Strage del rapido 904, parla Rosaria Manzo: «Siamo un Paese senza memoria»

STRATEGIA DELLA TENSIONE. «Un coacervo di interessi convergenti». 23 dicembre 1984, 19:08. Sotto la galleria di San Benedetto di Val di Sambro scoppia la bomba: 16 morti e 267 feriti. Sono passati 37 anni e ancora non si conosce la verità e ancora non è stata fatta giustizia. Una tappa della "strategia della tensione" (iniziata con la strage di Portella della Ginestra, 1 maggio 1947). In occasione dell'Anniversario della strage del rapido 904 abbiamo intervistato la presidente dell'Associazione, la figlia del 2° macchinista di quel treno (Napoli-Milano) colpito da criminali senza scrupoli. Una strage di mafia. «Mi rendo conto che la poca voglia di scoprire che cosa è avvenuto in quegli anni si è prolungata in questi trentasette anni. C’è un’assenza, direi quasi totale, della società civile.»

Strage del rapido 904, parla Rosaria Manzo: «Siamo un Paese senza memoria»
La stazione di Napoli centrale (ph profilo fb Rosaria Manzo)

«Cinque stragi abbiamo avuto, tutte lo stesso marchio d'infamia, e i responsabili non sono stati ancora assicurati alla giustizia. I parenti delle vittime, il popolo italiano non chiedono, come qualcuno ha insinuato, vendetta, ma chiedono giustizia»

Sandro Pertini, Presidente della Repubblica 

«La strategia della tensione non è terminata»

Paolo Bolognesi, presidente Associazione familiari delle vittime della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, WordNews.it, 1 agosto 2020

«Una strategia della tensione che ha distrutto il Paese. Ma chi ha pagato?»

Tonino Braccia, superstire strage della stazione di Bologna, WordNews.it, 18 marzo 2020

 

Volontà criminale per il massacro di cittadini innocenti. Così potrebbe essere definita la strage del Rapido 904. Il treno partito alle ore 19:08 da Napoli e mai arrivato a Milano. La bomba viene fatta scientificamente esplodere nella Galleria di Val di Sambro per una maggiore potenza esplosiva, con un timer regolato. L’obiettivo dei criminali era uno soltanto: più morti e più danni possibili.

“Un attacco al cuore dello Stato” lo ha definito la presidente dell’Associazione Rosaria Manzo (nella foto in basso), la figlia del secondo macchinista di quel treno.

 

Una strage di mafia, una strage di Stato: 16 morti e 267 feriti. Lo stesso esplosivo della strage di via d’Amelio (19 luglio del 1992) dove Cosa nostra colpisce al cuore lo Stato ammazzando il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta (Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Fabio Li Muli, Claudio Traina ed Eddie Walter Cosina). Un luogo strategico, sicuramente non scelto a caso. Dieci anni prima, il 4 agosto del 1974, la strage del treno Italicus causò 12 morti.

ph Corriere della Sera

 

In questo Paese strano, senza memoria compare sempre lo stesso fil rouge che unisce tutte le stragi e i delitti eccellenti. Da Portella della Ginestra (1° maggio del 1947) sino ai giorni nostri: Piazza Fontana a Milano (1969), Gioia Tauro, treno Freccia del Sud (1970), Piazza della Loggia a Brescia (1974), Italicus (1974), via Fani a Roma (1978), Ustica (1980), stazione di Bologna (1980), Rapido 904 (1984), Capaci (1992), via d’Amelio (1992), Uffizi a Firenze (1993), Milano (1993).

  

Ma dopo 37 anni dalla strage di Natale cosa è cambiato in questo Paese? Lo abbiamo chiesto, nel giorno dell’anniversario, a Rosaria Manzo, presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime della strage del Rapido 904.

«Per noi familiari non è cambiato nulla.»

 

In che senso?

«Io nell’84 ero appena nata, non ho respirato l’aria di quegli anni. Però mi rendo conto che la poca voglia di scoprire che cosa è avvenuto in quegli anni si è prolungata in questi trentasette anni. C’è un’assenza, direi quasi totale, della società civile. C’è una noncuranza, come se quei fatti fossero dei fatti privati.»

 

Che intende quando parla di “assenza totale della società civile”?

«Intendo proprio il cittadino, che sia l’universitario o il garzone del negozio. Non è interessato. Ho la percezione che ce la cantiamo e ce la suoniamo tra di noi.»

ph Il riformista

 

Perché la società civile è disinteressata su queste tematiche?

