia non c’è più e il vuoto lasciato nei suoi parenti, nelle tante persone a lei vicine, in amiche, amici e conoscenti e soprattutto nelle generazioni che verranno, è già incolmabile.

La cara Lidia non ce l’ha fatta a resistere al COVID, pur avendo lottato fino all’ultimo, lasciando sperare in un ennesimo miracolo da parte sua. Sì, la donna dei miracoli, la partigiana per scelta di vita, la nonna che avevo voluto e che mi aveva trovata è andata via, per sempre.

La sera prima, nel corso di una riunione online dal titolo “cordata d’amore”, organizzata da me e da Roberta Corradini e dedicata proprio a Lidia con l’intento di sostenerla anche da lontano nell’ultima lotta impari, le compagne e i compagni partecipanti eravamo stati rassicurati tramite un messaggio dei familiari più stretti rispetto alla stazionarietà delle condizioni della nostra amata staffetta partigiana. Al mattino presto del giorno seguente dalla persona più adatta e a me vicina mi giunse la notizia che mai e poi mai avrei voluto ricevere, quella comunicazione che speravo non sarebbe mai arrivata: "Maite, hai sentito il giornale radio? Ci sono cattive notizie”. Capii subito, anche se inizialmente mi rifiutai di comprendere. Poi l’incredulità, la tristezza, il buio.

Le costellazioni, i satelliti e i pianeti, così come le città storiche sono sempre lì; Lidia era parte della mia geopoetica, per me certezza eterna, monolitica.

In questo ricordo non parlerò, se non per qualche riferimento inevitabile, dell’intellettuale e della partigiana che tutti conosciamo, saranno i giornali e la cronaca a delineare gli aspetti ufficiali della compagna e della politica, che scelse di rimanere nel partito della Rifondazione Comunista fino alla fine dei suoi giorni, della senatrice, scrittrice e fine intellettuale. Tratteggerò, pertanto, accompagnata da un sentimento di lacerante dolore, alcuni aspetti del mio rapporto personale con lei, un rapporto speciale, di rara profondità e bellezza.

A pochi giorni dalla morte di Lidia mi risulta faticoso parlare di lei al passato, mi pare impossibile parlare di un’assenza per me insopportabile e assordante, ma è doveroso e giusto da parte mia.

Riporto di seguito una serie di cenni alla Lidia Menapace in veste più o meno pubblica, attraverso un breve scritto che ho curato assieme ad alcune compagne, donne straordinarie, che con me e come me hanno avuto modo di essere vicine a Lidia per lunghi periodi e, in un certo senso, fino alla fine: Imma Barbarossa (Bari), Loredana Marino (Salerno), Roberta Corradini (Trento) e Geni Sardo (Trieste).

L’articolo è già stato pubblicato su alcune testate locali e nazionali ed è una sorta di amarcord di una vita esemplare, una vita così bella e intensa da non poter essere dimenticata:

Lidia Menapace non c’è più. Magari eravamo fisicamente lontane, ma per noi lei c’era sempre, era lì a ricordarci una presenza forte, vigile, dolcemente rigorosa. Lei amava il Sud, e noi da Napoli a Bari, fino a Otranto, l’abbiamo sempre voluta alle nostre iniziative, così come è successo fino a Reggio Calabria e nelle città siciliane; così come amava incontrare compagne e compagni del Nord, da Trento a Trieste, fino all’area di confine con l’Est europeo, dell’Italia centrale e ancora da Bologna ad Aosta. Era invitata permanente alla scuola di politica promossa dal Forum delle donne della Rifondazione Comunista, che si svolgeva ai primi di settembre, ogni anno, generalmente a Paestum sulla riva del mare. Ma siamo state con lei anche nel “grido”: “Fuori la guerra dalla storia”, nella “Convenzione di donne contro le guerre”, nelle iniziative su Rosa Luxemburg mentre ci insegnava “la sua Rosa”. A Napoli in Piazza Dante, a Bari vecchia con l’Anpi per Benedetto Petrone, a Carovigno e alla Libreria Laterza di Bari, nelle università e nelle piazze d’Italia, da Palermo a Novara, nelle varie presentazioni di libri o dibattiti, a parlare a migliaia di giovani studenti di tutt’Italia, sempre accompagnata dal fazzoletto triangolare della Val D’Ossola ad insegnare la Resistenza a difesa dell’amata Costituzione. Sempre con lei contro le sfilate ‘armate’ del 2 giugno e le ‘parate’ delle Frecce tricolori che osò criticare pur essendo candidata a presidente della Commissione Difesa del Senato. Ancora alle assemblee dei Social forum mondiali sempre presente con il suo corpo minuto, il suo dolce sorriso disarmante e rivoluzionario, il suo sguardo ironico e autoironico, decisamente travolgente. Ci raccontava che da staffetta partigiana portava nella borsa (li portava anche addosso, a contatto con la pelle per tenerli caldi) esplosivi destinati non a uccidere persone ma a far saltare i ponti e impedire l’avanzata delle truppe tedesche. E per camuffare ciò che portava nel cestino della sua bicicletta, compagna dei suoi spostamenti, lo copriva con un libro per dire, quando la fermavano, che andava a studiare con un’amica. E il libro era le “Tusculanae disputationes” di Cicerone. Raccogliemmo migliaia di firme perché fosse nominata senatrice a vita, ma il presidente Giorgio Napolitano guardava altrove. Lidia non hai mai fatto nulla di dogmatico, è stata sempre aperta al confronto. Ma era – come è rimasta – partigiana, perché Lidia è sempre stata di parte. Già allora aveva scelto.

