«Il cambiamento post-pandemia non deve fare vittime tra i più deboli»

PRIMA PARTE. La pandemia ha investito anche una delle realtà più presenti in Italia, la Chiesa Cattolica. In questi mesi, infatti, tante polemiche hanno coinvolto i rapporti tra parti del clero e il papato con la società italiana. Intervista a don Carmine Miccoli, prete della diocesi di Lanciano-Ortona, da tanti anni impegnato sul fronte del cattolicesimo sociale, per la Pace e i diritti degli ultimi.

«Il cambiamento post-pandemia non deve fare vittime tra i più deboli»
don Carmine Miccoli

I mesi di lockdown hanno travolto la quotidianità e ogni attività sociale: mesi, quelli appena trascorsi, su cui tante sono state le riflessioni – più o meno reali – su come uscirà (quando si uscirà) dall’emergenza sanitaria la società e i radicali cambiamenti imposti da questo tempo.

Una delle realtà più presenti nella società italiana è la Chiesa cattolica: nelle settimane in cui si stava discutendo della ripartenza ci sono state forti polemiche di matrice politica sulla riapertura delle Chiese al culto dei fedeli. Alcuni partiti politici avevano fatto una sorta di loro bandiera l’esigenza di tornare alla preghiera, alla spiritualità e alla «libertà di religione». Un rapporto quello tra parte della politica e la religione che ha avuto, anche in questi mesi, una deriva sconcertante e strumentale cavalcando la «libertà di culto». Che, non si dovrebbe mai dimenticare, in realtà non è esclusiva dei cattolici perché – mai come in questo caso potremmo scrivere grazie a Dio – esiste ancora la pluralità delle religioni e la libertà personale di aderire (se si vuol aderire) alla religione o chiesa che si vuole. Deriva strumentale e sconcertante perché piegata al suprematismo e a quei settori della destra più eversiva che, come già abbiamo raccontato a maggio, partendo dagli Stati Uniti cerca di sfruttare questi mesi per ostacolare il contrasto alla pandemia e sfruttare questi mesi per la propria propaganda.

La Chiesa Cattolica ha un forte peso nel dibattito pubblico e politico italiano, arrivando anche a determinare le sorti di leggi o provvedimenti delle istituzioni. Sul dibattito degli ultimi mesi, soprattutto su questioni etiche e della difesa dei diritti, e su come la società (quando tutto finirà) dovrà ripartire senza dimenticare i più deboli, pubblichiamo la prima parte dell’intervista a don Carmine Miccoli, prete della diocesi di Lanciano-Ortona da sempre impegnato nell’associazionismo cattolico sociale, per la Pace e per i diritti degli ultimi e una società più giusta ed equa.

Sono ormai mesi che anche le chiese hanno riaperto per le celebrazioni con i fedeli, quale la situazione attuale? Quali le emergenze e come, lì dove sta avvenendo, si stanno sostenendo gli impoveriti dalla crisi e i più fragili?

«Al momento la situazione delle parrocchie è quella di una singolare normalità: si celebrano messe e riti secondo le norme stabilite di concerto tra Governo e CEI, si sono organizzate occasioni di formazione e di gioco per bambini e ragazzi (come grest, campi estivi, ecc.), si sono tenute anche le feste patronali, pur senza le tradizionali processioni e sagre... Il sostegno alle persone più fragili non è mai venuto meno, anche nel periodo più rigido della chiusura per motivi sanitari; sono stati stanziati fondi straordinari, soprattutto dal gettito dell'8 per mille per le situazioni più critiche; manca ancora, soprattutto a livello locale, una prima programmazione di quanto sarà necessario in quest’ultima parte dell'anno in corso e nel prossimo per le situazioni di precarietà economica e sociale che si stanno aggiungendo a quelle già presenti. Mi preoccupa sopratutto il fatto che tanti vogliano tornare a quello che c’era prima, senza capire che la situazione che viviamo è cambiata in maniera drastica e che bisogna piuttosto guidare questo cambiamento perché non ci travolga e non faccia vittime tra i più deboli».

In una sorta di rivincita clericale sulla laica società che si è fermata per la pandemia, c'è almeno una parte di chiesa che si è preoccupata solo del ritorno al culto dimenticandosi di chi è più in difficoltà?

«Fondamentalmente, soprattutto a livello locale, chi già da prima si preoccupava solo del culto e di una certa tradizione religiosa, continua a portare avanti queste attività e a mantenere lo stile di sempre, anche quando dovesse preoccuparsi di fare la carità...Spero che questi mesi servano a ripensare profondamente come i credenti possano essere lievito per rinnovare la società in cui vivono, insieme a tutti coloro che non vogliono di certo tornare ad una normalità che, già prima della fase acuta della pandemia, non era giusta».