Senza prevenzione ci sarà un aumento del consumo di eroina

TERZA PARTE. Mafie nigeriane e caporalato in agricoltura, le dinamiche sociali che favoriscono lo spaccio e il dovere di riconoscere i diritti dei braccianti.

Senza prevenzione ci sarà un aumento del consumo di eroina
La copertina di «Ascia nera: la brutale intelligenza della mafia nigeriana»

«Ascia nera: la brutale intelligenza della mafia nigeriana», uscito l’anno scorso, è il libro in cui Leonardo Palmisano ha documentato e analizzato la nascita e il rafforzamento delle organizzazioni criminali nate nello Stato africano, presenti in vari continenti e consolidate in Italia, specializzate soprattutto nello spaccio di droghe a basso costo e nello sfruttamento della schiavitù sessuale.

È una delle pubblicazioni che hanno guidato l’approfondimento sullo sfruttamento della prostituzione in Abruzzo pubblicato nel gennaio scorso in tre articoli. Nel 2015 e 2017 sono stati pubblicati «Ghetto Italia: i braccianti stranieri tra caporalato e sfruttamento» e «Mafia Caporale, racconti di egemonia criminale sui lavoratori in Italia» dedicati al caporalato e allo sfruttamento dei braccianti. Una questione tornata attuale in queste settimane dopo gli allarmi delle organizzazioni agricole sull’assenza di lavoratori nei campi. Sono tutte tematiche che hanno in comune lo sfruttamento soprattutto di persone immigrate in Italia.

Abbiamo quindi rivolto alcune domande al sociologo e scrittore pugliese per cercare di comprendere e analizzare come avviene lo sfruttamento, cosa lo favorisce e come si potrebbe contrastarlo.  

Come sono nate, si sono sviluppate e consolidate le mafie nigeriane?  

«Dove c’è una forte domanda sessuale e di eroina a basso costo e il mercato non è già saturo (ed infatti sono molto presenti fuori Milano) tendenzialmente arrivano le mafie nigeriane. Sono mafie che maturano relazioni e si insediano in territori scoperti, dentro Milano è difficile trovarla perché è un mercato già estremamente coperto, molto fluide e che si muovono con molta facilità.

Lo spostamento è uno dei loro motori, vantano un’organizzazione diffusa su più continenti e tendenzialmente preferiscono non scontrarsi con altre mafie. Furti, ricettazione, sfruttamento della prostituzione, racket dei mendicanti e spaccio di eroina gialla sono i settori nei quali sono attive in Italia almeno quattro mafie nigeriane. Sono mafie che stanno crescendo favorite dalla crescita della domanda nei settori in cui sono più consolidati (spaccio e sfruttamento prostituzione), con il blocco sociale sono le uniche sostanzialmente ferme ma sono tra quelle che più si adattano alle crisi nelle quali non diminuisce la domanda ma la qualità della stessa.

Se non si agisce sulla prevenzione è quindi molto probabile in futuro un aumento della domanda di eroina, in Italia non si agisce sulla prevenzione lasciando tutto in mano alla magistratura, che ovviamente da sola non può farcela perché la prevenzione non è suo compito. Il consumo di eroina  è già alto, quella che spacciano ha prezzi molto bassi e questo potrebbe oggettivamente favorire un ulteriore rafforzamento dei sistemi nigeriani.

La mafia nigeriana è nata nella seconda metà degli anni settanta nelle città universitarie quando ha trasformato il suo gangerismo in servizi a tutela degli interessi delle multinazionali del petrolio in Nigeria. Sin da subito si attiva nel racket accumulando denaro, così come faceva la ‘ndrangheta con i sequestri, che investe in business rilevanti come i diamanti, il traffico di armi e di petrolio. Non ha uno sviluppo familistico, il legame di sangue è più di clan che di famiglia vera e propria, e ha occupato un mercato sostanzialmente libero che può potenzialmente comprendere tutto il continente o comunque una sua porzione importante. La sua espansione è legata alle relazioni con sistemi come i produttori di eroina raggiungendo direttamente le fonti».   

Il settore agricolo ha lanciato allarmi per la mancanza di braccianti dovuta all’emergenza sanitaria. È un settore dove esiste un forte sfruttamento, al caporalato hai dedicato il libro «Ghetto Italia», quale situazione abbiamo in Italia anche sul fronte legislativo e quale riflessione si può trarre dall’attuale dibattito pubblico?

«Il dibattito è povero di idee, qualcuno propone addirittura di re-introdurre i voucher che in realtà non sono mai spariti, qualcuno di regolarizzare gli immigrati irregolari chiamandoli impropriamente clandestini, una riduzione a qualcosa di sub umano o di sub normale di altri esseri umani. Il caporalato si può sconfiggere con l’applicazione severa dell’attuale legge con controlli più forti irrobustendo i controlli dell’ispettorato del lavoro e sganciando l’offerta di prodotti agricoli dalla prevalenza della grande distribuzione organizzata e delle multinazionali.

Non ci sono altre alternative perché se non si riduce la filiera non si riesce ad intervenire sull’innalzamento del salario. Il ricorso alla manodopera a bassissimo costo non favorisce le imprese locali e i lavoratori. Questa crisi ricadrà fortemente sull’agricoltura italiana, sarà necessario aumentare il consumo dei prodotti di prossimità, probabilmente si diventerà più selettivi e i consumatori dovranno porsi nell’ottica di non comprare solo dal bancone del supermercato guardando al produttore locale  tornando a riconoscere nel prodotto anche la qualità del lavoro. Il punto è questo: il consumatore non riconosce la qualità del lavoro perché non gli viene raccontata, non sa dell’esistenza di braccianti schiavizzati in Capitanata.

Se non si riconoscerà il valore della vita altrui gli altri se ne andranno, nessuno è stupido a questo mondo per fortuna. Appena resa nota la pandemia, una gran parte dei braccianti stranieri non è uscita dalle baraccopoli per timore di infettarsi e non hanno molta volontà di andare a lavorare nei campi in quelle condizioni. Gli stagionali non stanno arrivando, non possono e neanche vogliono per il timore della pandemia. L’unica soluzione è innalzare i diritti e garantirli ad un salario pieno, alla salute, alla casa, all’istruzione per i figli quando si trovano in Italia. Sono diritti, non costi, su questo va messo un punto fermo, sono persone che producono ricchezza per altri e quindi non ci si può esimere dal riconoscere i loro diritti, questo è il vero tema». 

3. continua

 

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