Notiziario dall’Italia e dal mondo sulle denunce e la lotta contro gli abusi

Online l'edizione numero 29.


Francesco Zanardi – Si torna in aula a Latina per l’udienza preliminare a carico Alessandro Frateschi

Si torna in aula al tribunale di Latina, per l’udienza preliminare a carico Alessandro Frateschi, 50 anni, ex prof di religione e diacono arrestato per violenza sessuale a danno di cinque giovanissimi. La giudice Laura Morselli ha accolto la richiesta di incidente probatorio per ascoltare i tre ragazzi minorenni, studenti del liceo Majorana, e oggi dovrebbe essere affidato l’incarico a un perito che dovrà assistere i ragazzi nella delicata ricostruzione di episodi estremamente traumatici.

Il giudice dovrà individuare uno psicologo specializzato nei reati sessuali a danno di minori che possa aiutarli nel racconto di quanto accaduto quando furono sottoposti ad abusi da parte del loro insegnante di religione, così come viene ipotizzato dall’accusa.

Il perito, ancora non individuato, sarà incaricato di effettuare anche una perizia psicodiagnostica per rispondere a una serie di quesiti, esattamente cinque. Il giudice vuole infatti stabilire se i ragazzi minorenni abbiano subito maltrattamenti o abusi sessuali in ambiente familiare o scolastico, se ci siano stati episodi traumatici o particolari stati emotivi.

Difficile al momento ipotizzare i motivi che possano aver portato il giudice a formulare quesiti così specifici. Forse sono legati a particolari passaggi contenuti nelle carte dell’inchiesta, ma è soltanto un’ipotesi visto che la richiesta della Procura in merito all’incidente probatorio riguardava esclusivamente la preziosa testimonianza delle vittime e non ne metteva assolutamente in discussione l’attendibilità.

IL MESSAGGERO

Federica Tourn – No alle confessioni ai bambini: sono a rischio abuso, lo dice uno studio di Friburgo

Anche le confessioni dei bambini non sono esenti dal rischio di potenziali abusi sessuali perché nel confessionale si potrebbero insinuare comportamenti manipolativi o legami ambigui. Si tratta di una riflessione choc che si sta facendo strada nelle comunità cattoliche tedesche al punto che nella diocesi di Friburgo, in Germania, una commissione incaricata di occuparsi degli abusi, ha fatto affiorare il problema, chiedendo di accantonare le confessioni sui più piccini, e posticipandole a una età più adulta.

Secondo l’agenzia cattolica KNA lo studio della diocesi ha mostrato che l’amministrazione di quel sacramento ai bambini della prima comunione potrebbe essere un «punto di iniziazione per gli abusi sessuali”, di conseguenza la raccomandazione della commissione è di abbandonarlo. Una misura prudenziale, a causa della stretta relazione tra bambino e il prete, la situazione che si viene a creare e potrebbe «aprire la possibilità di un comportamento manipolativo nei confronti di bambini e minori al punto da violarne i confini».

Gli esperti hanno chiesto che i bambini di 7 e 8 anni non siano più invitati alla loro prima confessione. Molto più sensato, scrivono, aspettare che abbiano 15 o 16 anni. Le motivazioni sviluppate dagli psicologi fanno leva sul fatto che i piccoli a quell’età difficilmente hanno già chiara una visione consapevole della colpa e del peccato. L’arcidiocesi di Friburgo è stata così chiamata a correre ai ripari ed, eventualmente, provvedere a nuovi regolamenti.

La confessione o sacramento della penitenza, per la Chiesa, ha un enorme significato. Durante la confessione i credenti rivelano i propri errori ed esprimono il loro rimorso mentre il sacerdote assolve il credente dai peccati per conto di Dio. Il sacerdote è poi vincolato al segreto assoluto dal sigillo della confessione.

