Incendi Punta Aderci, perché l’inferno in un paradiso?

Settimane dopo restano visibili, come cicatrici di una ferita ancora sanguinante, i terribili segni dell’incendio del 30 agosto a Punta Aderci. Passano i giorni e gli interrogativi sulle cause restano ancora intatti.

Incendi Punta Aderci, perché l’inferno in un paradiso?

Il silenzio e la calma accolgono in questo lembo ferito di paradiso. Silenzio spezzato solo in lontananza dagli ultimi vacanzieri balneari che cercano di strappare gli ultimi giorni d’estate. Nell’aria non si sente più l’odore del fumo e del fuoco e nulla si muove più. Ma vagando tra i resti della devastazione e le ferite della natura si percepisce ancora, si sente ancora sulla pelle, il senso dell’inferno passato.

Passo dopo passo, metro dopo metro le sensazioni di tristezza, di rabbia e angoscia che penetrano nelle viscere è ancora intatta: qui dove oggi domina il nero, dove appare una terribile landa desolata che sfregia i colori di questo paradiso, il 30 agosto scorso è stato un pomeriggio infernale e drammatico. Sferzava l’aria un vento afoso, irruento ed impetuoso che ha portato la devastazione, l’annichilimento di tutto quello che ha travolto, di un incendio drammatico. Decine di ettari ingoiati in poche ore, fiamme altissime che hanno fatto tremare. La giornata più drammatica e la peggior distruzione che la storia di Punta Aderci e di tutta la città di Vasto ricordi.

La galleria di foto (interamente disponibile qui) documenta queste settimane, alcune proprio di quelle ore mentre le fiamme venivano domate e il vento incombeva ancora su tutto e tutti, molte altre scattate nei giorni e nelle settimane successive. Diverse sono incerte, alcune anche sfocate a testimoniare la precarietà e l’incertezza, l’angoscia e il dolore del cuore: sentimenti condivisi in quella drammatica giornata con altre latitudini d’Italia. Erano infatti i giorni in cui, per l’ennesima volta, mani criminali hanno incendiato la Riserva dello Zingaro in Sicilia, dove in quelle ore un terribile rogo colpì anche la collina di San Silvestro a Pescara. Incendio che ha ucciso due cagnolini, morti che hanno avuto ben poca risonanza nella cronaca locale, sconosciute in quella nazionale, considerati probabilmente un danno collaterale di scarso peso.

Ed è ingiusto, barbaro, disumano, terribile che sia così. Il loro sacrificio ci ricorda quanto la devastazione criminale colpisce i più inermi, deboli e innocenti, quanto in questo nostro mondo sempre più sono negati spazio e vita ai più teneri, agli indifesi, ai sentimenti e che il dolore degli altri non è dolore a metà. Quei due poveri cani hanno sofferto, pianto, sono stati straziati, dilaniati secondo dopo secondo. Quelle lacrime che nessuno ha potuto ascoltare, che sono state asciugate solo dal sonno eterno sono uno schiaffo all’aridità, al mondo imborghesito, perbenista, ipocrita e sempre prono e schierato con i forti e i vincitori. Ci ricordano che non siamo soli al mondo, che gesti, atti e fatti coinvolgono tantissimi altri, che esiste una responsabilità immensa davanti al mondo che ci circonda, che non si può fare tutto quel che si vuole pensando solo al proprio interesse, piacere, sollazzo, sguardo particolare. L’egoismo è l’oppio dell’animo umano ed inquina, devasta, avvelena e uccide.

"Nulla sarà come prima e si dovrà cambiare tutto": quante volte in questi mesi drammatici abbiamo letto e sentito parole simili? Tante, tantissime. Ma l’attualità, l’avanzare dei giorni e le dinamiche quotidiane confermano che si sta perseguendo in maniera "scriteriata", sconsiderata e totale il mondo di prima, più di prima e che un cambiamento radicale e profondo sia non solo necessario ma vitale qualcuno l’aveva già compreso decenni fa. Era il più impolitico dei politici, il più umile dei giganti, il più straniero nei palazzi e quindi colui che più li ha vissuti nel profondo autentico, Alexander Langer. In quest’estate che doveva essere di riflessione, di rivoluzione della vita, del presente e del futuro, in cui la pandemia mondiale ha reso difficile o impossibile quasi tutto e si è guardato alla memoria in maniera spasmodica, Alexander è stato dimenticato. La sua riflessione, la sua profondità nell’agire e nel sognare, nel vedere oltre per costruire un avvenire diverso, migliore, capace di empatia e rispetto per gli altri e tutto il mondo vivente, in anticipo sui decenni potrebbe essere una bussola anche per Punta Aderci.

