Carceri? «Università del crimine»

Se tutto ciò accade è perché, certamente, ci sono responsabilità interne. Ci riferiamo (e lo ribadiamo con forza) al ruolo degli agenti penitenziari. Mettendo da parte coloro (delinquenti patentati e fascistoidi) che usano violenza nei confronti dei detenuti, in barba alla nostra Costituzione ("Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", articolo 27), non vogliamo dimenticare il ruolo che certi agenti penitenziari hanno nel coprire determinate situazioni. In passato (e ci occuperemo in maniera approfondita di questo aspetto nei prossimi giorni) agenti onesti e professionali sono stati allontanati e anche uccisi. Il caso più eclatante ha riguardato Sissi Trovato una donna calabrese - agente penitenziaria - ammazzata in un ascensore di un ospedale per le sue precise denunce. E il processo? Hanno fatto passare un omicidio per suicidio. 

Carceri? «Università del crimine»
Il fermo immagine di un video postato su TikTok


 

«Le carceri - spiega Pino Masciari, storico testimone di giustizia - non sono più luoghi di detenzione, sono vere e proprie università del crimine. Sono il luogo dove la criminalità organizzata provvede a premiare i suoi affiliati, anche conferendo “doti” nuove. La realtà che è emersa nel carcere di Catanzaro, dove pare circolasse di tutto (droga, telefoni cellulari, smartphone utili per videochiamate ecc.), non mi stupisce e di fatto non è una novità. Lo stesso tipo di “sorprese” sono emerse nel carcere di Corigliano Rossano (CS), dove sono stati trovati circa 130 cellulari e ancora, qualche mese fa, nel carcere di Vibo Valentia, nella sezione di alta sicurezza, dove ne vennero ritrovati circa dieci. E chissà cosa verrebbe fuori se allo stesso tipo di indagine fossero sottoposti tutti i penitenziari e, mi verrebbe da dire, tutti i posti dove si esercita potere, dalle pubbliche amministrazioni a finire ai palazzi di giustizia!».

Masciari coglie un aspetto poco trattato, soprattutto dall'informazione. Gli istituti di pena offrono questo brutto spettacolo, da troppi anni.

Quali sono e di chi sono le responsabilità?

Nel carcere di Catanzaro è detenuto un certo Pasquale Vuolo, detto capastorta. Appartenente al clan D'Alessandro di Castellammare di Stabia. Gli stessi soggetti denunciati dal nostro amico testimone di giustizia Gennaro Ciliberto.

Una camorra che fa affari: gli appalti sulle autostrade e le loro attività sono state descritte nel libro Una Vita contro la Camorra. Proprio questo capastorta - soggetto molto pericoloso - ha minacciato di morte Ciliberto ("ti sparo in testa, cornuto"), reo di aver denunciato le loro attività criminali, imprenditoriali e legate a soggetti istituzionali.

Ora ci chiediamo e chiediamo: quali sono stati i rapporti con la direttrice? Cosa potevano fare e chi potevano incontrare questi delinquenti? Quali sono le attività che portano avanti all'interno del carcere?  

Proprio in quell'istituto di pena - dove hanno fatto la scoperta dell'acqua calda - ci sono esponenti dello stesso clan. Tutto questo è normale? A cosa servono i processi e le condanne se, poi, questi delinquenti (con la complicità di altri delinquenti istituzionali che non stanno scontando una pena) possono fare tutto quello che vogliono?

Quali sono gli accordi interni? Quali equilibri devono essere mantenuti tra coloro che rappresentano lo Stato (sulla carta) e coloro che fanno parte del crimine organizzato?

Aggiungiamo che proprio il Catanzaro giocava nello stesso girone della Juve Stabia: alcuni agenti della polizia penitenziaria erano ospiti di Mario Vuolo (il capostipite, il padre di Pasquale) nello scontro calcistico tra Juve Stabia e Catanzaro.

Pasolini parlava di Paese orribilmente sporco. La sporcizia, ormai, è diventata merda

La questione risale alle notte dei tempi. 

Per approfondimenti: - CARTA CANTA. La verità dei fatti

Dobbiamo aggiungere un altro dato: se tutto ciò accade è perché, certamente, ci sono responsabilità interne. Ci riferiamo (e lo ribadiamo con forza) al ruolo degli agenti penitenziari. Mettendo da parte coloro (delinquenti patentati e fascistoidi) che usano violenza nei confronti dei detenuti, in barba alla nostra Costituzione ("Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", articolo 27), non vogliamo dimenticare il ruolo che certi agenti penitenziari hanno nel coprire determinate situazioni.

In passato (e ci occuperemo in maniera approfondita di questo aspetto nei prossimi giorni) agenti onesti e professionali sono stati allontanati e anche uccisi.

Il caso più eclatante ha riguardato Sissi Trovato, una donna calabrese - agente penitenziaria - ammazzata in un ascensore di un ospedale per le sue precise denunce.

E il processo? Hanno fatto passare un omicidio per suicidio. 

Esiste un problema serio e la denuncia di Pino Masciari cerca di accendere i riflettori su questi gravi episodi. Noi abbiamo il dovere di raccontare e lo faremo, senza temere il giudizio di nessuno. Cercheremo di affrontare anche il "meccanismo social", usato dagli stessi delinquenti che - senza alcun controllo (né preventivo né successivo) - filmano la loro detenzione e pubblicano le loro clip sui social (soprattutto su TikTok).   

Una domanda retorica: a cosa servono le carceri in Italia? Solo per i poveri fessi? 

«C’è poco da scandalizzarsi. Questa - aggiunge Masciari, sopra nella foto - è solo l’ennesima conferma di quel sistema generale colluso e connesso con la “cosa unica” dal quale nessun settore, pubblico e privato, può dirsi indenne. Un sistema parassita che attecchisce ovunque trovi il terreno fertile di chi si presta ad essere strumentalizzato, per profitto personale o anche solo per paura. Un circuito malato che fa crescere sempre più rigogliosa quella gramigna che è la criminalità organizzata. A subire sempre rimangono solo gli onesti, soffocati e strozzati da questo sistema criminale, ormai divenuto cronico e per il quale ancora non si scorge la fine».