Mitologia della giustizia e dei giustizieri

Mitologia della giustizia e dei giustizieri

Gli ultimi dati Istat sulla giustizia penale denunciano una situazione Paese allarmante

Non ci attardiamo nell’analisi, già abbondantemente oggetto di più o meno dettagliate considerazioni formulate da più parti. Ci limitiamo a condividere qualche riflessione “a latere”. La ricerca e la condanna degli illeciti ormai non sono più solo il ruolo dell’azione giudiziaria.  La sequela e l’inaudita ostentazione di reati (con o senza aggravanti) si manifestano ovunque.

Nessuna parte del Paese ne rimane indenne. Non si può, oggi, indulgere alla mitologia di un’Italia sana in una parte e malata nell’altra.

Quando un Paese si ritrova fecondato, nel bene e soprattutto nel male, dalle tutele locali – le quali accampano il pretesto di dover supplire l’assenza di garanzia sociale e giustizia dei loro antagonisti e dello Stato – quel Paese è evidente preda di consorterie, sudditanze e roccaforti di scaltri cui non importa nulla del rinnovamento (che sbandierano come specchio per le allodole) ma solo di togliere acqua agli avversari per tuffarcisi. La stessa acqua. Che sia stata resa paludosa e stagnante dall’usura, non importa.

Nel profondo degrado, prodotto dall’ignoranza e dalla tendenza a delinquere, non ci sono aree che si possano definire scevre da consorterie intente a realizzare solo interessi propri.

A fronte del crescente numero di giovani reclutati nel mondo della criminalità e oggetto della violenza spietata della strada esiste il mondo dell’indifferenza: l’indifferenza politica, sociale, economica e mediatica nei confronti di queste vittime delle società dello scarto è sistematica e dura a morire.

Una società civile che rinuncia alla giustizia sbandierando l’alibi dei suoi possibili eccessi è un’organizzazione turpe che scende a patti con un’ingiustizia che produce indulgenze a qualcuno e lacrime e sangue alla gran parte della comunità.

Basta leggere i curricula dei personaggi che rappresentano la consorteria dell’indifferenza (ideologi e capipopolino): mai lavorato nello Stato che si pretende di conoscere, amare e salvare, nessuna competenza giuridico-economica che giustifichi una conoscenza del sistema giuridico e la fondatezza delle affermazioni salvifiche del sistema economico, nessuno stile nelle espressioni verbali e comportamentali.

La cultura e le competenze acquisite attraverso un regolare percorso di studi (che sono le sole possibilità di rinascita e di liberazione dalle convulsioni del pregiudizio e dalla autarchia delle parole) vanno ricercate nelle persone che, malgrado tutto, riescono a rappresentare degnamente l’Italia nel mondo.

E a non farci vergognare.