MARIA CONCETTA CACCIOLA, la giovane madre «suicidata» con l'acido muriatico

Ha 31 anni, si sente sola. Vive con i suoi genitori e con i suoi fratelli, ma non è il suo ambiente. Non è una donna di ‘ndrangheta. Sogna una vita normale, diversa. Anche Maria Concetta ha fatto la fuitina. Ha tre figli. Non vuole un futuro di morte per loro. È lei che scrive: “a 13 anni sposata per avere un po’ di libertà… credevo potessi tutto, invece mi sono rovinata la vita”.

MARIA CONCETTA CACCIOLA, la giovane madre «suicidata» con l'acido muriatico
Maria Concetta Cacciola

“A 13 anni sposata per avere un po’ di libertà…

credevo potessi tutto, invece mi sono rovinata la vita

perché non mi amava né l’amo, e tu lo sai…”.

 

“Non so da dove si inizia e non trovo le parole a giustificare questo mio gesto. Mamma tu sei mamma e solo tu puoi capire una figlia… so il dolore che ti sto provocando, e spiegandoti tutto almeno ti darai una spiegazione a tutto… non volevo lasciarti senza dirti niente. Quante volte volevo parlare con te e per non darti un dolore non riuscivo. Mascheravo tutto il dolore e lo giravo in aggressività, e purtroppo non potevo sfogarmi e me la prendevo con la persona che volevo più bene… eri tu e per questo ti affido i miei figli dove non c’è l’ho fatta io so che puoi… ma di un’unica cosa ti supplico, non fare l’errore mio… a loro dai una vita migliore di quella che ho avuto io, a 13 anni sposata per avere un po’ di libertà… credevo potessi tutto, invece mi sono rovinata la vita perché non mi amava né l’amo, e tu lo sai. Ti supplico non fare l’errore a loro che hai fatto con me… dagli i suoi spazi… se la chiudi è facile sbagliare, perché si sentono prigionieri di tutto. Dagli quello che non hai dato a me”.

 

Questa è la prima parte della lettera scritta da Maria Concetta Cacciola, detta Cetta, nel maggio del 2011. Un’altra fimmina calabrese nata in un contesto di mafia, in un ambiente ‘ndranghetista. Maria Concetta nasce a Taurianova (Reggio Calabria) il 30 settembre 1980, è la figlia di Michele Cacciola, classe 1958 (cognato del boss di Rosarno) e moglie di Salvatore Figliuzzi, arrestato nel 2002 e condannato in via definitiva nel processo ‘Bosco Selvaggio’ per associazione a delinquere di stampo mafioso. La zia, Teresa Cacciola (sorella del padre Michele), ha sposato Gregorio Bellocco, classe 1955. Legami forti, di sangue. Inossidabili. Con i Bellocco e con i Pesce. Cetta ha una cugina: si chiama Giuseppina Pesce.

 

Il 15 luglio del 2007 scrive una lettera al marito detenuto: Vorrei stare sola per mettere un po’ di tranquillità nella mia mente non ho nulla, se almeno ci fossi tu, anche per svagarmi, invece, esco se devo prendere qualcosa altrimenti la vita è monotona, pagherei cosa pur di avere un po’ di tranquillità, invece chissà quante ancora ne devo passare”. Solo nel 2007 scrive una settantina di lettere al suo compagno ‘ndranghetista. Nella lettera, datata 9 dicembre, esprime tutto il suo disagio: “mercoledì mi è caduto il mondo addosso, aspettavo tanto questa Cassazione, come se, mi sentivo che dovevi uscire, però nello stesso momento avevo il cuore scuro, come se avessi il presentimento. Non avevo voglia di parlare, con nessuno, sai cosa ti dico? Sto uscendo pazza, dimmi tu, e se le cose restassero così, a cosa mi domando serve la mia vita? È da 4 anni che sono sola, in tutto e per tutto, 3 figli da crescere, come si dice povera e pazza, e tutto questo è come un’agonia, ti distrugge lentamente, guarda io non ero così, mi piaceva uscire, nel senso svagarmi, ora è da mercoledì che non ho voglia di nulla. Faccio le cose perché le devo fare”.

