L’autonomia differenziata colpirà la Costituzione e i più deboli

Dopo gli anni del secessionismo e del federalismo una nuova minaccia si staglia all’orizzonte contro i principi costituzionali e i più deboli: l’autonomia differenziata. Abbiamo intervistato Marina Boscaino del Coordinamento nazionale che chiede il ritiro di ogni proposta.

L’autonomia differenziata colpirà la Costituzione e i più deboli
(Copertina del libro del prof. Villone sui temi affrontati nell'intervista disponibile gratuitamente online, fonte: petizione online contro autonomia differenziata)

Secessione, una parola che ha segnato gli anni del passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Negli anni delle stragi di mafia e della scellerata trattativa era il sogno cullato da alcuni mafiosi siciliani e di altre regioni del sud: Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina e boss mafioso, ispirò anche il partito Sicilia Libera.

Poi, dopo la benedizione di D’Alema, che la definì una «costola della sinistra», venne la Lega Nord di Umberto Bossi. Una stagione che culminò con l’affermarsi del federalismo e della riforma del titolo V della Costituzione.

Negli ultimi anni da regioni del Nord come Lombardia e Veneto, ispirate dalla Lega di Salvini ma con appoggi politici trasversali, avanza la proposta di autonomia differenziata con la quale moltissime competenze e poteri diventerebbero di esclusivo appannaggio delle regioni.

Marina Boscaino, docente a Roma e attivista sociale, è la portavoce del "Comitato nazionale per il ritiro di ogni autonomia differenziata, per l'unità della Repubblica e per la rimozione delle disuguaglianze"Ma cosa è l’autonomia differenziata, come è nata e quali le sue linee guida?

«La proposta di autonomia differenziata nasce dopo la riforma del titolo V della Costituzione, portata avanti da una coalizione, tra centrosinistra e centrodestra, dopo gli anni della Bicamerale di D’Alema e Berlusconi e che fu la risposta alla minaccia secessionista della Lega. Tutto nasce dalla possibilità, prevista dalla riforma del Titolo V della Costituzione, alle regioni a statuto ordinario di chiedere totale e autonomia competenza esclusiva su molte materie che sono in capo allo Stato centrale a partire da ambiente e scuola. Di fatto, per esempio, così viene prevista la possibilità di venti sistemi scolastici, venti sistemi sanitari e così via e quindi una drammatica rottura del principio costituzione di Italia «una e indivisibile».

La rottura dell’unità costituzionale è la partenza di ogni ragionamento contro l’autonomia differenziata. Ma ci sono tanti rischi concreti per i cittadini e i loro diritti. Quali sono?

«Sulle richieste portate avanti per prime da Lombardia, Veneto, ed Emilia Romagna e poi da quasi tutte le altre regioni d’Italia può essere ampia la riflessione: le regioni chiedono di trattenere una percentuale altissima del prelievo fiscale raccolto, in maniera differente fino al Veneto (in nome del solito refrain del nord operoso e il sud parassita, dimenticandosi probabilmente delle condanne di Formigoni, Galan e altri e di vicende come il Mose …) che arriva a pretendere il 91%. Va sottolineato che le bozze di intesa tra governo e regioni sono state sottoscritte quattro giorni prima delle ultime elezioni politiche nonostante Gentiloni fosse in carica solo per il «disbrigo degli affari correnti».

La scuola rappresenta il luogo dove è possibile praticare l’uguaglianza sostanziale prevista dall’articolo 3 della Costituzione, sfaldarla in venti sistemi scolastici diversi smantella questo principio. Così come sulla sanità, dove passi avanti già sono stati portati avanti, che arriverebbe a sancire che ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B e sul diritto alla salute non si prevederebbero più le stesse tutele in tutta Italia. Il trattenimento a livello regionale del prelievo fiscale farebbe saltare anche il principio di solidarietà nazionale e il dovere inderogabile costituzionale di eliminare le disuguaglianze sociali. Sulle materie oggetto di autonomia differenziata verrebbe frantumato il contratto nazionale dei lavoratori, creando venti contratti diversi a livello regionale e non verrebbero più riconosciuti a tutti i lavoratori gli stessi diritti. Una questione su cui in maniera inspiegabile il mondo sindacale non si è mobilitato in massa.

«Appare sempre più chiaro il progetto dei poteri forti di alcune regioni del nord di staccare dal resto d’Italia per agganciarsi alla «locomotiva europea».

La frantumazione dei contratti collettivi di lavoro renderanno quindi i lavoratori più ricattabili, con le tutele anche della sicurezza sempre più a rischio, e piaghe come il caporalato (che ormai dall’agricoltura dilaga in tanti altri settori) rischiano di istituzionalizzarsi? Così come sarebbe più facile per lobby e interessi della «zona grigia» avere praterie sempre più sconfinate?