«La società civile è totalmente disinteressata perché è assorbita solo da quello sta avvenendo in quel momento, senza pensare al motivo per cui sta avvenendo questa cosa oggi. Senza rendersi conto che quello che avviene oggi è anche il frutto di quello che è avvenuto un po’ di anni fa. Quindi c’è un disinteresse totale di tutto quello che è storia, di tutto quello che ha fatto parte della nostra vita. Lo studente universitario pensa esclusivamente al fatto che si deve laureare, deve fare quell’esame, deve vivere quella giornata. Parlo dello studente universitario perché mi aspetto da chi potrebbe in qualche modo continuare ad indagare, perché in futuro dovrebbe dirigere il nostro Paese. Invece se già alla base partiamo così in futuro come potrebbe avere la curiosità se non ce l’ha ora che ha i mezzi per studiare per farlo. Questa è la cosa che più mi fa male, questa è la cosa che negli anni è peggiorata.»

 

Pier Paolo Pasolini parlava di un “Paese senza memoria”. E un Paese senza memoria è un Paese senza storia. Ma la memoria di questo Paese è legata a doppio filo con la strategia della tensione che, secondo il presidente dell’Associazione “2 agosto 1980”, Paolo Bolognesi, non è mai terminata. Lei è d’accordo? Potrebbe essere questa una spiegazione sul mancato interesse a ricordare questi tragici fatti, a fare chiarezza per ottenere giustizia e verità?

«Assolutamente sì. Non è che non sono interessati all’evento commemorativo in sé. La giornata in cui si svolge l’evento suscita anche un interesse. Il problema è che non si va a fondo nelle cose, perché non c’è l’interesse. Non possiamo fare memoria se non conosciamo. Ad oggi noi i fatti non li conosciamo. Oggi facciamo la memoria delle vittime, del loro vissuto. Ma non del fatto storico che, ad oggi, non è ancora chiaro.»

 

“In Italia la strategia della tensione non è ancora terminata” ha dichiarato al nostro giornale il presidente Paolo Bolognesi. Lei è d’accordo?

«Non potrei non essere d’accordo.»

 

Perché?

«Il fatto stesso che non riusciamo a distanza di anni a far emergere quello che è avvenuto è proprio perché c’è una volontà intrinseca. La volontà di chi non so dirla, però c’è sicuramente una volontà. L’ultimo processo della strage che si è concluso con la morte di Riina nel primo grado, dove c’è l’assoluzione a Totò Riina, si legge di coacervo di interessi convergenti. Quali sono questi interessi? Ci sono dei legami, degli interessi ma nella sentenza non viene detto quali sono. Ed è questo che mi fa pensare, non l’assoluzione di Riina in sé.»

 

Esiste anche un legame tra la strage del rapido 904 del 1984 e la strage di via d’Amelio (19 luglio 1992).

«Lo stesso esplosivo.»

 

E, secondo il suo punto di vista, che significa?

«Per me la strage del rapido rappresenta un punto di congiunzione, per il luogo fisico dove è avvenuta la strage. Siamo vicini a quello che era il terrorismo degli anni Ottanta. Solo se vogliamo pensare alla strage dell’Italicus (4 agosto 1974, nella stessa galleria di S. Benedetto Val di Sambro, nda). E contemporaneamente c’è un esplosivo che ci parla di mafia. Legami tra camorra, mafia, questi famosi servizi. Bisognerebbe fare luce sui legami che c’erano tra queste persone. Se poi questa persona si chiami Totò Riina o si chiami Calò o si chiami Cercola poco importa. Ma chi vuole le cose e perché. Questo è l’interrogativo enorme sul Rapido che non siamo riusciti ancora a portare avanti.»

 

ph Ansa

 

Quando parliamo di strategia della tensione non possiamo dimenticare la strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947 (14 morti e 27 feriti), la prima strage di Stato. Dopo Portela tutte le altre stragi, fino agli anni Novanta. Secondo lei è sempre lo stesso fil rouge? Le “menti raffinatissime” sono le stesse?

«C’è sicuramente la stessa volontà che è la volontà di destabilizzare lo Stato. La volontà di creare il terrore nelle strade, la volontà di prendersela con i civili, quindi, di andare oltre all’assassinio del giudice o del politico di turno per creare un certo tipo di legame e dimostrare il proprio potere. Quando si toccano i civili, ed è quello che è successo in tutte le stragi di terrorismo di cui stiamo parlando, ci deve essere per forza un legame. Anche semplicemente un legame di tipo ideologico.»

 

Lei parlava di volontà. E questa volontà ha causato per la strage del Rapido 16 morti e 267 feriti. Lei è la figlia di Giovanni Manzo, 2° macchinista del Rapido. Possiamo ricordare la figura di suo padre?

