Il libro del mese: La fiera dei sogni, racconti minimi kosovari

Le brevi ma intense storie narrate in questo piccolo volume hanno tutte come unico filo conduttore ciò che è stato della vita dei cittadini del Kosovo all’indomani della fine della guerra civile. Siamo nei Balcani, terra di nessuno.

Il libro del mese: La fiera dei sogni, racconti minimi kosovari
Fonte immagine: sito ufficiale casa editrice Ensemble

«Questa raccolta di racconti, al tempo stesso realistici e surreali, è un libro importantissimo perché è la prima opera kosovara tradotta in Italia. Con un linguaggio crudo l’autore indaga la vita quotidiana di uomini e donne che resistono al dolore di una guerra infinita. Il lettore, senza accorgersene, si troverà catapultato in uno scenario inquietante ma profondamente vivo in cui passato e futuro, realtà e sogno, rassegnazione e speranza sono due facce della stessa medaglia. In questa “fiera dei sogni” la desolazione, la povertà, la prostituzione, la follia umana lasciano il posto all’amicizia e all’amore per il prossimo, valori che traspaiono in ogni parola».

Con uno stile sobrio, semplice e misurato lo scrittore Kosovaro Adil Olluri, nella raccolta di racconti “La fiera dei sogni” -racconti minimi Kosovari- (edito da Edizioni Ensemble), ci regala uno spaccato di vita insieme tragico e malinconico: le brevi ma intense storie narrate in questo piccolo volume, infatti, hanno tutte come unico filo conduttore ciò che è stato della vita dei cittadini del Kosovo all’indomani della fine della guerra civile.

Siamo nei Balcani, terra di nessuno e al contempo preda ambita da diverse nazioni per la sua posizione strategica; le guerre civili fratricide (portate avanti in nome della religione, del nazionalismo e delle ragioni etniche), ne hanno martoriato il territorio, riportando in Europa lo spettro della guerra. I personaggi che si avvicendano nelle storie narrate da Olluri sono donne e uomini kosovari che hanno perso tutto a causa dei conflitti civili: un lavoro, la propria casa, un familiare, l’amore e persino la dignità. In un’atmosfera surreale e onirica il lettore viene introdotto in una realtà a lui quasi sconosciuta: non si analizzano le dinamiche del conflitto, non si va alla ricerca dei perché, al contrario, si mette in scena la sinfonia malinconica del dopoguerra.

Un esempio né è il racconto “Lettera di un soldato straniero” (uno dei racconti più belli e struggenti di tutta la raccolta) nel quale Olluri, tramite la voce di un ufficiale dell’esercito vincitore, ci dà la misura di come fosse il paesaggio desolante post-conflitto - «La primavera era inoltrata e, al posto dei fiori, sbocciavano le rovine delle case, al posto del profumo della rugiada mattutina, le nostre anime si erano intorpidite a causa dell’odore del sangue e delle anime dei cadaveri rimasti senza sepoltura per giorni interi. Erano giorni quasi estivi e noi avevamo rinverdito la natura con il fumo e le fiamme delle armi».

Ancora, Olluri pone l’accento su un argomento tanto scomodo quanto terribile: gli stupri di guerra. Centinaia di donne infatti, la storia ne è testimone a più riprese, sono state stuprate e finanche uccise durante i conflitti in Kosovo. Ancora una volta è il racconto-lettera intitolato “Lettera di un soldato straniero”a fornirci uno spaccato di questa terrificante realtà: nel racconto infatti l’ufficiale si rivolge a una donna e le chiede scusa per il terrore che ha provocato in lei, per la sua superficialità e per la sua mancanza di cortesia. Le chiede scusa per tutti gli stupri che ha compiuto su altre donne.

«E tu, proprio, tu. Un bottino di guerra che io avrei dovuto stuprare, violentare, marchiare come facevamo con tutte le altre, in quella stanza angusta, ammuffita, che serviva solo a questo. Era quasi d’obbligo violarti, ma quella volta mi era difficile, impossibile, fare una cosa del genere». 

La caratteristica che più si apprezza nel modo di Olluri di scrivere e raccontarci le storie è lo sfiorare con insolita delicatezza gli argomenti che tratta, lasciando all’immaginazione e all’empatia del lettore il resto; il grande merito dell’autore infatti è stato quello di tratteggiare con poche, semplici ma fortemente evocative parole le scene di disperazione che la guerra porta nelle vite dei personaggi, senza eccedere mai nella loro rappresentazione. Olluri, riconoscendo il potere evocativo che determinati episodi ingenerano nel lettore, sa benissimo che non c’è bisogno di eccedere con la parola, con la descrizione dei sentimenti e delle sofferenze di un popolo vessato da terribili conflitti: sono storie che si narrano da sole, che procedono libere da qualsiasi costruzione narrativa. Ed è qui che sta tutta la grandezza dello scrittore kosovaro.

Ne sono un esempio le parole introduttive del racconto “Il ritorno del padre”: con poche, semplici e terribili parole il lettore è immediatamente catturato dal cuore del racconto – «Padre mio, sei stranamente leggero! Non avrei mai pensato che un giorno ti avrei tenuto su una spalla sola e con una mano». Un padre che ritorna. Un ritorno al non ritorno, poichè l’uomo è morto da anni proprio a causa del conflitto e al figlio che tanto lo aveva cercato non rimane che caricare il corpo esanime del padre sulle spalle per dargli, finalmene, degna sepoltura.

Le vite narrate da Olluri non saranno più le stesse: i ricordi, le immagini e i suoni della guerra resteranno per sempre impressi nella memoria di coloro che li hanno vissuti in prima persona. E nulla sarà più come prima.