Trattativa Stato-mafia: i riscontri su Riggio

L'UDIENZA - Nell'udienza di lunedì scorso al processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia è stata ascoltata la dottoressa Marzia Giustolisi, capo della Squadra mobile di Caltanissetta, che ha effettuato accertamenti sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio.

Trattativa Stato-mafia: i riscontri su Riggio
Foto di LaSicilia.it

L'esame della dottoressa Marzia Giustolisi al processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia era stato solo rinviato. Nell'udienza del 14 dicembre, la direttrice della Squadra mobile di Caltanissetta è tornata in aula per rispondere alle domande della Procura e delle difese sugli accertamenti fatti a proposito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio.

Che, lo ricordiamo, è stato ascoltato da cinque Procure italiane e ha parlato, in un interminabile flusso di coscienza, dei rapporti tra funzionari di polizia e Cosa nostra, della strage di Capaci, di una “squadretta” per la cattura del super-latitante Bernardo Provenzano, del progetto di attentato ai danni del giudice Leonardo Guarnotta, e ancora della morte di Luigi Ilardo e Nino Gioè, nonché di Marcello Dell'Utri come l'uomo che avrebbe indicato a Cosa nostra gli obiettivi per le stragi sul continente nel 1993.

Una mole impressionante di dichiarazioni, la maggior parte delle quali apprese de relato, che sono poste al vaglio delle autorità competenti. Nell'ultima udienza del processo dinanzi alla Corte presieduta da Angelo Pellino, la dottoressa Giustolisi ha risposto alle domande dei procuratori Giuseppe Fici e Sergio Barbiera sulle parti non omissate della documentazione pervenuta alle parti.

La Squadra mobile di Caltanissetta ha accertato che il 7 luglio 1999 Pietro Riggio fu trasferito dal carcere di Santa Maria Capua Vetere alla DIA di Roma, come confermano la nota di traduzione del detenuto e il verbale di trasferimento.

Ci sono poi le cinquantotto relazioni di servizio, dal maggio del 2002 al marzo del 2004, che evidenziano il rapporto di collaborazione tra Pellegrini, Tersigni e Riggio (denominato fonte Ugo), il quale documenterebbe che “lo stesso (Riggio) era un confidente dei carabinieri”. Riggio, nel periodo in cui era confidente delle forze dell'ordine, avrebbe fornito elementi utili a individuare una talpa all'interno della Procura di Caltanissetta, ma avrebbe anche aiutato a capire le dinamiche di Cosa nostra nissena e dato informazioni su tentativi di estorsione nel territorio.

Sul periodo antecedente al 2002 e sui rapporti pregressi tra Riggio e i carabinieri Pellegrini, Tersigni e Tricarico, non è emerso nulla eccetto una nota del 2001, a firma del colonnello Pellegrini e indirizzata agli uffici della DIA centrale, in cui si avvisava dell'avvio di intercettazioni a carico di Peluso Giovanni per “eventi gravi legati alla città di Palermo”. Dalla nota emerge che “esponenti di Cosa nostra potrebbero servirsi dell'apporto di tale Peluso Giovanni” per mettere in atto gravi azioni delittuose nel capoluogo siciliano. E la preoccupazione cresceva ancor di più a fronte della perquisizione effettuata nel 1997 ai danni di Peluso dalla Digos di Roma, che aveva portato al sequestro di 450 proiettili e un simulacro di ordigno.

È plausibile che i “gravi eventi” evidenziati nella nota del 2001 si riferissero al progetto di attentato nei confronti del giudice Guarnotta? Per la dottoressa Giustolisi, le due cose sarebbero facilmente “sovrapponibili”, anche se dalle intercettazioni effettuate non è emerso niente di rilevante in proposito.

Riscontri sono arrivati anche su Antonio Mazzei, lo “zio Tony” (indicato come Antonio Miceli) che Riggio avrebbe incontrato alla DIA di Roma in presenza dello stesso Pellegrini. Mazzei non è mai stato nell'Arma dei carabinieri, ma lavorava a Napoli presso il Servizio igiene ambientale. Il soggetto in questione è stato un collaboratore esterno dei servizi di sicurezza ed è stato identificato perché fermato insieme a Giuseppe Leonardo Porto alla frontiera di Ponte Chiasso, come peraltro dichiarato dallo stesso Riggio.

Altri accertamenti sono stati effettuati invece su Vincenzo Ferrara, il mafioso che, secondo il collaboratore di giustizia, gli avrebbe fatto il nome di Marcello Dell'Utri legandolo agli attentati sul continente. Ferrara in realtà non è un mafioso di spicco di Cosa nostra (a Villalba, dove è entrato in contatto con Riggio, scontava una pena per associazione a delinquere finalizzata all'estorsione, non per mafia) e non è neppure il cognato del boss Piddu Madonia, ma di Giuseppe Alaimo, cugino di primo grado del boss.

È stata tirata in ballo anche Marianna Castro, seconda moglie di Peluso, alla quale erano indirizzate alcune delle missive di Riggio per Peluso. Alla domanda dell'avvocato Milio se vi fossero accertamenti su un eventuale rapporto della Castro con i servizi libici, la risposta della dottoressa Giustolisi è stata negativa.

La Procura ha chiesto infine di audire Tersigni, Pellegrini e Guarnotta per ampliare l'istruttoria, mentre pare che l'esame di Liliana Ferraro verrà ulteriormente rinviato per impossibilità della teste di presiedere all'udienza.

Il processo è stato aggiornato al 18 dicembre.

 

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