Una famiglia d’origine a sostegno della Resistenza, con sua sorella Isa e ancora una scelta di parte nel decidere di andare a vivere a Bolzano con il marito Eugenio, detto Nene, così come quella di proporre con lui uno scambio dei cognomi: lei Lidia Brisca Menapace, lui Eugenio Menapace Brisca.

Femminista, pacifista, comunista, tre scelte non accostabili in maniera automatica. Ma erano scelte che lei viveva insieme.

Aveva scelto da che parte stare. E non ha mai cambiato.

Pugni chiusi verso il cielo.

A te, con te, COMPAGNA BRUNA.”

Tornando al mio rapporto personale con lei provo a descriverne la sostanza, senza correre il rischio di cadere nella banalità e sicura di aver ricevuto da una grande donna tante cose, per me reliquie ancora più ingombranti.

Conobbi Lidia Menapace una ventina d’anni fa, per le vie del centro storico di Cava de’ Tirreni, le corsi incontro e chiesi “Salve, posso conoscerla?”. Mi accolse un sorriso disarmante, una dolcezza gioiosa e leggiadra traspariva dagli occhi di lei. E poi il suo modo unico di dire “Ma io sono Lidia, perché mi dai del Lei?”; così la mia goffaggine reverenziale pian piano si sciolse. Da lì cominciò una bella e intensa relazione di stima e amicizia che presto divenne tanto di più: Lidia venne ad essere parte di me, dei miei giorni, della mia formazione, del mio modo di crescere e di guardare la realtà, una luce che dava colori a tanti momenti bui, abbagliando il mio soleil noir. Presto riuscì a restituirmi parti che la vita mi aveva tolto, un pezzo di storia, a colmare il grande vuoto che portavo dentro di me.

Lidia era una donna dall’ineguagliabile umanità, aveva un’energia incredibile, si ricordava di tutti e tutte e salutava con affetto ogni persona che aveva conosciuto chissà dove, quando o in quale situazione. Cominciai pian piano a capire che lei, Lidia, aveva una forza interiore e una generosità immensamente “inumane”: mi faceva scuola, scuola di vita, scuola politica, scuola di politica. Viaggiava per l’Italia, indefessamente, e mi chiedevo ma come fa? alla sua età (ed aveva ‘solo’ 80 anni) di notte col treno di secondo classe? senza letto? e poi ad essere così lucida?”, dopo viaggi estenuanti per raggiungere chiunque la volesse, in un treno notturno, con posto a sedere, appunto in seconda classe, da Bolzano. Io e le altre ragazze (Loredana Marino ed Eleonora Forenza – per altro sarebbe divenuta una straordinaria parlamentare europea 15 anni dopo, sempre con Rifondazione Comunista -) nell’imparare dai suoi discorsi la ammiravamo persino quando ci “cazziava(un altro termine non renderebbe appieno il concetto!) per qualche ingenuo errore: battaglia non si poteva dire, si doveva dire lotta, lei ripudiava la guerra! Smontava quel linguaggio di guerra e patriarcale, togliendocelo dalla testa parola per parola. Metteva in discussione tutti, anche i cosiddetti mostri sacri, Gramsci e guerra di posizione compresi.