 

Anche la Cacciola, come Lea Garofalo, conosce il mostro. E decide di combatterlo, a modo suo. Rompendo le tradizioni, stracciando i codici di comportamento, infrangendo le regole. Ribellandosi, vivendo semplicemente la sua vita. Ha 31 anni, si sente sola. Vive con i suoi genitori e con i suoi fratelli, ma non è il suo ambiente. Non è una donna di ‘ndrangheta. Sogna una vita normale, diversa. Anche Maria Concetta ha fatto la fuitina. Ha tre figli. Non vuole un futuro di morte per loro. È lei che scrive: “a 13 anni sposata per avere un po’ di libertà… credevo potessi tutto, invece mi sono rovinata la vita”. Non ha mai amato suo marito, a lei non serve un delinquente sempre chiuso in una cella, ma un uomo vero. Da amare. Lo ribadisce nella disperata lettera scritta poco prima di abbandonare la sua famiglia. Cerca il conforto di sua madre, Anna Rosalba Lazzaro, classe 1964, di Taurianova. Una madre impassibile, una donna di ‘ndrangheta. Difende con i denti e con le unghie le convinzioni secolari. Soprattutto con sua figlia. Senza scrupoli.

 

 

“O con noi o con loro”

Le sue dichiarazioni sono attendibili, trovano puntuale riscontro. Contribuiscono a due importanti operazioni della magistratura e delle forze dell’ordine. Ancora una volta una donna sta mettendo in difficoltà l’intero sistema. La famiglia non si dà pace. Partono dalla Calabria per raggiungerla. Con un sms Maria Concetta avvisa il personale del servizio di protezione: “sono con mio padre, mia madre e i miei due fratelli”. Viene portata a Reggio Emilia, da certi parenti. L’intento è chiaro: la donna deve rientrare a Rosarno. Deve chiudere la bocca e accettare le decisioni dei suoi familiari. Intervengono i Ros e riportano la donna nella sistemazione originaria. Nell’intercettazione del 3 agosto gli inquirenti registrano la conversazione di Michele Cacciola con un certo Gregorio, identificato poi come l’avvocato Gregorio Cacciola:

 

Michele: “Grego’, io sono, Michele. …Senti un poco. Ieri sera mia figlia se n’era venuta, si era liberata là, se n’era venuta. …dopo quattro ore, che io sono arrivato all’una e un quarto, l’una e venti là. Sì, di notte, lì da mio cognato. Stamattina alle cinque sono venuti e se la sono presa. …E gli hanno detto che… Se la sono presa, gli hanno detto che lei non può stare là, in malo modo. Se la sono presa e se ne sono andati. …Io gli ho detto che li denuncio che …, che ha un avvocato qua, tutte queste cose qua. …Non se la sono presa qua… No, se la sono presa loro. Però… però io vado stamattina …Eh. Io domani mattina… domani mattina vado … Sì, sì, se la sono presa, se la sono portata, ci hanno detto che prima deve essere interrogata da un magistrato e poi gli tolgono… Dunque, mia figlia è malata, è malata malata”.  

 

Continue telefonate, continui contatti, continue pressioni psicologiche. La famiglia Cacciola deve risolvere la questione nel più breve tempo possibile. Sempre il 3 agosto le due donne, madre e figlia, si sentono, parlano al telefono. La conversazione è stata intercettata alle 22:23.

Voce Femminile: “Eh. Sai cosa fai?” 

Concetta: “Eh? Adesso mi sono svegliata” 

Voce Femminile: “Eh. Sai cosa fai? Domani mattina…” 

Concetta: “Eh?!”