«La risposta è ovviamente sì. Un esempio eclatante viene dalla scuola. L’anno scorso tutti gli insegnanti di ogni regione si schierarono accanto alla professoressa di Palermo che era stata sospesa, dopo l’autonomia differenziata gli insegnanti non saranno più reclutati dal Ministero ma dagli Uffici Scolastici Regionali che sono uffici ad indirizzo politico,  spazzando via quanto previsto dall’articolo 33 della Costituzione sulla libertà d’insegnamento, l’unità del corpo insegnanti e aumentando possibili forme di ricattabilità. Uffici che hanno possibilità di stabilire anche come e cosa insegnare, in Veneto già stanno proponendo di equiparare la «lengua veneta» all’italiano e di studiare «storia della serenissima». A settembre, per far capire l’ampia discrezionalità politica che si scatenerebbe, abbiamo bloccato in Veneto l’inserimento di studi nelle scuole con il prof. Bertolizzi, colui che ha scritto le bozze di autonomia differenziata per la regione Veneto stessa. Discrezionalità che avrebbe totale campo libero anche sulla questione delle scuole paritarie che grazie ad una legge del 2001 accedono alla parità scolastica, già ampiamente finanziate nonostante la Costituzione prevede che non devono esserci «oneri per lo Stato». Ampliando questa realtà a tanti altri settori sociali appare chiaro come i lavoratori saranno sempre più controllati e sottoposti a decisioni politiche mettendo a rischio ogni principio di dignità del lavoratore».

Siamo un Paese in cui ci si ammala di più di cancro nel nord ma si muore di più nel sud come documentano dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo già dovrebbe far riflettere sulla realtà che viviamo e renderlo centrale. Invece esiste una disinformazione sconcertante sulla procedura dell’autonomia differenziata e su come bisognerebbe andare avanti nella direzione opposta. Dopo il passaggio dal governo gialloverde al governo giallorosa si era ipotizzato che l’autonomia differenziata potesse subire almeno un freno, invece in maniera sconcertante il ministro per gli affari regionali Boccia sta facendo esattamente l’opposto. Lo stesso Boccia disse che l’autonomia differenziata sarebbe stata subordinata alla definizione dei livelli essenziali di prestazione (LEP), nati nella loro definizione con la riforma del titolo V ma che in questi 19 anni non sono mai stati definiti, ma nella legge quadro non è più così: dopo un anno, anche se i LEP non saranno definiti, l’autonomia differenziata potrà andare avanti lo stesso. Considerando che in 19 anni nulla è stato fatto pensare che ora in 12 mesi vengano definiti è improbabile. Su tutto questo c’è stato un totale silenziamento di informazione e dibattito anche nel mondo sociale che dovrebbe esservi più sensibile. Quanto sta accadendo l’ha spiegato benissimo il prof. Massimo Villone in un libro scaricabile gratuitamente online «Italia, divisa e diseguale» dove ci racconta la successione temporale dalla riforma del titolo V della Costituzione all’intesa tra le tre grandi regioni del Nord (Lombardia, Veneto e l’Emilia Romagna del neo confermato presidente Bonaccini): durante il governo Salvini-Di Maio ci furono oltre 80 incontri sull’autonomia differenziata con queste regioni di cui non si è mai saputo niente e i cui risultati sono stati tenuti secretati. Stessa sorte dei lavori della commissione presieduta dall’allora sottosegretario Giorgetti sul federalismo fiscale che ha portato a far passare come fabbisogni dei territori le spese storiche. Un passaggio che cristallizza ogni sperequazione sociale: per esempio avendo finora Reggio Calabria avuto costi per 3 asili nido sarà per sempre così. Tutto nel silenzio mediatico, non si dibatte su quello che per esempio sta accadendo a Locri con la chiusura dell’ospedale che lascerà il territorio senza un presidio socio-sanitario così come ci si è dimenticati del gravissimo incidente ferroviario del 2016, avvenuto perché la linea tra Andria e Corato resta ancora a binario unico. Il totale silenzio su tutto questo dimostra gli interessi e i poteri forti che puntano su questo progetto e su questa che è stata definita, e questi fatti lo dimostrano, «secessione dei ricchi».

Sono passati 19 anni dalla riforma del titolo V ad oggi, arrivando all’attuale proposta Boccia sull’autonomia differenziata. In questi quasi quattro lustri come si è evoluta la situazione?

«L’Italia è preda di un profondo processo regressivo: solo 3 anni fa ci fu una grandissima battaglia in difesa della Costituzione che portò alla vittoria referendaria contro la riforma Renzi-Boschi, oggi la capacità di determinarsi in maniera organizzata contro determinate istanze contro la Costituzione si è sfaldata. Eppure oggi siamo di fronte davanti una proposta orrenda e strabiliante che dovrebbe chiamare ad una mobilitazione profonda e invece regna il silenzio. Una proposta a cui progressivamente si è accodato di fatto alle istanze leghiste tutto l’arco dei partiti, a partire dal PD così come nel 2001 i DS, sancendo il primato dell’economia sulla politica che è la tragedia di questi anni di neoliberismo».