E nella sobrietà della sua sconfinata cultura raccontava la “sua Rosa” (Luxemburg, ndr), con acume e una sapienza profonda, priva di superbia. Ci narrava la filosofia, la sua filosofia di occasione - così la chiamava, parafrasando Eugenio Montale - intrisa di vita, di aneddoti, di storia.

Lidia raccontava senza fretta la lotta partigiana facendola sentire sulla pelle e nell’animo di ciascuno e ciascuna, fino a farci sentire protagoniste e protagonisti insieme a lei, con un linguaggio semplice, a supporto di una magistrale diegesi; “sono ex insegnante, ex tante altre cose, ma non ex partigiana: perché essere partigiane e partigiani è una scelta di vita”; ancora “mia madre diceva - ricordando sua madre - Figlie mie siate indipendenti. Volete sposarvi, non sposarvi, cambiare marito ma non dovete mai chiedergli i soldi per le calze, perché non si può essere indipendenti dalla testa se non lo si è dai piedi”.

Ricordo le sue espressioni uniche, le sue modalità speciali per difendersi dal dolore, così come il suo modo di dire che la mente va in protezione, i suoi strumenti di resistenza, di speranza.  Non era una staffetta, ma una partigiana, comunista, femminista e pacifista che ha attraversato tante storie politiche e mai di militanza, per  lei i militanti sarebbero finiti per diventare “militonti”. E poi tante belle esperienze uniche e irripetibili, le passeggiate in ogni luogo possibile accompagnate da intime conversazioni, in riva al mare; ancora il Forum delle donne e Rifondazione Comunista, i templi di Paestum illuminati dal suo sorriso, il centro storico di Napoli immortale e arricchito, reso ancor più unico ai passi di lei. Un'infinità di ricordi, da Napoli a Bari; da Roma a Salerno, dalla Basilicata al Molise. E ancora, le risate ai campeggi del Forum, quando mortificò in modo ironico e deciso il compagno che le aveva detto che noi donne dovevamo soccorrere gli uomini che combattono il patriarcato, con il suo … “non sono un'infermiera...”

Ricordo un’infinità di episodi, al punto da poter scrivere un diario correndo il rischio concreto di con avere il tempo di completarlo.

La mia Lidia, colei che mi volle “nipotina politica della Resistenza”, mi scelse per aiutarla a difendere la nostra Costituzione, la memoria storica portandola avanti, restituendomi una nonna, offrendomi un’amica, una compagna, una guida. Fu per me stella, pensiero consolante, forza e vigore; sorriso, gioia, speranza. Sì speranza, perché con lei credei che il nulla eterno potesse trasformarsi in un bene infinito! Aveva la capacità di spostare ogni confine, era sempre avanti.

E allora condivido con voi, cari lettori, qualche aneddoto – che accenno solamente per gelosia di una genia che come una bambina ogni volta rivendico –; dai compleanni a cifra tonda, alle bellissime danze e ai canti tutti per lei! Dai viaggi per tutto il sud Italia ai pellegrinaggi per andare a salutarla; dalle premure alle preoccupazioni per i suoi spostamenti, dalle narrazioni che appuntavo nella mente ai ricordi più intimi, dal viaggio per il Molise alla brillante telefonata con Rita Levi Montalcini cui io e mia sorella, incredule, per caso udimmo! E ancora, Paestum, le scuole politiche, i Forum delle donne di Rifondazione Comunista snobbati da finti compagni e da finte compagne, militonti d’occasione o comunisti di comodo, momenti meravigliosi in cui lei dava sempre qualcosa mentre noi a tentoni provavamo a dare il meglio dei nostri giorni peggiori.

Ancora ricordo l’orgoglio con cui la presentai ai miei genitori, anche loro affascinati da lei, a mia sorella, al mio nipotino che ancor neonato posò con lei da divo! Ricordo le sue parole nel definire le attitudini future del piccolo Vittorio; capacità logiche con straordinarie attitudini linguistiche (oggi conosce almeno 3 lingue e ha solo 11 anni). Eppure lui nemmeno ancora parlava! E quando conobbe la piccolissima Natàlia Carlotta nella sua già promettente irrequietezza e monellagine assicurò che nella vita avrebbe avuto una marcia in più (chissà, forse perché femmina…)

Ricordo la sua immensa gioia quando la nostra Eleonora fu eletta al parlamento europeo: “sono troppo contenta, la conosco da che era piccola! Sono troppo contenta …” E già, chiamai proprio lei subito dopo aver sentito Eleonora. Ricordo le nostre serate di cui non è dato parlare, i nostri segreti, le sue confessioni più care e le mie più goffe confidenze che erano per lei fatti scontati, le nostre piccole trasgressioni che porterò sempre con me. E ancora la sua enormità, il suo camminare in prossimità costante con la libertà. Già, lei era l’emblema della libertà, perché per ogni libertà lottava e incondizionatamente ogni forma di libertà accoglieva.