Voce Femminile: “…telefona all’avvocato…” 

Concetta: “Eh”

Voce Femminile: “…che me… gli diamo i soldi noi…” 

Concetta: “Eh”

Voce Femminile: “…viene a prenderti. E ti porta dove vuoi tu, o da zia Giovanna o da zia Angela…” 

Concetta: “Eh”

Voce Femminile: “…che ti mando pure i figli”

Concetta: “Eh?”

Voce Femminile: “Che ti mando pure i figli, Cetta” 

Concetta: “Mamma, queste cose le ho capite. Lo so, però adesso non mi fa, hai capito?”

Voce Femminile: “No! Tu devi lasciare stare tutte cose, Cetta”

Concetta: “Eh, ma io…”

Voce Femminile: “Per l’anima…” 

Concetta: “Va boh ma…”

Voce Femminile: “…per l’anima dei morti…” 

Concetta: “Lo so…” 

Voce Femminile: “…Adesso Cetta”

Concetta: “…lo so, lo so. Lo so non c’è…” 

Voce Femminile: “Lo sai cosa?” 

Concetta: “Lo so quello che devo fare. Tu non ti preoccupare di niente”

Voce Femminile: “Cetta, aspetta un attimo. Cetta, tu allora… Tu…”

Cade la linea. La conversazione viene chiusa bruscamente dalla giovane donna. 

 

La strategia è chiara. Si mostrano diversi, anche nel linguaggio. Nelle altre intercettazioni ambientali trattano la figlia con delicatezza, la rassicurano, la strategia è studiata a tavolino. “No Cetta. Ascolta un poco, ascolta. Tu gli devi dire la verità Cetta, che tu non sapevi niente”. Vogliono convincere la donna a ritrattare. “Cetta, torna… tornatene… tornate indietro, Cetta. Tornatene indietro che questi… questi qua vogliono il nostro male. Loro lo sanno che tu… che tu non sai niente, e tu glielo devi dire che non sai niente! Va bene?!” .

La mettono davanti a una scelta: “O con noi o con loro”. La ricattano, utilizzando i suoi figli: “Cetta, ma tu devi pensare che hai i figli. Qua hai tre figli che stanno morendo”.   

 

“Arrestatemi”

Maria Concetta ha paura, teme la vendetta. Sa benissimo che la vergogna, per questi schifosi criminali, si lava con il sangue. Non solo ha ‘tradito’ suo marito, detenuto in carcere per associazione di stampo mafiosa, ma si è resa responsabile di un altro affronto. Ha parlato degli affari, degli omicidi. Del sistema ‘ndranghetistico. Ha tradito, secondo le regole dell’organizzazione criminale, anche la famiglia. Ha paura, non sa cosa fare. Si è fatta convincere dalla madre, è rientrata a casa. A Rosarno. Ma dentro di sé c’è qualcosa che non va. Non è convinta della scelta fatta. Contatta diverse volte ‘Gennaro’, il maresciallo dei Ros. Vuole rientrare nel programma di protezione, vuole andare via. “Qua un po’ mi fa paura tutto questo, perché non vorrei che… quando esce tutto… tutte ‘ste cose fuori, è normale che non sto più in pace qua”. Maria Concetta è preoccupata. È consapevole che sarà difficile lasciare la sua abitazione. “Eh, ma anche… ma anche se venite qua a casa, tipo, o come se mi convocano… mi convocate, perché… Purtroppo devo fare così sennò come cavolo esco, sennò questi chiamano gli avvocati e da qua non mi posso muovere”. Studiano insieme il piano. La donna riferisce tutti i suoi dubbi al maresciallo. Durante una conversazione telefonica chiede di essere arrestata. L’unico stratagemma per uscire da quella maledetta casa. (Dovete inventare una scusa, tipo, come se mi state arrestando, ecco. L’unica soluzione questa è. Perché sennò non ci sarebbe altra soluzione”).

