Pasolini non è stato ammazzato perchè era un «frocio e basta»

LA VERITA' NON DEVE EMERGERE. «Un tranello, presso l'Idroscalo di Ostia, per massacrare ed eliminare fisicamente il regista. Quella notte tutto era stato preparato.»

Pasolini non è stato ammazzato perchè era un «frocio e basta»

Pier Paolo Pasolini, l'ultimo degli intellettuali italiani, è stato ammazzato anche dopo la sua morte. Lo hanno colpito in vita, attraverso la giustizia borghese, e lo hanno diffamato dopo la morte. Il massacro del poeta si è consumato nella notte tra il 1° e il 2 novembre del 1975.

«L’“Italietta” è piccolo-borghese, fascista, democristiana; è provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare. Vuoi che rimpianga tutto questo? Per quel che mi riguarda personalmente, questa Italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni.» (Pasolini)

Da allora solo una versione è stata presa in considerazione. Quella pre-confezionata

Testimoni silenziati e allontanati, luogo del delitto reso impraticabile, processi farsa. Nelle sentenze si legge il nome di un solo colpevole: Pino "La Rana" Pelosi. Lo avrebbe incontrato, dopo una cena con l'attore Ninetto Davoli e famiglia, alla stazione Termini. Adescato dal poeta. Lo hanno fatto passare per pervertito. Una colossale cazzata.

Pier Paolo Pasolini e Pino Pelosi si conoscevano da molto tempo. Si frequentavano da mesi. Nessun adescamento alla stazione di Roma. Insieme erano andati a recuperare le "pizze" rubate dell'ultimo film di Pasolini, il più politico e il più bello, «Salò e le 120 giornate di Sodoma». Una pellicola unica, un pugno nello stomaco. Pasolini fa mangiare la merda ai suoi attori (sequestrati, rinchiusi e torturati dal Potere). Da quegli anni poco è cambiato. Ancora oggi il Potere ci fa mangiare merda. E, purtroppo, a molti piace mangiarla.

Un tranello, presso l'Idroscalo di Ostia, per massacrare ed eliminare fisicamente il regista. Quella notte tutto era stato preparato. Una seconda macchina, simile a quella di Pasolini, era presente in quel piazzale (che Pasolini conosceva molto bene). Oltre ad una seconda macchina c'era la manovalanza, convocata per chiudere definitivamente la partita. 

Troppi misteri. Troppe incongruenze. 

Lo scrittore stava lavorando a Petrolio, l'opera postuma con dei capitoli sottratti (Lampo sull'Eni). Pasolini aveva capito tutto, aveva letto un libro uscito ("Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato Presidente") sul fondatore della Loggia P2 ed immediatamente ritirato. Aveva collegato i fatti: la morte del Presidente dell'Eni (il partigiano Enrico Mattei) "ucciso" con una bomba, le redini del potere in mano ad un certo Eugenio Cefis (il suo vice, presidente Eni e della Montedison, fondatore Loggia P2), la morte del giornalista Mauro De Mauro. E tutti gli altri "misteri" italiani.

Aveva le prove Pasolini? Cosa aveva compreso l'intellettuale?

Dopo la sua morte iniziano i sapienti depistaggi nel Paese dei depistaggi: l'arresto anomalo di Pelosi, la sua confessione sbandierata ai quattro venti, il ruolo della destra italiana, i Marsigliesi (poi Banda della Magliana), le indagini inutili fatte dai carabinieri, le prove e le testimonianze buttate nel cesso. 

Ed ora, dopo anni di attesa, arriva il "colpo di scena" che colpo di scena non è. Ci sono film e libri che illustrano altre versioni, che indicano nuovi indizi. Ma nessuno, soprattutto la giustizia borghese, vuole fare luce sul massacro - studiato nei minimi particolari - del poeta. 

Troppe implicazioni, troppe collusioni, troppa merda intorno alla morte di Pier Paolo Pasolini. 

«L'omicidio di Pier Paolo Pasolini potrebbe essere legato al furto delle pellicole originali di alcune scene del suo film 'Salò e le 120 giornate di Sodoma', che era ancora in produzione: lo scrittore e regista sarebbe andato all'Idroscalo di Ostia, dove poi è stato ucciso, proprio per riuscire a recuperarle».

Restano queste parole, contenute nella Relazione della Commissione parlamentare Antimafia della scorsa legislatura. Una ipotesi, con il coinvolgimento di "gruppi malavitosi di rilievo". 

E' possibile sapere, in questo Paese senza memoria, cosa è successo quella maledetta notte? Quanti anni ancora dobbiamo aspettare per comprendere la verità?

Chi ha paura di parlare e di raccontare la sua versione? Chi continua ad essere ricattato e minacciato in questo Paese orribilmente sporco?   

 

PUBBLICHIAMO LA LETTERA, USCITA POCHI GIORNI FA, SCRITTA DAL REGISTA DAVID GRIECO E RIVOLTA A NINETTO DAVOLI. 

Caro Ninetto,

come stai? È da un bel po’ che non ci vediamo. Speravo di incontrarti in una delle innumerevoli manifestazioni in onore di Pier Paolo Pasolini alle quali ho partecipato quest’anno. Invece non è mai accaduto. Hai detto di no a tutti, hai preferito restartene a casa. Per te, la sua morte rimane un lutto privato. Ne hai tutto il diritto, per carità. Anche se le migliaia di persone che in questi mesi hanno imparato a conoscere e ad apprezzare Pasolini sono state purtroppo private dei tuoi racconti scoppiettanti e spassosi.

