Canto alla durata: «l’ancóra» di chi sa attendere, sperare … alla conquista di spazi di eternità

Canto alla durata:  «l’ancóra» di chi sa attendere, sperare … alla conquista di spazi di eternità

Il nostro tempo non ha più idea della durata. Consuma ogni cosa in tempi sempre più rapidi. La bellezza della durata consiste invece nel pensare che il tempo non ci allontana dall’inizio – dal primo bacio, dall’estasi del primo incontro – ma lo sappia rinnovare, sappia restare fedele al tempo dell’evento, al tempo dell’inizio.

Il pensiero di Massimo Recalcati sembra risuonare come perfetta didascalia della società liquida di cui parla Zygmunt Bauman: tutto nelle nostre vite è fragile, precario, transitorio, cadùco, effimero nella smania delle nostre giornate, nella routine alienante dell’homo consumens occupatus, in una società del post-moderno tra lo spirito e il clic, tra la frenesia e il bisogno di speranza, tra la solitudine nichilistica e la voglia di comunità.

Essere “moderni”, secondo Bauman, significa essere “in divenire”.

 

Da qui l’espressione “modernità liquida”, proprio per sottolineare il fatto che l’unica sua costante sia il cambiamento e l’unica certezza sia l’incertezza. Mentre nella fase precedente, “solida”, gli individui aspiravano o potevano aspirare al controllo del proprio futuro e ad uno stato di perfezione, in questa nuova fase di “modernizzazione” il futuro appare ignoto e proprio per questo motivo nessuno intende correre il rischio di lasciarsi sfuggire opportunità, occasioni ed esperienze ancora sconosciute, ma inevitabili, cogliendo ogni singolo istante concesso al nostro esistere, seppur fluido nella sua durata.

 

Ma, che cos’è la durata? Un concetto straordinario che ne implica altri, ad esso strettamente interrelati e correlati: tempo, memoria, oblio.

 

Solleviamo delicatamente questo velo di Maya per coglierne l’essenza più profonda e sentirne il brivido  con un vero e proprio canto d’amore, il “Canto alla durata” del grande scrittore, drammaturgo, saggista, poeta, reporter di viaggio, sceneggiatore e regista austriaco Peter Handke.

 

In occasione dell’80mo compleanno del Premio Nobel per la Letteratura nel 2019 e co-sceneggiatore del film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, viene per la prima volta pubblicata la colonna sonora originale composta dal musicista italiano Remo Anzovino per il docufilm realizzato nel 2017 Canto alla Durata. Omaggio a Peter Handke, diretto dalla regista e produttrice italiana Didi Gnocchi (tra gli altri film ricordiamo: Hitler versus Picasso and the Others, Napoleon. In the name of Art, Van Gogh: of wheat fields and clouded skies, Hermitage, Gauguin in Tahiti. Paradise Lost), che vede protagonisti lo stesso Handke e il grande attore Bruno Ganz.

 

“Canto alla Durata”, pubblicato nel 1986, è un poemetto in versi che si fonda sul concetto di durata.

La meravigliosa musica composta da Remo Anzovino traduce in suono il capolavoro di Handke, restituendone il senso più profondo. Registrata e mixata sulle colline di Rimini da Cristian Bonato presso Numeri Recording (Coriano) e masterizzata da Giovanni Versari, la struggente partitura per pianoforte e archi a commento del film è eseguita dallo stesso Anzovino (pianoforte), Federico Mecozzi (violino, viola) e Anselmo Pelliccioni (violoncello, contrabbasso). L’album contiene la bellissima canzone “Across the duration”, cantata dal violinista Federico Mecozzi, con testo, musica e arrangiamento dello stesso Maestro Anzovino.

Il testo del poemetto di Handke e la traduzione in musica da parte del compositore e pianista, Nastro d’Argento per la Musica dell’Arte, uno dei massimi esponenti della scena strumentale italiana, si fondono in una mirabile sintesi in cui Parole e Musica dialogano tra loro con frequenti echi, risonanze, effluvi sottesi ad attraversarle docilmente, cercando di delineare con parole e suoni quell’entità che fornisce contorno a quanto ha la tendenza a dissolversi.

 

La lodevole maestrìa di Remo Anzovino nella traduzione in suono incantevole del testo letterario di Peter Handke fa sì che in alcuni passaggi si provino emozioni fortissime: seguendo i ritmi della musica sembra quasi essere accompagnati ad afferrare per un istante intenso l’essenza della durata – con tutto ciò che ne è connesso: nel finito e nell’indefinito, nel fenomeno e nel noumeno, nel concreto e nell’immateriale, nell’immanente e nel trascendente – e poi improvvisamente sentirla sfuggire, sentirla rarefarsi. E, quindi, di nuovo cercarne le scosse, i pungoli – dentro o fuori noi stessi?! – per “andare ad essere”, per essere capaci, ormai vecchi, di pensare ai bambini che si era e magari ritrovarli.

 

Spesso si desidera sentire l’afflato della durata: nel silenzio redentore o nel fremito vitale? Nella quiete dell’attesa, come Penelope, stando seduti a casa o sul cammino del viandante nel suo incessante peregrinare come Odisseo?

 

La durata è il momento in cui ci si mette in ascolto, il momento in cui ci si raccoglie in se stessi, in cui ci si sente avvolgere, in cui ci si sente raggiungere da cosa? Da un sole in più, da un vento fresco, da un delicato accordo senza suono in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondono assieme.

La durata è la sensazione di vivere: chi non ha mai provato la durata non ha vissuto. La durata ha forza, emana calore, dà conforto; fa vibrare quell’essenza che ogni volta ci ridà lancio.