Papa Francesco ha spesso incoraggiato i preti ad essere indulgenti, misericordiosi e a perdonare tutto. «Per favore, fratelli, perdonate tutto, perdonate sempre, senza mettere il dito troppo nelle coscienze; lasciate che la gente dica le sue cose e voi ricevete quello come Gesù, con la carezza del vostro sguardo, con il silenzio della vostra comprensione. Per favore, il sacramento della confessione non è per torturare, ma è per dare pace. Perdonate tutto, come Dio perdonerà tutto a voi. Tutto, tutto, tutto».

Fonte: Il Messaggero

Alessio Di Florio – Finalmente partita commissione parlamentare Orlandi-Gregori

Il 14 marzo si è riunita per la prima volta la commissione parlamentare d’inchiesta su Emanuela Orlandi e Mirella Gregori ed è stato costituito l’ufficio di presidenza. Ora la commissione è pienamente operativa e può iniziare i suoi lavori. Hanno avuto ragione Pietro Orlandi e l’avv. Laura Sgrò, si poteva proporre una commissione e può lavorare. Un fatto incontrovertibile che smentisce chi, dalle aule parlamentari al Vaticano, ha sostenuto il contrario.

La settimana scorsa si è titolato su tromboni abbondanti e trombette mancanti, su come ci sono notizie che vengono pubblicate o non pubblicate esprimendo di fatto una posizione, una direzione, una linea. Fin troppo spesso inginocchiata e di comodo ad alte sfere. La partenza della commissione parlamentare lo conferma. L’anno scorso la narrazione, smentita dai fatti e crollata già decenni fa, della magistratura vaticana contro la famiglia Orlandi così come il polverone contro Pietro Orlandi piegando a campagne che hanno tentato di delegittimarlo parole pronunciate in una trasmissione televisiva hanno avuto ampissimi echi e uno spazio mediatico enorme. I due atti intimidatori contro di lui quasi nulla di tutto ciò.

Esattamente come, in questi giorni, l’istituzione e la partenza della commissione. Che ora dovrà lavorare seriamente, dovrà fare inchiesta e non cercare “verità di comodo”. Come scrisse mesi fa su Notte Criminale Alessandro Ambrosini la commissione d’inchiesta Orlandi-Gregori “è un metro che misura la volontà effettiva di una classe dirigente di rompere con un passato che non ha raccontato, ha intorbidito. Che non ha cercato, ha coperto. Che non ha risolto, ha deviato”. “E’, e deve essere, la discontinuità con ciò che non è stato fatto troppe volte nella storia d’Italia. Deve essere la prova che lo Stato non ha paura di rispondere alla richiesta di verità e giustizia del proprio popolo. Che non teme di mettere sul tavolo il proprio futuro dissolvendo le nebbie del passato. Non c’è più tempo per passerelle e rassicurazioni. Servono solo fatti e concretezza. Questo deve essere il tempo degli uomini giusti, non delle marionette di un teatro stantio”.

Federico Tulli – Tavolette di cera? No, esseri umani

Di fronte a un delitto violento e così diffuso nella società civile come la pedofilia, io sono convinto che per comprenderne le motivazioni, organizzare una seria prevenzione a tutti i livelli e anche per fare seria informazione e divulgazione, occorra certamente dare un’adeguata copertura mediatica dei casi – facendo ben attenzione a non scadere nel morboso per vendere qualche copia in più – ma è fondamentale rivolgersi agli esperti. «La cosiddetta ‘pedofilia’ – letteralmente ‘amore per il bimbo’, ma tutto è fuorché amore e sessualità, è un attentato alle capacità della vittima di fidarsi degli altri, di sentire e pensare – è una storia che ha sempre tre componenti: la vittima, l’aggressore e l’ambiente in cui si verifica l’abuso», mi racconta la psichiatra e psicoterapeuta Annelore Homberg, presidente di Netforpp Europa ​​Network Europeo per la Psichiatria Psicodinamica. «È ormai risaputo che nella maggior parte dei casi la violenza avvenga in famiglia. Premetto che all’estero esistono anche consultori per uomini con tendenze ‘pedofile’ che vorrebbero essere aiutati a non attuarle, ma in Italia questo concetto non si è ancora diffuso. Perciò noi psichiatri vediamo, nell’ambulatorio pubblico oppure nello studio privato, soprattutto le vittime: il bambino o l’adulto che è stato abusato da bambino. Sullo sfondo la persona che ha aggredito, lo zio, il padre, il nonno, il nuovo compagno della madre, ma c’è anche il resto della famiglia, i parenti della vittima – molto spesso la madre – che proprio non hanno visto o che hanno fatto finta di non vedere». Della famiglia, di certe famiglie molto credenti in un certo senso fa parte anche il prete della parrocchia dove i figli seguono la messa, si preparano alla comunione e così via.