Com’era inevitabile e doveroso, nella seconda metà di quest’anno si è parlato anche della morte di Pier Paolo Pasolini e di tutti i suoi misteri che misteri non sono. Pier Paolo è stato barbaramente assassinato in un agguato premeditato da un gruppo di persone istruite a farlo da un ben più ampio gruppo di persone. Il capro espiatorio è stato un ragazzino incontrato per caso di nome Pino Pelosi che non avrebbe fatto male a una mosca, e così la serata è passata alla Storia come la tragica disavventura di un frocio che se l’era andata a cercare.

Questa versione dei fatti, del resto, l’hai accredita tu meglio di chiunque altro quando ti accompagnarono all’Idroscalo per riconoscere il cadavere di Pier Paolo. “È stata una serata sbagliata”, affermasti. E queste cinque parole rappresentano ancora l’epigrafe del Delitto Pasolini.

Eppure, se c’era una persona che non doveva pronunciare quelle parole eri proprio tu. Perché tu conoscevi Pino Pelosi e sapevi che da mesi aveva una relazione con Pier Paolo. Lo sapevi tu come lo sapevano Sergio Citti, Nico Naldini, Franco Citti e chissà quanti altri. Sergio Citti mi raccontò, dieci anni dopo la morte di Pier Paolo purtroppo, che un giorno tu andasti persino a trovare Pelosi in tempi non sospetti per dirgli più o meno le seguenti parole: “Guarda, a’ coso, che quel signore che frequenti è un amico nostro, quindi stai bene attento a quello che fai…”. Il risultato di quelle minacce si è visto, purtroppo.

Perché non hai detto che conoscevi Pelosi, Ninetto? Ti rendi conto che differenza avrebbe fatto? Riesci a immaginare che indirizzo avrebbero preso le indagini e il processo? Capisci che questa affermazione da parte tua sarebbe stata la prova regina che Pasolini e Pelosi non erano andati fino all’Idroscalo per consumare un rapporto sessuale? Riesci a intuire che il castello di menzogne precostituito dai suoi assassini sarebbe crollato?

Tu sei stato fuor di dubbio la persona più importante nella vita di Pier Paolo Pasolini. E del resto sei stato tu l’ultimo a vedere Pier Paolo vivo, preoccupato e spaventato quella sera al ristorante “Pommidoro” dove andaste a cena insieme prima che Pasolini si recasse alla Stazione Termini dove aveva appuntamento con Pelosi.

Cosa ti disse quella sera Pier Paolo? Ad Aldo Bravi, il proprietario del ristorante, e alla giornalista Mirella Acconciamessa, che per combinazione era a cena anche lei lì, Pasolini disse che era preoccupato, che vedeva improvvisamente tante brutte facce in giro. A te, che eri tavola con lui, cosa disse Pier Paolo? Anche questo, non ce lo hai fatto mai sapere.

Ma c’è dell’altro. Graziella Chiarcossi, che viveva con Pasolini, quella notte si vide piombare a casa due poliziotti che la avvisarono di aver trovato la macchina di Pasolini abbandonata sulla Tiburtina (vale a dire a trenta chilometri dall’Idroscalo). Graziella rimase sola con quella strana e preoccupante notizia. I telefoni all’EUR in quei giorni non funzionavano. Allora Graziella si recò al comando dei carabinieri per avere notizie di Pier Paolo. Quelli le risposero che non sapevano assolutamente niente. Una volta uscita da lì, si imbattè in un bar aperto provvisto di un telefono a gettone. Graziella ti telefonò e tu le rispondesti che Pasolini era morto. Eppure, i carabinieri non sapevano ancora niente. Eppure, a quell’ora la signora Lollobrigida non aveva ancora trovato quel cadavere irriconoscibile che somigliava tanto a un mucchio di stracci.

Come facevi a sapere già che Pier Paolo era morto, Ninetto? Chi è stato ad avvisarti? A che ora ti hanno chiamato? E come mai hanno chiamato proprio te anziché andare a casa di Pasolini a comunicare la tragica notizia?

Da quella notte, sono trascorsi 47 maledetti anni. Nel frattempo, caro Ninetto, ci siamo fatti vecchi. Eppure, nonostante tutte le celebrazioni per il centenario della nascita, per la cosiddetta Giustizia Italiana Pier Paolo Pasolini rimane sempre quel frocio che se l’era andata a cercare.

Quella notte non finisce mai. È ancora buio. Ma io e tanti altri che Pasolini non lo hanno nemmeno conosciuto, come l’avvocato Stefano Maccioni che si batte da dieci anni per la ricerca della verità, continuiamo a cercare spiragli di luce. La RAI ha trasmesso la settimana scorsa un notevole programma di Giancarlo De Cataldo (“Cronache Criminali: il Caso Pasolini”) al quale come al solito tu non hai voluto partecipare. Vedilo su Raiplay. Potrebbe chiarirti le idee, forse potrebbe darti coraggio.

Su quella notte così buia, aspettiamo tutti da anni un tuo raggio di sole. Vedi di darti un mossa che si è fatto tardi.

Con l’affetto di sempre

tuo

David Grieco

 

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