Ricordo la sua totale accettazione nei confronti delle mie fragilità, delle debolezze di tutti, delle diverse soggettività, la sua spontaneità, la sua dedizione per la politica che la spinse a candidarsi addirittura a 94 anni. E i suoi “aforismi” per me legge: “la via alcolica al socialismo” senza mai nascondere il suo modo di vedere il piacere nelle piccole cose della vita; “nessuno di noi sa veramente quanta forza ha dentro di sé finché non ne è messo o messa alla prova veramente”; “la nostra riuscitissima adozione”(parlando di lei  e me); rispetto alla sua idea sull’omosessualità invece simpaticamente a 88 anni dopo un pride di Roma diceva “non mi è ancora capitato, mai mettere limiti alla provvidenza!”; ancora “la canzone della Resistenza è fischia il vento, non Bella Ciao, quelle è delle mondariso” ; “essere madri è una possibilità non un obbligo”; “la repubblica è femmina”; o parafrasando la sua Rosa “o socialismo, o barbarie”; fino a “il resentin (o il risciacquo), Maite!” e il mio stare sull’attenti e poi subito accontentarla!; “no che non mi stanco, mi comporto come un fagotto, mi faccio portare e prendere”…

Ricordo il suo modo di esserci sempre per e con tutte e tutti, di intrattenere con tante e tanti molteplici rapporti unici e a me toccò il privilegio della sua dolcezza, di leggere negli occhi il suo orgoglio per quella “riuscitissima adozione”, di vivere una vita in cui lei fosse guida e affetto puro, amicizia e riferimento. E ancora ricordo i nostri viaggi, le nostre visite nelle scuole di ogni area del Sud, in particolare di Napoli, e lei sapeva raccontare, sapeva sempre cosa dire, sapeva insegnare, professionista della maieutica, e nello svegliare le coscienze, rapiva le persone con il suo carisma e con il suo sguardo rivoluzionario. E ancora quando per caso dimenticò a Napoli, temendo di averlo ormai perso, quel fazzoletto celebrativo della val dell’Ossola (1944) che era il suo compagno di viaggi e di racconti, il suo testimone per sempre. I miei capitomboli per ritrovarlo e riconsegnarlo intatto tramite una spedizione raccomandatissima e in posta celere. Ricordo il suo grande legame con Napoli, la città della Quattro Giornate che come ribadiva lei poteva vantare uno “scialo di inteligencija”; la sua fiducia nei miei confronti, la sua scelta di concedermi interviste da pubblicare e di fare la prefazione a qualche mio libro, la sua citazione per un mio testo nella prefazione al romanzo della sua vita, Canta il merlo sul frumento (Manni, Lecce 2015). Del mio testo Il secolo pazzo addirittura lesse le bozze e le corresse durante il tragitto in treno da Napoli a Bolzano, non poteva perdere tempo, aveva tante cose da fare una volta rientrata a Bolzano e approfittava di ogni attimo per agire, lavorare, parlare, raccontare e scrivere.

Ricordo i suoi arrivi e le sue partenze. I suoi approdi entusiasti, il saltello dalla freccia rossa o dalla freccia argento, non avrebbe mai preso un treno Italo ligia alla “res publica”, all’occasione rappresentata dalle Ferrovie dello Stato. Ricordo le nostre chiacchierate e le confessioni più intime, il suo modo unico di proteggermi e di farmi sentire speciale.

