Cercare il proprio «Altrove» con la Musica di Remo Anzovino

Servizio fotografico di Simone di Luca.

Cercare il proprio «Altrove» con la Musica di Remo Anzovino

«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».

 

Quanto Cesare Pavese scriveva ne “La luna e i falò, il Maestro Remo Anzovino lo ha sperimentato con grande emozione e commozione l'altra sera a Pordenone, in un Teatro Verdi gremito fino alla III Galleria, che gli ha tributato lunghissimi interminabili applausi, dopo essersi esibito in maniera eccelsa con l’Orchestra Sinfonica dell’Accademia Musicale Naonis, diretta magistralmente dal Maestro Valter Sivilotti.

Remo Anzovino, infatti, è stato guest star del 5° Memorial Gavasso, evento fortemente voluto dall’Accademia per rendere omaggio al mai dimenticato Maestro Beniamino Gavasso, fondatore dell’Orchestra prematuramente scomparso nel 2018, la cui memoria viva continua a tenere uniti quanti hanno imparato da lui ad amare la Musica, nella sua intrinseca e grande bellezza.

Sentire il calore così fervido della sua Pordenone, dopo dieci anni dall’ultimo concerto nella città natale, è stato come riappropriarsi della Storia di una terra, riflessa nelle storie di tante persone care, tante persone amiche, ripercorrendo insieme sentieri, cammini, intravedendo angoli adombrati e scorci illuminati.

“La Grande Arte in concerto” è stato un viaggio di vero incanto, tra suoni, luci e colori – degna di nota la maestria di Sacha Safretti nella ideazione dei suoi visual per i prosceni con le opere di Paul Gauguin, Claude Monet, Vincent Van Gogh, Picasso, Frida Kahlo – in cui ogni minimo particolare confluiva a determinare quell’unicum di esperienza estatica, avvolti magicamente in una cornice fortemente suggestiva, che portava ad esplorare quell’Altrove magico, surreale, sovrannaturale, che spesso ci seduce e talvolta ci delude, con il pensiero, l’immaginazione, lo spirito, inabissandosi nel porto sepolto dell’Io più profondo.

 

È come se, improvvisamente, le disarmonie dell’anima di ciascuno di noi si appianassero, risanassero, saldassero nell’Armonia della Musica. Un viaggio allo scandaglio di sé, guidati, accompagnati, accarezzati da parole – alla stregua del diario sonoro dello stesso Maestro Anzovino –, da note e colori in una mirabile sintesi di tangibile e ineffabile. Il poeta il pittore il musico, fusi straordinariamente nell’unità dell’artista, con la penna la tavolozza la tastiera dell’anima sua, ha messo una lente davanti al suo cuore per farlo vedere alla gente, riecheggiando il Chi sono” di Aldo Palazzeschi.

Dalla capanna polinesiana delle donne a Tahiti di Paul Gauguin allo stagno delle ninfee nel giardino di Giverny di Claude Monet, sino a culminare nei campi di grano con covoni e nelle notti stellate di Vincent Van Gogh, passando per l’angusto tetro scenario dell’Arte degenerata di Hitler vs Picasso e gli altri, è stato un continuo alternarsi di luce e buio, altezze e abissi, sommità e baratri, decantato sublime e languida innocenza, come Elegy for the innocents per piano solo o lo stesso tema The innocents, con grande pathos emotivo, ci hanno trasmesso.

Immergendoci nella bellezza di una città eterna come Pompei, en plain air, si sono potute cogliere le fragranze, il profumo intenso – Noa Noa –, l’essenza dei nostri Les Jours Perdus e restituire ad essi un senso, un significato, un valore, una pregnanza significativa per noi e, magari, anche per gli altri. Inseguendo il cambiamento della luce ogni sette secondi, Following light, si è potuto sperimentare parimenti l’alpha e l’omega delle nostre emozioni, nella loro multiforme e variegata gamma.

 

Percorrendo un tratto della via dell’Abbondanza a Pompei, ci si è immaginati di incrociare lo sguardo con quello di uno dei più grandi e incommensurabili artisti di tutti i tempi, eppure considerato la quintessenza del rifiuto, dello scarto, dell’emarginazione: il potentemente fragile Vincent.

 

In quell’eternità del luogo permane l’eternità del Pittore-non pittore, l’immortalità del tormentato pittore della disarmonia, la perennità dell’artista, del genio, dell’Uomo.

Van Gogh non ci ha consegnato semplicemente dei quadri, per quanto evidenti capolavori: le sue opere si configurano per noi come degli specchi attraverso cui guardare nel dettaglio i nostri limiti, le nostre debolezze, le nostre miserie umane, che tuttavia possono essere trasformate in amore per la Vita, con ali aperte a dismisura in modo che questo nostro amore non conosca confini, come Yo te cielo (canciòn para Frida) ci insegna.

E se questo meraviglioso Viaggio sonoro alla scoperta del nostro Io più arcano e inaccessibile ha preso avvio da Portrait of the Queen, il tema del film di Fabrizio Ferri Ritratto di Regina, eseguito per la prima volta dal vivo, a tratteggiare la sintesi della elegante regale grandezza di una Donna – la Regina Elisabetta II – che rimarrà in eterno una delle icone più importanti e significative della Storia universale del potere, della diplomazia, di un modo di regnare autorevolmente rispettoso, si è concluso, con una perfetta simmetria, con un’altra icona di forza, coraggio, passione e libertà: Frida Kahlo.

Il monito conclusivo è risuonato, infatti, come un omaggio alla vita: la colonna sonora di FridaViva la Vida ha richiamato nelle nostre menti e soprattutto nei nostri cuori quelle angurie che si stagliano verdi e rosse su un cielo azzurro quale grido di colore e insieme di amore, in nome di quel desiderio infinito di gioia di vivere da parte di una donna che non si è mai arresa, malgrado e nonostante tutto. L’ultimo dipinto di Frida Kahlo conferma la sua encomiabile arte di trasformare il dolore in colore: quel colore che è stato tradotto in incredibile strabiliante e stupefacente suono dal Maestro Anzovino in una serata memorabile.