Intervista all'artista Cazzolla
Sono numerose le sue collaborazioni con registi e scenografi, tra cui Filippo Crivelli, Pierluigi Pizzi, Egisto Marcucci, Giuseppina Carutti, Pasquale D’Ascola, Emanuele Luzzatti, Italo Grassi. Luca Antonucci, Alexandre Heyraud e Ermanno Olmi.
Filippo Maria Cazzolla nasce a Gioia del Colle il 1° febbraio del 1964. È uno scenografo, ha conseguito il diploma di Belle Arti a Bari. Esprime la sua arte nei più importanti teatri nazionali. Si è specializzato come scenografo attrezzista, scenotecnico e come operatore televisivo e regia. Sono numerose le sue collaborazioni con registi e scenografi, tra cui Filippo Crivelli, Pierluigi Pizzi, Egisto Marcucci, Giuseppina Carutti, Pasquale D’Ascola, Emanuele Luzzatti, Italo Grassi. Luca Antonucci, Alexandre Heyraud e Ermanno Olmi. Ha frequentato la più antica scuola di pittura a Bruxelles, l’ “Istitut Superier de peinture Van Der Kelen-Logelain”, dove ha appreso il perfezionismo fiammingo d’epoca, le dorature e le trompe l’oeil.
Le sue opere sono come delle finestre sul mondo e dalle quali emerge il concetto da lei tanto amato e sostenuto della bidimensionalità e funzionalità dell’arte. Ci vuole spiegare meglio questo concetto? E in quali sue opere emerge maggiormente?
«Cercherò di essere più breve possibile. Diciamo che ho trovato un compromesso, tra pittura e scultura, creando uno spessore. Ho esasperato la visione prospettica, gli ho dato una sua funzionalità. Vivono, si accendono con un interruttore. Ti danno gli orari come un vero orologio a pendolo oppure dei veri tavolini funzionali, però sono sempre ultra piatti. La sensazione è di vederla realmente. Il concetto fondamentale è l’illusione, come per Dalì. Il Surrealismo ha realizzato in pitture un sogno. La mia pittura è staccata dalla cornice e ha incominciato a pulsare, rendendo l’pOpera attiva e non un semplice oggetto ornamentale».
Cosa intende per pittura?
«La pittura deve trasmettere emozioni positive. È da un bel po' di tempo che osservo e studio l’arte e ho notato un certo squallore, dove una colpa ce l’hanno anche i grandi pittori come Picasso che hanno capito della crescente ignoranza che, nella società del consumismo, stava prendendo piede. Hanno realizzato “Pure Schifezze” e, direi pure, paraculate. Fino ad arrivare a Fontana, Burri e, dulcis in fundo, a Piero Manzoni con le “feci d’Artista”. Una scatoletta adesso costa più di 68mila euro e fanno a gara per comprarsela. Più decadentismo di così».
La sua esperienza nell’arte scenografica ha permesso di apprendere e interiorizzare, da ogni forma di espressione, emozioni che ha donato allo spettatore in modo raffinato e sublime, come una fusione fra essenza e profondità. Quanto lo studio approfondito del Caravaggio ha ampliato la sua essenza?
«La mia esperienza da scenografo mi ha dato la possibilità di creare un mio spazio ideale, dove l’emozione è sempre stata importante. Sono stato fortunato di nascere in una famiglia meravigliosa, dove entrambi i genitori hanno capito la mia indole e la mia estrema sensibilità ed hanno investito senza problemi. Mi considero fortunato. Lo studio approfondito riguardo la pittura del Caravaggio mi ha avvicinato, soprattutto, alle affinità, al suo modo di comporre la scena da dipingere, come farebbe un regista con i suoi attori. Lo spazio non esiste o esiste parzialmente ed è come uno scatto fotografico, dove ha fissato l’attimo prima del prossimo movimento».
Come cambierebbe il mondo del teatro oggi, vista la sua esperienza? Cosa insegnerebbe ai ragazzi?
«Il teatro ti deve dare l’illusione di stare veramente in una stanza, come in un luogo aperto. Devi persino sentire il profumo del caffè, come diceva Eduardo De Filippo. Appunto, l’illusione. Direi ai ragazzi di munirsi di tanta umiltà e di coraggio per affrontare questo bellissimo ma difficile lavoro, pieno di rinunce».
Cosa rappresentano i colori nelle sue opere? Chi è un artista oggi?
«L’artista deve essere un sognatore con i piedi a terra. Purtroppo, in Italia, è quasi impossibile lavorare, per diversi motivi. Non sei considerato come lavoratore, quindi non esisti. Ciò non accade in altri paesi, dove esistono i sindacati e gli artisti sono considerati dei lavoratori come tutti gli altri. Se non hai altre entrate, muori di fame, a meno che non diventi professore di storia dell’arte e ti puoi permettere di cazzeggiare».
La società, oggi, ha bisogno di artisti che sviluppino la crescita della persona e sia al servizio della comunità. Cosa l’ha spinta a realizzare il ritratto del presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella? Quali valori l’hanno spinta a condividere i convegni sulla legalità organizzati da Adriana Colacicco e Gerardo Gatti?
«La nostra società dovrebbe investire di più nella cultura e nel turismo. Perché siamo il Paese culturalmente più ricco al mondo, dove è nato il Rinascimento e non solo. Purtroppo abbiamo una scarsa memoria e i nostri politici sono solo degli ignoranti. Con il Progetto di vita ho avuto l’onore di conoscere meglio due meravigliose persone, cioè Adriana Colacicco e Gerardo Gatti, con le quali fin da subito sono entrato in sintonia, collaborando nell’allestimento del primo convegno sulla legalità svoltosi a Gioia del Colle, dove ho appreso la cruda realtà della corruzione mafiosa e che gli eroi esistono e combattono tutti i giorni. Loro sono un esempio di coraggio. Quindi, ho accettato una loro idea: regalare un ritratto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un onore incommensurabile per me».