«Investire e riprendere come ascensori sociali istruzione e cultura»

PRIMA PARTE/INTERVISTA. Parla Anna Riccardi, presidente della Fondazione Famiglia di Maria di San Giovanni di Napoli: intense riflessioni da una persona che ogni giorno è impegnata in prima linea sulla realtà sociale del quartiere e della città anche in questi tempi di emergenza.

«Investire e riprendere come ascensori sociali istruzione e cultura»
fonte: pagina facebook della Fondazione Famiglia di Maria

Fondazione Famiglia di Maria, una vivace e importante realtà sociale della periferia est di Napoli attiva dalla fine del 1800 accanto ai minori e alle famiglie «che presentano disagi socio-economici». La finalità della Fondazione è «valorizzare al massimo la capacità relazionale e di promuovere la solidarietà, l'amicizia ed il reciproco rispetto tra i bambini, e tra questi e l'ambiente in cui vivono, promuovendo il rispetto dei principi di legalità e di non violenza nelle interazioni, ponendo il massimo impegno nel favorire e promuovere  la relazione tra minori ed i propri nuclei familiari» proponendosi come «struttura educativa che assume il ruolo principale di sviluppare ed arricchire la rete di relazioni umane intorno al bambino, per sopperire alle carenze o alle difficoltà dell'ambiente familiare e attraverso questa strada sostenere oltre l'impegno del bambino nell'apprendimento strettamente detto, anche la famiglia nelle sue difficoltà relazionali e nella funzione genitoriale». Amalia De Simone ci ha fatto conoscere la Fondazione raccontando alcune esperienze nell’intervista pubblicata il 28 aprile scorso*.

Abbiamo intervistato Anna Riccardi, presidente della Fondazione Famiglia di Maria,che ci ha raccontato le loro attività e i luoghi in cui sono attivi, un viaggio nella passione e nella generosità sociale di cui quest’articolo è la prima tappa.

Ci racconti le attività della Fondazione, perché è nata e cosa stai portando avanti da quando sei diventata presidente?

«Parto dal racconto della partecipazione ad un bando del Comune di Napoli nel settembre 2014 su segnalazione di un amico. Un pomeriggio del mese successivo stavo camminando su Via Toledo quando mi è arrivata una telefonata e come rispondo vengo chiamata subito «Presidente». Per un attimo sono stata convinta avessero sbagliato numero, invece mi stavano comunicando che il sindaco di Napoli voleva incontrarmi perché avevo vinto il bando. L'incarico è a zero euro, lo premetto per chiarire che le attività e l'impegno nella Fondazione non ha assolutamente un interesse economico. Il sindaco di Napoli l'avevo già incontrato nel mio lavoro di docente di lettere, la mia prima formazione sul campo l'ho avuta in una scuola media di Scampia dove con il preside decidemmo di invitare De Magistris. Mi conobbe in quel momento di grande euforia con i ragazzi, quando gli giunse il mio curriculum si ricordò di quell'esperienza e mi ha voluto fortemente come presidente della Fondazione.

Sono arrivata nella sede della Fondazione che c'erano solo mura giganti e vuote, dopo un primo quinquennio (il mandato è stato rinnovato a dicembre 2019) è possibile incontrare almeno 120 tra ragazze, ragazzi, bambine e bambini che occupano gli spazi di questo enorme palazzone. Un luogo dove si possono incontrare bambine e bambini che corrono, ridono, giocano e svolgono tante attività tra cui tango, teatro e cinema. Ed è stata per me una grande avventura che mi ha visto arrivare in un ex orfanotrofio ottocentesco, la Fondazione si chiama Famiglia di Maria perché prima c'erano le suore, e rendere possibile offrire quelle opportunità che vengono fornite nel centro della città. I bambini della Fondazione hanno partecipato ad un corso di fotografia, per partecipare a corsi importanti ci sono costi anche alti, e hanno avuto l'opportunità di esporre al Palazzo delle Arti Napoletane, nel salotto buono della città. Un grandissimo lavoro fotografico non realizzato con normali macchine fotografiche ma con strumenti realizzati da loro col cartone. Una grandissima soddisfazione per le mamme poter partecipare all'inaugurazione della mostra fotografica dei loro figli in un luogo importante della città. Un'altra attività molto di moda con alti costi che abbiamo avuto la possibilità di realizzare con i bambini è stata il tango con un educatore che ha insegnato loro il «tango della libertà» e il «tango della legalità». Abbiamo portato i bambini varie volte a ballare nelle strade della città e ad incontrare bambini di altre città. Sono attività con le quali rendiamo possibili le pari opportunità come recita la Costituzione non con le parole ma i fatti. Realizzati grazie ad una squadra, facendo un paragone calcistico Maradona è il più grande calciatore in assoluto ma lo scudetto è stato vinto grazie a tutta la squadra perché Maradona ha avuto bisogno della squadra e la squadra di Maradona. L'amore che può dare una periferia di Napoli in pochi altri luoghi si può avere.

