Asperger Abruzzo , un logo colorato per uscire dagli stereotipi sociali

Seconda parte della testimonianza di Marie Helene Benedetti, madre di un bambino autistico e fondatrice dell’associazione Asperger Abruzzo aps.

Asperger Abruzzo , un logo colorato per uscire dagli stereotipi sociali

Il convegno «Autismi e infinite possibilità», tenutosi a Vasto il mese scorso è stato denso di testimonianze e approfondimenti. Un pomeriggio intenso, in cui è stata presentata ufficialmente la nuova associazione "Asperger Abruzzo aps" che abbiamo conosciuto nei giorni scorsi insieme alla fondatrice Marie Helene Benedetti, madre di un bambino autistico. Durante l’evento. Marie Helene si è soffermata anche sulla scelta di un logo multicolore. Da qui prosegue la nostra intervista, di cui abbiamo già pubblicato una prima parte, con nuovi spunti di riflessione sull’autismo

Perché il logo è stato disegnato con più colori e non con il classico blu associato all’autismo? Perché viene indicato tradizionalmente il blu?

«Nel 2007 le Nazioni Unite decisero di istituire il 2 aprile quale giornata mondiale dell’Autismo e associarono ad essa il colore blu, tinta enigmatica che ha il potere di risvegliare il senso di sicurezza e il bisogno di conoscenza. A distanza di anni e con i progressi fatti possiamo notare che questo colore blu può essere relegato ai classici stereotipi da cui la comunità sociale e scientifica devono uscire, quegli stereotipi che hanno reso le diagnosi dei ragazzi Asperger, o Autistici lievi, difficili da raggiungere ancora oggi, e quello stereotipo che li mette spesso in condizione di dover giustificare il loro Autismo nonostante una diagnosi. È proprio questo messaggio che voglio mandare con tutti quei colori: usciamo dallo stereotipo per semplificare la vita dei nostri figli e di tutti gli adulti autistici comprendendo che l’Autismo non è uno, l’Autismo è immenso, è vasto quanto i colori: gli Autismi. Ho scelto un albero che simboleggia la vita, perché per noi l’Autismo non è un problema, e per quanto renda difficile la vita, il problema dell’Autismo non è l’Autismo, l’Autismo fa parte di noi, è la nostra vita da quando nasciamo, il problema di ogni autistico è il mondo esterno che non capisce, il mondo esterno che esclude, le istituzioni che non danno i diritti, il mondo esterno che pretende un contesto sociale a misura di neurotipico».

E nel contesto sociale si diffondono alcuni degli stereotipi più comuni, quali?

«Per essere accettati dalla società dobbiamo essere tutti omologati, il mondo sociale richiede bellezza estetica omologata, adeguatezza omologata nelle situazioni sociali, carattere omologato, e se non sei come la società pretende, resti solo, ed è qui che nasce il problema dell’autistico. L’autistico già spende un sacco di energie per apparire il più possibile adeguato mascherando le sue caratteristiche e cercando di mantenere i nervi saldi ad ogni disturbo sensoriale e ad ogni rigidità, ma molto spesso maschera anche il fatto che non riesce a mantenerli saldi ed entra in crisi con una maschera di equilibrio che dentro ha perso.

Nello stereotipo dell’Autismo si pensa che l’autistico non ami avere amici e voglia stare solo. In realtà l’autistico si chiude in se stesso perché non regge la frustrazione dei contesti sociali, e poi però soffre fortemente la solitudine; quindi, per tornare al blu e ai colori del logo, la funzionalità di escludere lo stereotipo e includere tutti i colori serve proprio ad abbattere lo stereotipo non escludendo l’autismo classico ma includendo tutti gli autismi. Tantissimi Asperger o genitori di Asperger sentono spesso le frasi “Parla non può essere autistico” “Guarda negli occhi, non può essere autistico”, impariamo che l’Autismo va oltre gli occhi, che può essere nascosto dentro la persona che camuffa l’ansia sociale, i disturbi sensoriali, le difficoltà organizzative di ogni giorno, che non comprende più di un comando per volta, che non gestisce gli imprevisti, che non gestisce i rapporti familiari e sociali ecc …»

Che puoi testimoniarci sono tutte questioni che ovviamente vanno oltre una sola giornata ...

«Il 2 aprile fino ad un paio di anni fa era l’unico giorno dedicato all’Autismo, da quando ho fatto la mia prima azione mediatica ho deciso che si sarebbe parlato pubblicamente di Autismo tutti i giorni, perché per le nostre famiglie l’Autismo non è solo il 2 aprile, è il quotidiano.

Spingo sempre le mamme ad esporsi, non per il gusto di apparire, ma per abbattere quei muri sociali che ci hanno reso in passato la vita difficile, ed è bello vedere che effettivamente oggi le mamme affermano più serenamente l’Autismo dei figli quasi come se dicessero “Si, mio figlio è castano, ha gli occhi verdi, è simpatico ed è autistico”, l’Autismo è una caratteristica, nulla di più, ma l’inclusione ha bisogno di più impegno da parte del nostro mondo neurotipico a misura di neurotipico per permettere agli autistici di farne parte.

E per far questo i centri e la scuola quale ruolo possono svolgere?

Un altro problema grandissimo dei nostri figli sta nell'organizzazione di alcuni centri che erogano le terapie, la scuola per i nostri figli è una terapia naturale che stimola moltissimi aspetti della loro condizione, per legge i bambini scolarizzati hanno diritto di fare terapia ad di fuori degli orari scolastici proprio per permettere loro di vivere appieno la "terapia naturale" che offre la scuola. Non dovrebbe esistere un centro che chiede al bambino di saltare le ore scolastiche per fare terapia, è come togliere una terapia naturale che è ancora più benefica, per dare una terapia "artificiale". I centri dovrebbero adeguarsi a questa necessità per ottenere il massimo dei risultati.

In conclusione un'ultima riflessione che può condividere?

Il logo lancia tanti messaggi, oltre a voler mandare un messaggio positivo di speranza e inclusione, afferma il bisogno di essere riconosciuti in tutte le sfaccettature dell’Autismo, sia sotto il punto di vista dei trattamenti, sia nel riconoscimento delle difficoltà e del bisogno di attenzione del livello1, vuole rimarcare il bisogno delle possibilità e vuole porre fine all’atteggiamento di abbandono davanti alla parola “disabilità”.»