Alessandro Bozzo è il giornalismo di ieri e di oggi

Dieci anni fa pose volontariamente fine alla sua vita schiacciato da quel contesto sociale ed editoriale che ancora oggi minaccia e devasta il mondo del giornalismo soprattutto locale.

Alessandro Bozzo è il giornalismo di ieri e di oggi

Alexander Langer raccontò il dolore e la sofferenza che incombono dalla differenza tra quel che si vorrebbe e quel che accade, tra la ricerca dell’alta convivenza umana e di un impegno alto e forte e quel che s’incontra nella vita. Che potremmo definire le piccole meschinità di consorterie, compromessi al ribasso, equivoci e veleni (più o meno interessati).

Perché tutto questo accade? Perché appare sempre più difficile un impegno e una tensione verso alti ideali, verso una partecipazione alla polis pubblica pulita e autentica? Il mondo del giornalismo, e tutto quel che sarebbe altro ma viene per spacciato per giornalismo, le precarietà, difficoltà, insidie, abbandoni, raccontano più di quel che molti vorrebbero far apparire questo nostro mondo.

Siamo spesso sommersi da frasi ad effetto, trite e ritrite, su come l’informazione in questo Paese non esista più, su come ormai esistono i social dove tutti possono pubblicare tutto e il contrario di tutto, su come la confusione regni sovrano e ormai il giornalismo, l’inchiesta giornalistica, l’impegno giornalistico non esistono più, non servono più (a chi? cui prodest?) e così via. Albert Einstein disse che una cosa appare impossibile finché arriva qualcuno che non lo sa e lo realizza.

Alessandro Bozzo era cronista e osservatore di razza,  frequentava le strade, le piazze, i luoghi che a troppi fa comodo non illuminare. Quanto avesse ragione Albert Einstein, quanto il mondo si divida in chi ciancia e chi agisce, in chi cerca moventi per il suo essere «materassi di piume» e chi spazza via i facili alibi delle (in)coscienze era chiaro, netto, incontrovertibile sulle pagine dei suoi articoli. Una vita, perché il giornalismo può essere non solo un «lavoro» ma tutta la vita, una vita intera, molto oltre gli steccati dell’impiego e dell’essere impiegati delle lavoro, che riporta alla memoria altre vite, altri giornalisti che hanno vissuto le nostre province e i luoghi più disparati.

Come Giancarlo Siani. E come lui anche di Alessandro dobbiamo parlare al passato. Alessandro Bozzo scriveva, si appassionava, raccontava, approfondiva. Fino ad esattamente dieci anni fa. Quando alle soglie dei quarant’anni, rigettato indietro nella precarietà dall’editore e dal direttore con cui collaborava.

Il direttore invece dieci anni dopo continua a segnare vite di giornalisti e a pontificare sulla carta, sul web e in salotti bene in cui giornalisti veri come Alessandro Bozzo mai vengono neanche considerati, la vita di Alessandro Bozzo invece volontariamente s’interruppe il 15 marzo 2013.  

Alessandro Bozzo era arrivato al bivio della vita della soglia dei quarant’anni «con un carico di minacce da parte della ’ndrangheta, un lavoro sempre più in bilico» e «All’improvviso, da cronista di provincia coraggioso e mai asservito a potenti e intoccabili, si rende conto che tutto ciò in cui crede e per cui ha sacrificato l’esistenza sta per crollare» si legge nella presentazione del libro «Quattro centesimi a riga – morire di giornalismo» di Lucio Luca con prefazione di Attilio Bolzoni e pubblicato da Zolfo editore.

Quei quattro centesimi a riga raccontano tanto, tutto o quasi, dello stato del giornalismo italiano, di come vivono i freelance e i cronisti costretti a sopravvivere senza farsi schiacciare dal precariato, da editori sempre più impuri e legati ad interessi particolari, alle squallide consorterie che impazzano in Italia e nelle province impongono mediocrità, compromessi al ribasso, ricatti, facce di bronzo che si beano del loro asfittico interesse egoriferito stratosferico.

Perché nell’Italia del 2023, esattamente come dieci anni fa e ancor prima, se non riesci ad introdurti in certi cerchi magici, se decidi di seguire ben determinati sentieri di maschere mediocri ed arroganti, di traffichini e autoreferenziali incapaci ma sospinti da cordate, consorterie, una politica che può esser definita tale solo per convenzione linguistica, un’imprenditoria che ha sfondato persino il confine della prenditoria, pluriversi corrotti, criminali, violenti, incapaci capaci di tutto, ne incontri ogni giorno e ogni giorno ti troverai schiacciato e spinto verso il basso. È troppo facile lamentarsi dal divano e poi girare la testa dall’altro lato, dare fiato alle trombe per giustificare in realtà la propria miseria personale.

Ci si lamenta del livello dell’informazione in Italia ma i giornalisti come Alessandro Bozzo (e ce ne sono, esistono ancora eccome grandi giornaliste e giornalisti in questo Paese) vengono isolati, abbandonati, silenziati, minacciati, disprezzati. E tutto questo in provincia - lì dove persino il piccolo clan, traffichini di quart’ordine o politicanti da strapazzo che si credono novelli illuminati alla Renato Nicolini ed invece non arrivano neanche al livello di una torcia con le pile scariche determinano le sorti della collettività nel silenzio, nella pavidità, nella compromissione – diventa ancora più drammatico, squallido e nauseante. È il contesto «nel quale viveva Alessandro e ancora vive e lavora gran parte del giornalismo italiano, soprattutto al Sud e nelle periferie: tra precarietà, sfruttamento, salari al di sotto della decenza, pressioni psicologiche, mobbing, editori senza scrupoli e quotidiane intimidazioni» denuncia la presentazione di «Quattro centesimi a riga», «un grido collettivo contro lo stato di abbandono e iniquità dell’informazione nel nostro Paese. Ricordare Alessandro Bozzo a dieci dalla sua volontaria scomparsa, come fu trattato da chi avrebbe dovuto valorizzarlo ed invece arrivò persino a costringerlo a passare da un contratto a tempo indeterminato in un contratto a tempo determinato (che significava renderlo più precario e facilmente licenziabile), non è solo mera commemorazione retorica come siamo quasi quotidianamente annegati in questo Paese ipocrita e senza memoria.

Ci deve spingere a sostenere i giornalisti e cronisti di oggi, a concretamente impegnarci a permettere al giornalismo di essere tale e non riportino di potenti e pre-potenti di ogni livello, a non chinare la testa ed arrenderci di fronte lo squallido e misero orizzonte delle nostre province. Tante, troppe, sono le mafie, le consorterie, le corruzioni, i diritti negati e calpestati dei più deboli sacrificati sull’altare di ideologie e portafogli di rango.    

 

L’ultimo articolo di Alessandro Bozzo e la ricostruzione di tutta la vicenda dal suo suicidio alla condanna dell’editore pubblicati da Iacchite https://www.iacchite.blog/cosenza-i-cinghiali-il-boss-usuraio-e-lultimo-articolo-di-alessandro-bozzo/