Trasportati dalle placide onde della musica, in un delicato fluttuare sulla calma del mare, si oscilla tra l’estraneo e il familiare, il noto e l’arcano, l’abituale e il nuovo, l’usuale e l’insolito, il fermo e il fluido, il mobile e l’immobile, lo statico e il dinamico, l’essere e il divenire.

 

In una sorta di fusione panica, i Suoni della Natura (Sounds of Nature) ci trasportano in una dimensione sensoriale sinestetica e allora possiamo sentire il frinire delle cicale, lo scroscio e il grandinio dello scuotere dei rami sul terreno o ascoltare il gorgoglio di una fontana e il ronzio di un nugolo di sottili calabroni turchi (Turkish Bay) come il frusciare autunnale delle prime foglie secche dell’albero di noce; oppure possiamo cogliere i frutti del carrubo dai semi lucidi, vedere il bagliore della luce, sentire nelle narici il profumo delle erbe.

 

Avvertire il desiderio di stare da soli in compagnia della durata è un’esigenza impellente di ciascuno di noi: si può cercare il proprio centro del mondo in determinati luoghi, in una radura del bosco, in un triangolo d’erba formato da vie che si incrociano. In questo incrocio si annida l’importanza del dialogo, del confronto, dello scambio, quindi, la ricchezza insita nella diversità e l’opportunità intrinseca nella polimorfia delle direzioni.

 

Felice chiunque abbia i propri luoghi della durata. Anche se si venisse portati lontano senza prospettive di ritorno nel nostro mondo, non saremmo più degli esuli: ci ritroveremmo e riconosceremmo in noi stessi, con limiti e potenzialità, punti di forza e fragilità, vizi e virtù.

In quale nostra Fontaine Sainte-Marie, in quale nostra Porte d’Auteuil, in quale nostro Carso (Fontaine Sainte-Marie, Porte d’Auteuil, Carso) troviamo l’unica sorgente, l’unico rivolo vivo, naturale e proviamo la più fugace delle sensazioni, più veloce di un attimo, non prevedibile, non controllabile, inafferrabile, non misurabile...eppure eterna?

 

Quando ci avviciniamo a questi nostri luoghi di pellegrinaggio laico, nel soave silenzio della durata, possiamo sperare nel prodigio, nella grazia, nell’incanto in cui ogni nostro rimuginare si dissolve e il nostro pensare diviene un puro riflettere sul mondo.

 

Arrivando in questi luoghi s’innalza un pensiero esplicito, il nostro pensiero più elevato: salvare, salvare, salvare! In questi luoghi, allora come adesso, possiamo descrivere la nostra parabola.

Nel silenzio di laghi, come quello di Griffen, sappiamo cosa facciamo e, proprio sapendo cosa fare, sappiamo chi siamo.

 

Sentiamo di nuovo le prime gocce di pioggia di allora e la vitalità della durata ci fa sentire ancora adesso l’odore dolce, il ruminare dei manzi!

Singolare è il sentimento della durata anche alla vista di certe piccole cose, apparentemente insignificanti, quanto meno appariscenti tanto più toccanti – un cucchiaio, un asciugamano, la teiera, la sedia di vimini – alla stregua delle nugae o delle myricae pascoliane.

 

Alcuni luoghi del tutto sconosciuti a chi viene da fuori, di cui forse molti ignorano addirittura l’esistenza, hanno invece un valore inestimabile per noi, fortemente connotati nel nostro animo, nei nostri ricordi, nelle pagine della nostra storia. Quello che era un lago ed ora è uno stagno che va prosciugandosi è per noi un grande luogo della durata, per quello che ha rappresentato, significato e, in virtù di questo, per quello che continua a rappresentare e significare.

 

Nei momenti di ascolto paziente, il rumore della porta che si apre, segno del nostro ritorno a casa, risuona come la musica più bella, nel calore del focolare domestico (Way Home) quando per i padri ormai è necessario rendersi invisibili e osservare di nascosto i propri figli lungo la strada di ogni giorno, quando precedono l’autobus su cui questi sono saliti per poi veder passare, tra una fila di estranei dietro al finestrino, quegli unici visi familiari o quando semplicemente gli stessi padri immaginano da lontano di vedere i propri figli fra gli altri, protetti dagli altri, rispettati dagli altri, nella calca della metropolitana, con la loro eredità di affetti e insegnamenti.

 

La durata non esiste a priori: bisogna cercarla, andarle incontro, trovare un punto di mai definitiva, instabile quiete. La sensazione della durata è l’esito della fedeltà a ciò che l’individuo sente come più profondamente proprio: la durata è restare fedele a ciò che ci è più caro ed è la cosa più importante.

 

La durata è la ricerca di una voce che ci guidi: una voce che dapprima tremava e poi si fa ferma, sussurra, trasale, si volge in una cantilena: l’unico suono nella notte del mondo.

Ed, ecco, allora che la durata viene ad identificarsi con l’amore, nelle sua poliedricità.

 

L’amore che dura è l’amore che vuole vivere ancóra. Non sopravvivere. Lacan definiva la parola d’amore più alta quella che recita: “ancóra”. Ancóra come adesso, ancora come oggi, ancora te, ancora te per sempre.

 

Il Canto alla durata (“Gedicht an die Dauer”), nella straordinaria endiadi di Poesia e Musica dei “Maestri d’Arte” Handke e Anzovino, è dunque una vera e propria Sinfonia alla Vita impregnata d’amore, nell’attesa e nella speranza, alla perenne ricerca interiore di sensi e alla conquista incessante di spazi di eternità.