La Fondazione si trova in una zona tribolata di Napoli, dove negli anni ci sono state anche diverse stese. Puoi raccontarci questa realtà?

«La Fondazione si trova nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, quartiere della periferia est di Napoli. Un quartiere particolare prima di tutto per la sua grande bellezza: c’è il mare, l’Università che oggi occupa i terreni di una ex fabbrica e che ci ricorda che questo è stato un quartiere operaio con una tradizione che ha visto insieme gli operai e tanta cultura. Una tradizione oggi inquinata, il mare è inquinato, le vecchie industrie hanno chiuso e tanti luoghi che potevano essere terreno fertile per una cultura che poteva migliorare l'ascensore sociale di ogni bambino e bambina del quartiere ha avuto un arresto.

San Giovanni a Teduccio sicuramente è un quartiere con una fragilità economica, anche prima dell'arrivo del covid19, molto solidale e un gran cuore che alimentato e curato da tanta società civile costituita da parrocchie, associazioni e singoli cittadini. Un terreno fertile che viene inquinato dalla forte presenza di attività illegali e da clan di camorra. Negli ultimi tempi il quartiere è stato teatro di stese, la stessa Fondazione è stata vittima di un colpo di pistola contro il portone. Un fatto inspiegabile per noi, parlo al plurale perché io sono la presidente ma intervengo sempre a nome di una comunità di donne e uomini che frequentano la Fondazione come educatori, addetti alle pulizie, tanti volontari che animano uno dei luoghi felici nel deserto.

Un deserto che deve tornare a diventare qualcosa di importante per la città di Napoli, San Giovanni è un quartiere fragile culturalmente ed economicamente dove si toccano con mano molte povertà ma è importante sottolineare che si sta sviluppando un’enorme solidarietà. In questo periodo si poteva avere molta paura, molte persone potevano cadere nelle mani della malavita e della camorra (che ha maggiore disponibilità di liquidità), invece il quartiere sta comprendendo perfettamente a chi deve rivolgersi per i sostegni e gli aiuti economici. Durante questa quarantena sono scesa due o tre volte in Fondazione per distribuire aiuti alimentari alle famiglie e uova di Pasqua a bambine e bambini.

Ci puoi raccontare la situazione sociale e il suo rapporto con il centro della città?

«San Giovanni a Teduccio è un quartiere di periferia che non sempre vede l'attenzione delle ordinarie manutenzioni per un quartiere per responsabilità distribuite tra vari enti pubblici, non sono soddisfatte le esigenze dei cittadini di questo quartiere. Ci muoviamo nella sesta municipalità napoletana che conta più di centomila abitanti e la presenza per esempio dell’Ospedale del Mare, dove ora De Luca ha collocato l'ospedale covid. Un nosocomio che fino a poco tempo era soprattutto il luogo delle inaugurazioni senza essere attivo in tutti i suoi reparti. Questa municipalità ha ancora poca connessione con il centro della città dove molti considerano San Giovanni come avulso e lontano.

C’è bisogno ancora di diventare un tutt’uno con il cuore della città, si può fare coinvolgendo prima di tutto i cittadini della periferia e soprattutto ampliando gli eventi importanti culturali e portandoli dal centro alla periferia. In questo quartiere ci sono alti tassi di disoccupazione e dispersione scolastica, è basso il numero dei laureati. Dati che ci dimostrano quanto è importante investire così da riprendere come strumento di ascensore sociale l'istruzione e la cultura e non portare nessun giovane a fare scelte sbagliate di malavita. Un elemento importante di questo quartiere sono le donne, di grande forza. Madri e anche nonne in giovane età, a 35 anni possono già esserlo. Cucire un nuovo filo di Arianna in cui la forza delle donne è costituita dall'indipendenza da qualsiasi maschio è importante, è necessario dar loro l'opportunità di poter studiare. Possono sembrare discorsi degli anni cinquanta del secolo scorso ed invece sono attualissimi. Le donne spesso devono crescere velocemente davanti al carico di una famiglia sulle spalle, devono offrire un futuro ai figli anche perché il compagno potrebbe essere in carcere. O possono essere fragili economicamente, lo Stato deve intervenire per dare loro un sostegno per poter andare avanti con gli studi così che possano essere indipendenti ed autodeterminarsi.

Questo quartiere spesso è raccontato nella sua parte oscura e buia perché è quella che fa più rumore ma deve essere narrato anche per le sue tante situazioni positive».   

 

*https://www.wordnews.it/quando-penso-a-roberto-mancini-mi-viene-in-mente-lo-sguardo-della-moglie-monica