Entrai nel suo mondo che già esisteva da tanto prima di me, le parlai di mia nonna, sua coetanea, di mio nonno e mi aiutò a ricostruire il di lui percorso da prigioniero di guerra nei campi di concentramento tedeschi e io mi gonfiai di orgoglio perché ero una nipotina della Resistenza anche geneticamente e perché avevo restituito a mia madre una parte della storia di suo padre che ancora non conosceva, mentre lui ancora tanto le mancava. Lidia mi parlava di suo marito, del suo Nene, del suo amore per lui e della loro intensa e lunga storia d’amore. Ricordo la sua gioia nel raccontarmi che a Fez, in Marocco, le avevano dedicato il primo centro culturale in assoluto, perché lei avendo conosciuto un ragazzo mendicante proveniente da quelle parti, aveva organizzato una raccolta fondi per un pozzo. Ed essendo l’acqua cosa rara a Fez, gli abitanti la omaggiavano ricordandole che “anche gli asini ti sono riconoscenti”; gli asini lì sono animali essenziali per l’economia e l’acqua permetteva anche a loro di vivere. Saremmo dovute andare insieme a Fez…

Ancora il mio modo affettuoso di dedicarle, assieme ad altri compagni e compagne, un’associazione che portasse il suo nome; la prima in Italia; ovviamente LA PRESIDENTE onoraria era lei!

Non dimentico il suo tour estenuante per il NO al referendum del dicembre 2016 sostenuto invece da chi immeritatamente e senza cognizione di causa voleva fare scempio della Costituzione più bella del mondo: “dovessi pure schiattare lotterò fino alla fine per il no!”. La seguii come potei, nelle notti magiche da Napoli a Portici, fino a Torre del Greco, dove riuscii a farla svestire poco prima di un convegno perché indossasse una maglietta che le avevo regalato con la scritta “PartigiaNO della Costituzione”.

E ancora ricordo il suo modo di spiegare a ciascuno e a ciascuna la Costituzione, il percorso da cui nacque la costituzione, la scrittura dell’Articolo 1; il suo modo deciso e al contempo garbato di zittire chi poteva mettere in dubbio la sua compostezza istituzionale essendo lei dichiaratamente comunista: “Non si preoccupi mi atterrò a quanto scritto nella Costituzione per la quale ho lottato e che è stata scritta quando forse lei portava i calzoni corti...

Ricordo le notti bianche nella casa di Loredana, ribattezzata ‘il rifugio delle partigiane e dei partigiani’; le bevute e le sue gioiose mangiate, le faticacce a starle dietro e ad andare a lavorare in condizioni dignitose il mattino seguente, le nostre preoccupazioni quando non la trovammo al mattino presto nel bungalow del villaggio Eracles di Paestum, quando invece la nostra amata era andata a rilassarsi sul mare e a far ginnastica poco dopo l’alba.

Una vita meravigliosa, una storia esemplare.

Lidia è stata e resta una donna straordinaria che ha vissuto una vita straordinaria. Il suo modo di fare da ragazza e il suo carisma l’hanno sempre distinta… resa unica, inimitabile anche per quelle piccole storie antiche che raccontava illuminando gli occhi come una bambina, il canto partigiano della Val dell’Ossola che lei sentiva di più era marciam marciam, in particolare per la strofa “Non c'è tenente nè capitano/Nè colonnello nè generale/Questa è la marcia dell'ideal dell'ideal/Un partigiano vorrei sposar…”. Amava questo canto perché era anche indice di emancipazione femminile, una donna sceglieva chi sposare e a quel tempo non era poi così scontato!

E ora che non potrò più vederla e non potrò più sentirla, ricordo tanti episodi, immagini che si rincorrono e annebbiano la mente. La ritrovo in ogni mio gesto. La mia casa è piena di ricordi di lei; la cornice con il certificato di dichiarazione di nipotina politica della Resistenza da lei firmato; le dediche sui suoi libri che non ho mai voluto leggere fin quando era in vita, lo avrei fatto poi e ora posso; la sua dedica più bella che è forse anche un po’ un testamento sulla mia copia della Costituzione della Repubblica Italiana, le altre sulle tessere dell’ANPI, e la rivedo costantemente in quel papavero rosso di porcellana esposto sulla libreria dinanzi ai miei cimeli boemi: il fiore del partigiano che è anche la nostra ‘promessa sospesa’. Ricordo pure i miei messaggi poetici d’auguri per il suo compleanno che le recapitavo per mail, o messaggio, e la sentivo al telefono sempre il giorno dopo, per scaramanzia: dovevo essere la prima dell’anno successivo. Anche questa è una testimonianza allegra della nostra complicità.

