Dopo il clamore interviene la cantastorie: «Denuncio tutti»

LA REPLICA. «Se ho commesso degli errori, se ho ferito la sensibilità di qualcuno sono anche disposta a mettere da parte questi brani o i passaggi più controversi, ma non accetterò più passivamente ulteriori minacce ed insulti». Troverete i link dei vari articoli e i commenti, pubblicati su fb, del magistrato Sebastiano Ardita e del giornalista Paolo Borrometi.  

Dopo il clamore interviene la cantastorie: «Denuncio tutti»

Per la verità avevamo provato a raccogliere le sue dichiarazioni con il nostro primo articolo ("Ha rifiutato l'intervista", articolo di Alessandra Ruffini, 7 gennaio 2021). Dopo il clamore mediatico la cantastorie calabrese ha inviato una sua nota che noi pubblichiamo volentieri. 

Alla fine troverete i link dei vari articoli e i commenti, pubblicati su fb, del magistrato Sebastiano Ardita e del giornalista Paolo Borrometi.  

La nota di Teresa Merante, inviata agli organi di stampa:

«Sono costretta ad intervenire con questa breve comunicazione per difendere la mia persona, prima ancora del mio amato ruolo di cantante folk, dai molteplici attacchi mediatici e minacce di querele che in questi giorni hanno imperversato su tutte le testate nazionali e locali. Improvvisamente, infatti, scopro di essere stata etichettata come cantastorie della malavita, come divinatrice dei boss e al servizio della mafia, per alcuni brani della tradizione calabrese da me rivisitati e pubblicati sui social e sulla mia pagina Youtube.

Ho provato a chiarire le mie intenzioni con un video su Facebook ma ciò non è bastato a placare l’accanimento di quanti avevano già individuato il loro capro espiatorio, poco importando che tutto ciò potesse provocare,come di fatto è avvenuto, un clima di livore e di minacce nei mei confronti.

Non voglio alimentare ulteriori polemiche, ma per amor di verità, sento il bisogno di ribadire alcuni aspetti sui contenuti delle mie interpretazioni musicali.

Le canzoni sotto accusa, infatti, derivano da una lunga tradizione folkloristica che spesso si basa su storie di vissuto popolare, anche delinquenziale , di cui ho soltanto riadattato le melodie.

Cancellare quel vissuto, a mio avviso, significa dimenticare quanto questa terra abbia sofferto, nel bene e nel male la memoria va sempre custodita. Non potevo lontanamente immaginare che un testo risalente agli anni '70 potesse sollevare tutta questa indignazione per una mia semplice reinterpretazione.

Quanto alla canzone sul "Capo dei Capi", di cui ho scritto testo e musica, ho voluto solamente raccontare in note quella che era stata la rappresentazione della famosa fiction televisiva.

E qui mi chiedo quale sia la differenza tra le diverse serie tv che hanno avuto e hanno ancora come protagonisti mafiosi e camorristi, trasmesse sulle più importanti reti televisive, e le mie canzoni oggi sotto accusa.

Credo siano forme diverse di rappresentare e descrivere un fenomeno criminale, non certo di avallarlo. Le frasi incriminate sono parte di quel racconto, la cruda ricostruzione di uno spaccato della triste storia criminale che ha dilaniato la mia terra e non solo. Ma raccontare non significa condividere o considerare valore ciò che con tutta evidenza non lo è.

Sono innamorata della musica tradizionale da quando ero bambina e da allora non ho mai smesso di ascoltarla e, con il passare degli anni, a provare ad interpretarla.

Nel mio percorso di cantastorie ho potuto calcare anche diversi palcoscenici in tutta la Calabria ricevendo affetto e calore per la mia musica.

Considerare queste persone, i migliaia di follower che mi seguono sui vari social e me, accomunati dalla passione per la musica popolare, come simpatizzanti della malavita equivarrebbe ad affermare che tutta la Calabria sia malavitosa per il fatto che esista, purtroppo, la 'ndrangheta sul suo splendido territorio.

Accetto le critiche, anche le più aspre, non certo il pregiudizio e la generalizzazione.
Non ho mai inneggiato nessuno, se non il mio amore per la musica popolare di cui vado fiera.