«Molte volte», racconta l’esperta, «quando sento queste storie, ho l’impressione che a livello latente ci sia una connivenza, una complicità della madre, o chi per lei, con il violentatore. C’è un essere d’accordo con l’intento che il bambino vada in qualche modo distrutto, nel senso che non deve uscire psichicamente indenne dall’infanzia e dalla pubertà». È un tema complesso e doloroso ma, osserva la dottoressa Homberg, va affrontato se si vogliono capire le dinamiche vere della cosiddetta pedofilia. «Se si estende questa considerazione al caso specifico della Chiesa cattolica», prosegue la psichiatra «possiamo dire che l’istituzione ecclesiastica rientri nella categoria del terzo elemento della triade, quello della ‘madre’ che preferisce non vedere. Oppure, se vede, arriva a sostenere che la vicenda non ha nessuna importanza in confronto alla storia della Chiesa».

Quando qualcuno punta loro il dito contro, come ad esempio ha fatto nel 2014 l’Onu nel caso della violazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia, sembra quasi che dicano ‘ma cosa mai sarà successo?’. «È vero. Inoltre siamo in presenza di un fenomeno che è oggettivamente irritante per qualsiasi cittadino di un paese democratico. C’è un paese in Europa, lo Stato del Vaticano, c’è un’istituzione religiosa, la Chiesa cattolica, che si arroga il diritto di porsi al di sopra e al di fuori delle leggi ‘laiche’ dei singoli Stati. Pretende di fatto di poter costituire uno Stato a sé stante dentro gli altri Stati. Questo fenomeno non si vede solo in Italia, c’è lo stesso problema anche in altri paesi meno monopolizzati dalla Chiesa cattolica come la Germania. Si ha la sconfortante impressione che le gerarchie ecclesiastiche, forse perché sono ancora legate a un modello teocratico medioevale o di monarchia assoluta, siano incapaci di comprendere alcuni concetti moderni come quello di istituzione democratica o di Stato di diritto. Pertanto tranquillamente sostengono che il trattamento di questi che sono dei gravi reati commessi contro cittadini di un determinato paese, e come tali perseguiti dalla giurisdizione di questi paesi, siano in realtà una loro prerogativa da risolvere all’interno della Chiesa stessa, magari limitandosi a trasferire il prete pedofilo in un’altra parrocchia e tenendo segreto il motivo del trasferimento alla comunità».

In barba all’incolumità dei bambini e allo Stato di diritto. «Da psichiatra», chiarisce Homberg, «ribadirei questo concetto: esiste una diffusa non cultura rispetto al bambino. Finché il bimbo non raggiunge i 7-8 anni di età, non scrive e non esercita il cosiddetto raziocinio, non sarebbe ancora un vero essere umano. Quindi quello che succede dalla nascita fino a quell’età non ha importanza. È un’idea errata che per fortuna non corrisponde più al pensare comune. Sebbene paradossalmente trovi ancora espressione in alcuni ambienti che in verità dovrebbero essere i più avanzati e progrediti: in molte università», conclude la psichiatra, «ancora oggi si insegna agli studenti che il neonato è una tavoletta di cera vuota, creta da plasmare, e che un’identità umana vera e propria nel bambino piccolo non esiste».