Ricordo la mia angoscia e la tenerezza che provavo per la sua fragilità negli ultimi tempi, nel guardare le sue ossute e scarne mani stanche, a volte tremanti, la sua scrittura incerta. Rivedo i suoi saluti al treno, l’accompagnavo in genere all’alba e sempre puntualmente in anticipo di due ore per placare la sua ansia da treno, i discorsi intorno ai suoi prossimi appuntamenti e ai nostri progetti, i miei abbracci ‘fissi’ (espressione che si usa in Trentino e che mi ha insegnato lei) e il suo calore, quel calore che sento ancora ora forte e intenso come allora. Ma ricordo anche il mio modo disperato di cercare di trattenerla il più a lungo possibile prima che salisse sul treno, addirittura l’accompagnavo al posto a sedere in modo da restare ancora un po’ con lei, la mia paura di lasciarla andare e il mio grande timore che ogni incontro potesse essere l’ultimo.

Ancora la meravigliosa lettera che mi scrisse non potendo venire alla presentazione del mio “Il Sessantotto capovolto” (2018), di cui aveva scritto la prefazione per avverse condizioni meteorologiche non le permisero di viaggiare. Una lettera che su sue indicazioni feci leggere in pubblico, brindando con la nostra bevanda alcolica preferita, la slivovice.

Rivedo la mia “ragazza geniale” con il suo immancabile zainetto blu nel quale teneva un quaderno giallo su cui appuntava sempre qualcosa. La sua ansia di raccontare e di non voler riposare mai, perché non amava perdere tempo a riposare. Ricordo i suoi racconti e la sua dolcezza nel recitare qualche verso della splendida poesia di Italo Calvino che soleva evocare e che volevo – e diciamolo, forse anche con un po’ di sana presunzione - prendere come una dedica personale: O ragazza dalle guance di pesca/o ragazza dalle guance d’aurora/ io spero che a narrarti riesca/la mia vita all’età che tu hai ora/Coprifuoco, la truppa tedesca la citta` dominava, siam pronti:/ chi non vuole chinare la testa con noi prenda la strada dei monti./ Avevamo vent'anni e oltre il ponte /oltre il ponte ch'e` in mano nemica/ vedevam l'altra riva, la vita /tutto il bene del mondo oltre il ponte. Tutto il male avevamo di fronte/ tutto il bene avevamo nel cuore a vent'anni la vita e` oltre il ponte/ oltre il fuoco comincia l'amore[…] Ormai tutti han famiglia hanno figli/ che non sanno la storia di ieri/ io son solo e passeggio fra i tigli con te cara che allora non c'eri./ E vorrei che quei nostri pensieri/ quelle nostre speranze di allora rivivessero/ in quel che tu speri o ragazza color dell'aurora./ Avevamo vent'anni... (Oltre il ponte, 1959).

E ora lei, Lidia, la mia Lidia, è andata via. La ragazza della Resistenza stavolta è partita per sempre, lasciando qui sulla terra il suo incredibile zainetto blu. Non so se è giusto che sia io a raccoglierlo, sopraffatta da un grande vuoto e da un inesprimibile e concreto senso di inadeguatezza, con la consapevolezza di non essere all’altezza.

Resto sgomenta, in un mondo da rifare, con la sensazione di angoscia e tristezza, con un senso di vuoto e di grande incertezza, come quando ci si perde in una città invisibile.

Ciao Lidia. Addio per sempre, compagna Bruna.

Una cosa però non ho detto. Ti voglio bene, te ne vorrò per sempre e lotterò per te e con te nel cuore, perché ancora si possa credere in un mondo più giusto, nei concetti immacolati che il bene trionfa sul male e amor omnia vincit! Non c’è niente di perso e che non possa continuare.

Grazie Lidia, per aver reso la mia vita ineguagliabile.

Ancora grazie Lidia, senza di te non riconoscerei i colori dell’arcobaleno nei quali da qui in avanti ti cercherò …

Nei papaveri rossi di ogni tempo e di ogni stagione, un sospiro solo nostro. Solo tuo, per me.

"Era il mio nord, il mio sud, il mio ovest, il mio est,

la mia settimana di lavoro e il mio giorno di festa,

il mio meriggio, la mia notte, la mia parola, il mio canto.

Sbagliai a pensare eterno quest’amore – ora so quanto.”

 

W.H.Auden, Funeral blues, 1938

 

Maria Teresa Iervolino detta Maite