Nelle ore e nei giorni successivi all’incendio del 30 agosto, quando l’emozione e l’attenzione erano ancora altissime, più di una persona lo ha affermato: sarà necessario rivedere la concezione della Riserva (tutta, di Punta Aderci che non si ferma solo alla “pennuccia” e alla spiaggia come persino l’Amministrazione ha scritto nel lanciare la raccolta fondi…), cambiare la pressione e il rapporto. Quel rapporto troppo spesso conflittuale, troppo spesso di scontro tra i desiderata della movida e della società vastesi e le esigenze della tutela e valorizzazione della natura, dei ricchissimi scrigni della Riserva.

Punta Aderci non può essere una discoteca, non può essere un’area pic nic, non è un luogo di svago dove tutto è concesso e l’unico limite è il divertimento. Ci sono luoghi e abitanti da rispettare, ci sono equilibri, bellezze e colori da valorizzare e a cui dare la sacrosanta considerazione. Amareggia e indigna, come documentano alcune nostre foto, che nelle ore drammatiche del 30 agosto qualcuno ha gettato una mascherina e  che la devastazione del fuoco ha fatto riemergere rifiuti di ogni tipo: tappeti di bottiglie di vetro così come sedie, elettrodomestici, etc.

Ci sarà da riflettere, come in queste settimane non è realmente avvenuto, su quali interessi, su chi può aver puntato a distruggere questo paradisotrasformandolo in un inferno. E , soprattutto, su quale inferno vuol costruire? L’incendio è partito in piena zona industriale, raggiungendo in pochissimo tempo la Riserva e devastando così decine di ettari, il tutto a pochi passi da diversi capannoni e industrie, compresi alcuni silos dove sono contenuti materiali potenzialmente pericolosissimi.

Poco distante ci sono altri silos: con una direzione del vento leggermente diversa cosa sarebbe potuto accadere? I consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle Dina Carinci e Marco Gallo lo hanno chiesto in un’interrogazione al sindaco: molti cittadini sono rimasti terrorizzati davanti ad una delle prime foto che è girata su facebook. E in un’area dove, come abbiamo ricordato nelle scorse settimane, regna l’incertezza e le istituzioni non hanno mai messo un punto fermo neanche sui «cattivi odori” figurarsi cosa si può pensare davanti ad un maxi incendio come il 30 agosto.

Il drammatico agosto 2020 è iniziato per l’Abruzzo con i nuovi devastanti roghi nell’aquilano, in quei territori feriti e colpiti al cuore già nel 2017. Incendi su cui, come ha documentato la ricerca universitaria coordinata dalla professoressa Lina Calandra di cui abbiamo dato ampia informazione, incombono interessi speculativi, criminali e mafiosi. Da 9 anni ormai il dibattito pubblico era infuocato dallo scontro sul Parco Nazionale della Costa Teatina, quel parco che per inerzia, incapacità, mero calcolo elettorale e politico è fermo da quasi vent’anni. Tra gli oppositori più accesi e violenti qualcuno in quella torrida estate iniziò a dire frasi come «se nasce il Parco di lavoro inizio a mettergli fuoco», «incendieremo tutto», «al Parco gli metto fuoco» e simili.

E qualcuno, puntualmente, passò dalle parole ai fatti all’inizio del mese di settembre. Sono riflessioni e interrogativi da porre con forza e che non possono essere elusi e anzi vanno resi centrali. Scatenando quell'inferno chi può aver interesse, chi può odiare questo territorio a tal punto da volerlo distruggere, quali tra gli innumerevoli appetiti che volteggiano su Punta Aderci e questo lembo d’Abruzzo? Le realtà rimosse dall’omertà e dagli imbelli, dai complici e dai conniventi, quel marcio che esiste anche se il negazionismo più spudorato sostiene il contrario, lo impongono.

GALLERIA FOTOGRAFICA