Roma trasformata in lavatrice per il riciclo del denaro di Cosa nostra
Uomo chiave dell’operazione è Francesco Paolo Maniscalco, 58 anni, figlio di Salvatore, detto “Totuccio”, morto nel 2004, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Corso dei Mille nonché fra i principali imputati del maxi-processo a Cosa Nostra fra gli anni ’80 e ’90, e uomo di fiducia di Giuseppe Salvatore Riina, rampollo di Totò Riina.
Che Cosa Nostra palermitana a Roma si sentisse a casa sua è noto da anni. Forse proprio il suo basso profilo, di rado intercettato dagli investigatori, ha contribuito alla sua espansione ed è riuscito a creare una rete diffusa sul territorio che le ha permesso di avere diverse attività a Trastevere e a Testaccio utilizzate, principalmente, come lavatrice del denaro proveniente sia dalle estorsioni sia dal traffico di droga del quale, sin dagli anni ’70, possiede la leadership.
A partire dall’operazione avviata dai carabinieri del Ros coordinata dalla Dda, nel novembre 2018 fu eseguita la confisca di beni a carico di Francesco Paolo Maniscalco.
L’operazione ha portato a scoprire un sistematico giro di denaro che ha portato ad apporre i sigilli ad un noto ristorante che proponeva specialità siciliane a due passi dal lungotevere Ripa.
Nella giornata di ieri i carabinieri del Ros hanno eseguito un sequestro preventivo nei confronti di un locale dal valore di 400mila euro e hanno dato esecuzione ad un'ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal Tribunale di Roma, su richiesta della Procura della Repubblica di Roma – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di undici persone ritenute responsabili di "trasferimento fraudolento di valori, bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio, reati commessi per agevolare l'associazione mafiosa Cosa nostra".
Si tratta di undici persone, sei delle quali facente parte della famiglia Rubino, destinatarie di ordinanza di misure cautelari da parte dei carabinieri del Ros di Roma, guidati dal tenente colonnello Luigi Imperatori, le cui indagini sono state coordinate dai magistrati della Dda di Roma, il procuratore aggiunto Ilaria Calò e il pm Stefano Luciani.
I reati contestati a vario titolo sono, oltre all’associazione a delinquere di stampo mafioso, anche l’attribuzione fittizia di beni e titolarità, bancarotta fraudolenta, riciclaggio e auto riciclaggio.
Oggetti dell’operazione Salvatore Rubino (già in carcere), il fratello Benedetto (arrestato a Portuense) e Francesco Paolo Maniscalco (anche lui già in carcere). Misure cautelari hanno colpito anche altre 8 persone di cui 4 ai domiciliari e altrettante con l'obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria.
Uomo chiave dell’operazione è Francesco Paolo Maniscalco, 58 anni, figlio di Salvatore, detto “Totuccio”, morto nel 2004, della famiglia mafiosa di Corso dei Mille nonché fra i principali imputati del maxi-processo a Cosa Nostra fra gli anni ’80 e ’90, e uomo di fiducia di Giuseppe Salvatore Riina, rampollo di Totò Riina.
Francesco Paolo Maniscalco è nipote di Cesare Giuseppe Zaccheroni, “uomo d’onore della famiglia mafiosa di Porta Nuova” che “godeva della piena fiducia di Giuseppe Calò detto ‘Pippo’” e che, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Ganci, “aveva preso parte alle riunioni in cui era stato discusso, decretato e pianificato l’omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa”.
Lo stesso Ganci parla anche di Salvatore Rubino e del suo ruolo, negli anni ’80 “a disposizione della famiglia mafiosa della Noce”.
Maniscalco fu condannato anche per la rapina da 731 milioni di lire alla filiale palermitana della Banca Commerciale Italiana, nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1990.
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