Trattativa Stato-mafia, difesa Bagarella: «una boiata pazzesca»

PAROLA ALLE DIFESE. Nell'udienza di lunedì 14 giugno al processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia, ha preso la parola l'avvocato Cianferoni, difensore del boss Leoluca Bagarella, che ha sostenuto il carattere politico del processo e ha chiesto alla Corte di ribaltare la sentenza di primo grado “sennò la frangia politicizzata della magistratura non la finisce più”. 

Trattativa Stato-mafia, difesa Bagarella: «una boiata pazzesca»

Questa della Trattativa è una boiata pazzesca”. Lo ha detto l'avvocato Luca Cianferoni, difensore dell'imputato Leoluca Bagarella, al processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia. Una boiata pazzesca perché “come si fa a sostenere la consapevolezza dell'adesione a un progetto comune tra Mario Mori e Salvatore Riina?” Come si fa, si è chiesto l'avvocato che fu anche difensore di Totò Riina, a sostenere che Riina e Bagarella potessero stringere accordi con le persone che li avevano arrestati?

Presidente, venire a dire che Bagarella, dopo il '94, porta avanti una trattativa coi politici è affermare un qualche cosa di assurdo, qualcosa che è lontano dalla logica in termini di ragionevolezza incommensurabile. Il nome di Bagarella qui viene usato per tenere in piedi questo processo”, che è “un processo tra due forze politiche: una tendente più a destra, i Ros dei Carabinieri e il generale Mori, e una tendente più a sinistra, la Polizia di Stato”. Ma la valenza giuridica “è difficile da individuare”. 
Per Cianferoni, gli inquirenti che hanno messo in piedi l'accusa sono degni degli “inquisitori del Cinquecento”. 

Questo processo “va fermato, perché va detto a certi uffici di Procura che la devono smettere di usare il processo penale per autoalimentarsi”. Il giudizio di primo grado andrebbe perciò ribaltato, “sennò la frangia politicizzata della magistratura non la finisce più”. 
Duro il giudizio del legale del boss Bagarella – che, lo ricordiamo, è stato condannato dalla Corte d'Assise a 28 anni per il reato di minaccia a corpo politico dello Stato – nei confronti dei pubblici ministeri che hanno sostenuto l'accusa nel primo grado di giudizio. Questo processo, a detta del difensore, avrebbe chiari risvolti politici. E lo dimostrerebbe, sempre secondo la difesa, la modifica all'art 338 del codice penale – quello che individua la fattispecie di reato di “violenza o minaccia corpo politico dello Stato – apportata nel luglio 2017, a processo di primo grado in corso. 

Relativamente all'imputato Bagarella poi, la difesa sostiene che sia stato un “soldato semplice”, il “cane da guardia di Totò Riina, non un capo” e che certamente non avrebbe mai potuto essere in combutta con coloro che lo avevano arrestato.
Il processo “andava celebrato a Caltanissetta e non a Palermo”, perché “la minaccia a corpo politico dello Stato viene attuata tramite le stragi in danno dei magistrati, quindi la connessione con la strage di Capaci e quella di via D' Amelio è di un'evidenza che non richiede molte spiegazione aggiuntive”.
L'avvocato non ha esitato a definire il processo “mostruoso”, perché “si è presa una norma penale e se ne vuol fare un programma politico”.

Bagarella, è questa la tesi difensiva, andrebbe assolto perché “il fatto non sussiste” oppure andrebbe dichiarato il ne bis in idem, cui si fa ricorso quando si è già stati condannati per lo stesso reato. Bagarella è stato infatti “già condannato per Capaci e per le stragi in continente".

E un affondo, l'avvocato Cianferoni, lo lancia anche a Salvatore Borsellino e alle sue Agende Rosse, “quelli che usano le tragedie a fini politici”.

In linea con le conclusioni della Procura, invece, gli interventi degli avvocati delle parti civili, per i quali la sentenza di primo grado è “esaustiva”. “Il risultato di questo processo”, ha sostenuto l'avvocato Domenico Grassa, che ha parlato per l'associazione Libera, “anche solo dal punto di vista della storia, è devastante”. Il Centro Studi Pio La Torre (rappresentato dall'avvocato Ettore Barcellona), l'Associazione Vittime via dei Georgofili (rappresentata da Marco Ammannato), Libera (per la quale ha preso la parola l'avvocato Grassa) e il Comune di Palermo (difeso da Roberto Saetta, figlio del giudice Antonino, ucciso dalla mafia) hanno chiesto che venga confermata la sentenza di primo grado.

L'avvocato di parte civile in rappresentanza della Presidenza del Consiglio e della Regione Sicilia è invece intervenuto nella scorsa udienza, a margine della requisitoria della Procura.

L'udienza è stata rinviata a lunedì 21 giugno, quando a prendere la parola sarà la difesa di Antonino Cinà, l'ex medico di Totò Riina considerato il primo intermediario della Trattativa e condannato in primo grado a 12 anni.

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