«Mio padre è un superstite e, quindi, tra i fortunati che hanno potuto, in qualche modo, raccontare la strage. Allora mio padre aveva 29 anni, era stato assunto da pochi mesi dalle Ferrovie. Si è ritrovato subito in un mondo più grande di lui. Lui non ha voglia, come molti, di raccontare della strage. Anche in famiglia. I suoi racconti sono sempre molto frammentari. Lui quella sera si è adoperato andando incontro ad una colonnina SOS per avvistare di quello che stava avvenendo. Non è stato l’unico ad avvisare, ci sono stati anche altri ferrovieri. Sicuramente sono cose che cambiano la vita, cambiano l’approccio che si ha nei confronti della vita. Per molti superstiti c’è un prima e un dopo la strage. Mio padre, begli anni, l’ha fatto diventare un fatto sempre più privato come se non fosse la storia d’Italia. Ha un po’ rappresentato tutto i famigliari della strage. Mentre per le altre associazioni c’è stata un po’ questa presa di coscienza del fatto storico. Per il Rapido 904 i famigliari si sono molto chiusi in loro stessi. Anche il fatto di non volere i funerali di Stato la dice lunga sulla volontà del fatto privato.»

 

Archivio Studio Camera Chiara

 

Presidente, lei in una intervista ha parlato di “attacco al cuore dello Stato”. Uno Stato colpito da un altro Stato. Secondo Tonino Braccia, un superstite della strage di Bologna (2 agosto 1982, 85 morti e 200 feriti), “il nostro Paese è stato governato dalla mafia, Andreotti, Dell’Utri. La storia si può ripetere, questi vogliono governare per forza. E ancora oggi abbiamo esempi di personaggi che hanno dietro le solite persone”. Lei, dopo tutta l’esperienza maturata in questi anni, crede nelle Istituzioni di questo Paese?

«Sì, credo nelle Istituzioni di questo Paese. Non posso fare altrimenti. Non credere nelle Istituzioni di questo Paese significa che hanno vinto loro. Invece continuare a credere significa che c’è la possibilità. Non credere significa lasciare tutto in mano alla criminalità organizzata che si terrorismo, mafia, camorra o qualsiasi nome vogliamo dare. Credere nelle Istituzioni e nello Stato, oggi, significa dare una possibilità ai cittadini.»

 

In questi ultimi anni quale Governo, se c’è ne stato qualcuno, ha dimostrato un’apertura nei vostri confronti per raggiungere quella verità e giustizia di cui parlavamo prima?

«No. Non mi sento di dover ringraziare qualcuno per quanto fatto.»

 

Perché?

«Quanto fatto è atto dovuto, quindi non mi sento di dire “questo Governo ha fatto di più o di meno di altri”. Più che il merito il demerito di chi non ha fatto.»

 

Cosa chiedete alle Istituzioni di questo Paese?

«Chiarezza. Un’attenzione maggiore per il fatto storico. Ecco, non voltarsi dall’altra parte. non rispondere solo a richiesta. Oggi riceviamo le risposte, forse, solo se facciamo le domande. E invece credo che questo Paese si meriti le risposte senza domande. Non deve essere un’associazione di famigliari a provare a far riaprire un processo, non deve essere l’associazione dei famigliari a chiedere il messaggio alle Istituzioni di turno per la commemorazione piuttosto che la medaglia al valor civile al proprio famigliare. Dovrebbe essere una cosa dovuta. Non ho voglia di chiedere la presenza dell’Istituzione. Il 23 dicembre è l’anniversario di una strage che ha colpito l’Italia. Non devo invitare il Presidente della Repubblica, della Camera alla commemorazione. Dovrebbero essere loro ad organizzarla e ad invitarci.»

 

Questo Paese è maturo per affrontare queste tematiche?

«Questo Paese non è pronto ad affrontare queste tematiche. Abbiamo un protocollo di intesa con il Miur per affrontare nelle scuole i temi legati al terrorismo. Non riusciamo a far entrare nei libri di scuola queste cose.»   

Elenco delle Vittime:

- Giovanbattista Altobelli, 51 anni
- Anna Maria Brandi, 26 anni
- Angela Calvanese in De Simone, 33 anni
- Anna De Simone, 9 anni
- Giovanni De Simone, 4 anni
- Nicola De Simone, 40 anni
- Susanna Cavalli, 22 anni
- Lucia Cerrato, 66 anni
- Pier Francesco Leoni, 23 anni
- Luisella Matarazzo, 25 anni
- Carmine Moccia, 30 anni
- Valeria Moratello, 22 anni
- Maria Luigia Morini, 45 anni
- Federica Tagliatatela, 12 anni
- Abramo Vastarella, 29 anni 

- Gioacchino Taglialatela, 50 anni (dopo la strage, in seguito al trauma subito)
 

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