 

Maria Concetta chiede di essere prelevata all’interno dell’abitazione, dall’altra parte viene prospettata una strategia diversa. Deve, almeno, uscire dal cancello. L’autorità dello Stato, anche in questi casi, si ferma davanti al cancello dell’abitazione di una famiglia ‘ndranghetista. Non si possono fare forzature di alcun tipo. La donna deve raggiungere da sola la macchina dei carabinieri piazzata davanti casa. È titubante: “Vediamo come posso fare qua, perché qua è difficile che c’è mio padre e mio fratello qua vicino…”. Il piano viene rimandato al mattino seguente. È sera, non può inventare nessuna scusa. Nemmeno per mettere un piede fuori l’abitazione dei genitori.

Il giorno successivo, alle ore 12:33, una nuova telefonata. C’è lo stesso problema, l’ostacolo non si riesce a superare. Viene organizzato il piano: in tarda serata la donna deve uscire di casa. Ad attenderla una macchina dei militari. Dopo qualche ora si registra il nuovo colpo di scena. Una nuova telefonata, la donna fa sapere che è costretta a rinviare il trasferimento per i problemi di salute di sua figlia. “Aspetto un paio di giorni e vi richiamo”.

Il piano stabilito, in poche ore, viene stravolto dagli eventi. Scrive una lettera, registra un nastro, ritira le sue dichiarazioni: “È da tre giorni che sono a casa mia tra mio padre, mia madre, i miei fratelli e ho riacquistato la serenità che cercavo. Vorrei aggiungere che avevo scritto una lettera che aggiungo con questa registrazione. Vorrei essere lasciata in pace”.

 

Viene trovata in bagno, per terra, con la bava alla bocca. Bagnata, bruciata, esanime. La trasportano in ospedale. Alle 21:20 del 20 agosto 2011 la drammatica notizia: Maria Concetta Cacciola è morta. È stata ‘suicidata’ con l’acido muriatico? È stata ammazzata? Ne sono convinti i magistrati, lo scrivono nelle carte

 

L’esposto in Procura

Nel giorno dei funerali di Maria Concetta (23 agosto 2011) i suoi genitori, Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, hanno altro a cui pensare. Meditano, ragionano, escogitano il piano. Studiano a tavolino, come sempre. Con la complicità di qualche ‘suggeritore’.  

 

La situazione è delicata, la giovane donna è morta. Uccisa, ‘suicidata’ con l’acido muriatico. I suoi familiari ‘ndranghetisti presentano un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Palmi. Si scagliano contro i carabinieri di Rosarno e i magistrati, con un’accusa infamante e falsa: hanno approfittato della figlia, della sua ‘depressione psichica’. L’hanno convinta “con l’inganno e la promessa di una vita migliore”, con “forzature e invenzioni”. Maria Concetta non era depressa, non aveva problemi psichici. Era una donna solare, amava la vita. Lo ribadisce durante il processo sua cugina Giuseppina Pesce. Le due donne hanno la stessa esperienza, condividono gli stessi problemi, si conoscono da bambine. Hanno frequentato gli stessi posti: la scuola, l’oratorio, gli amici. Hanno sposato mariti ‘ndranghetisti. “Una ragazza solare. Rideva sempre. Era forte, era ottimista. Si curava tanto. Ci teneva tanto alla sua persona”. La Pesce, per i magistrati, è attendibile. Come la testimonianza di Pasquale Improta, residente a Napoli, un amico conosciuto in una chat nel 2011. L’unica ‘fissa’ di Maria Concetta era la dieta. Non ha mai utilizzato medicinali antidepressivi, non verranno mai trovati durante le perquisizioni.

La depressione è l’argomento utilizzato dai suoi familiari per tentare di screditare la giovane donna uccisa, la prima volta, con l’acido muriatico.

 

Frammenti tratti dal libro «Testimoni di Giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie», Paolo De Chiara, Perrone editore, 2014