Non era certo questa la notorietà che sognavo.

Se ho commesso degli errori, se ho ferito la sensibilità di qualcuno sono anche disposta a mettere da parte questi brani o i passaggi più controversi, ma non accetterò più passivamente ulteriori minacce ed insulti.

Per questo motivo ho affidato ai legali dello studio Loiero l’incarico di tutelarmi in tutte le sedi che riterranno più opportune, preferendo per il futuro un pacifico silenzio a bellicosi chiacchiericci.»

Teresa Merante

 

I COMMENTI:

Sebastiano Ardita, magistrato.

La notizia del giorno è che una cantante folk Teresa Merante dedica canzoni ai boss mafiosi e ai latitanti e invita a sparare contro la polizia. Questo uno dei passaggi che hanno suscitato più sconcerto:

“Una luce fioca inizia a lampeggiare, fuggite giovanotti questa è la polizia, sparate a tutta forza verso quella brutta compagnia. Si stanno avvicinando con il mitra in mano ma non abbiate paura, sono solo quattro pezzenti. Noi siamo i latitanti noi siamo i più potenti”.

Ma anche molto altro si trova in queste strofe, dall’apologia di Totò Riina alla storia raccontata a rovescio della morte di Falcone e Borsellino. Tutte cose che hanno suscitato grande e legittima indignazione. Non ho sentito però nessuno denunciare un altro pericolo: quel muro sociale che oramai è stato eretto, dietro al quale, attraverso la musica folk, possono ritrovarsi in migliaia a condividere canzoni che contestano lo Stato, le sue regole e persino i rudimenti del vivere civile. Quello che lascia più preoccupati infatti non è il testo delle canzoni, ma il numero di ascolti e di condivisioni.

La riflessione che mi viene in mente perciò non è solo la giusta condanna per una iniziativa che offende vittime di mafia e uomini dello Stato, ma la incapacità delle classi dirigenti, della cultura, di parlare alle masse di disagiati con un linguaggio semplice ma rassicurante. Il bisogno di affrontare la questione sociale - dentro cui esiste anche una questione penitenziaria - senza puzza sotto il naso: per spiegare, anche a chi non ha avuto niente, la bellezza della legalità; per far comprendere che lo Stato esiste e si preoccupa dei deboli; che la polizia e chi contrasta la mafia lo fa nell’interesse di tutti e dei nostri figli; che non esiste altro riparo per un cittadino se non quello offerto dalla legge. Dobbiamo condannare queste iniziative, ma al tempo stesso preoccuparci di abbattere quel muro e riportare al di qua i tanti che pur vivendo in un ambiente a rischio, non devono essere iscritti d’ufficio nel partito dell’antistato. Solo così questi oltraggi alla memoria rimarranno iniziative sterili e isolate.

 

Paolo Borrometi.

“Spara alla Polizia, quella brutta compagnia”, “non abbiate paura”, i poliziotti “sono solo quattro pezzenti”. Poi, nella canzone dedicata a Riina, sui Giudici Falcone e Borsellino: “Due giudici gli erano contro ed arrivò per loro il giorno. Li fece uccidere senza pietà”. Ed ancora: “Viva i latitanti”.

Disgusto e rabbia per queste ‘canzoni’ che stanno spopolando sul web.

L’autrice è lei, Teresa Merante, cantante calabrese i cui video su YouTube raggiungono oltre 3 milioni di visualizzazioni. E l’ultimo video, dal titolo “Bon Capudannu” (che fa gli auguri di buon anno ai carcerati), ha come “attore” Giuseppe Marasco, sindaco di Nicotera (comune sciolto tre volte per mafia).

Non c’è fine al peggio, non c’è ritegno. Non si può più far finta di nulla e, nell’attesa di comprendere se questi versi non siano la versione 2.0 del “favoreggiamento alla mafia”, c’è da interrogarsi sui milioni di persone che ascoltano ripetutamente questi brani.

L’ignoranza dell’autrice è seconda solo alla sofferenza che chi la ascolta regala ai familiari di chi è morto per mano mafiosa.

No, non sono “omini d’altri tempi”. Sono solo sanguinari delinquenti.

Vergogna e disgusto.

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