Giuseppe Letizia, il piccolo testimone ucciso dalla mafia

La visione macabra porta con sé il delirio. Rientra in paese, forse urla i nomi degli assassini. La febbre aumenta sempre di più. Suo padre, che non poteva capire (lo farà dopo, quando abbandonerà per sempre Corleone) e lo porta in ospedale. Spiega i sintomi al dottore di turno. In quell’ospedale di paese il primario si chiama Michele Navarra. Verrà ammazzato da Luciano Leggio e dalla sua banda di criminali. La notizia arriva direttamente al capomafia. Anche il bambino di 13 anni deve morire.   

Giuseppe Letizia, il piccolo testimone ucciso dalla mafia
L'Unità, marzo 1948

«Da ricostruzioni recenti sappiamo che mio zio

fu ammazzato quasi subito e poi fu portato

in un casolare di campagna, dove c’era un altro mafioso

che non è mai stato menzionato nelle indagini,

un certo Giuseppe Ruffino, che si occupava

di furto di bestiame e macellazione clandestina. 

Ruffino si è occupato di macellare il corpo di mio zio,

fatto a pezzi perché doveva essere messo dentro delle bisacce

che, con un mulo, dovevano essere trasportate

in cima alla montagna.

Nel crepaccio butteranno il mulo,

insieme alle bisacce,

con i pezzi del cadavere di mio zio.

Il bambino (Giuseppe Letizia, nda), molto probabilmente,

non ha assistito all’omicidio, ma alla macellazione del corpo.

A quanto pare, ha fatto anche dei nomi.

In preda al delirio viene portato, dal padre,

in ospedale e preso in cura da Navarra,

il quale appena capisce la situazione

costringe un altro medico

a praticare una iniezione letale».

Placido Rizzotto, nipote del sindacalista-partigiano, ucciso dalla mafia corleonese

(10 marzo 1948)

 

 

 

Sono passati 72 anni dalla morte del giovane pastorello Giuseppe Letizia. Pascolava le pecore sulle montagne di Corleone, aiutava suo padre, la sua famiglia. Una maledetta notte di marzo del 1948 assiste ad una scena raccapricciante: tre banditi, o forse di più, stanno massacrando il sindacalista Placido Rizzotto.

Il partigiano rientrato il Sicilia, dopo la lotta di Liberazione, che inizia a lottare contro i prepotenti dell’epoca. Gli assassini mafiosi di Rizzotto hanno un nome e un cognome: Luciano Leggio, Pasquale Criscione, Vincenzo Collura.

 

Rizzotto aiutava gli ultimi, i contadini, gli ignoranti, i zappaterra senza terra. E l’impegno del segretario della Camera del Lavoro di Corleone, le sue battaglie, le occupazioni delle terre non poteva essere tollerato dai guappi mafiosi di quel paese.

La mafia locale ci stava perdendo la faccia. E arriva l’ordine del medico-capo mafioso Navarra: Rizzotto deve morire, ma non come tutti gli altri sindacalisti uccisi prima di lui. La lezione deve essere dura, diversa, deve incutere timore. Paura. Terrore. Per fermare i movimenti contadini. Le terre devono essere gestite, nuovamente, dai prepotenti.

Lo fanno a pezzi a Rizzotto, viene macellato da un mafioso esperto, in un casolare. I pezzi del suo corpo finiranno in un crepaccio e ci resteranno per tantissimi anni. Il giovane pastorello osserva tutto. È l’unico testimone oculare.

 

La visione macabra porta con sé il delirio. Rientra in paese, forse urla i nomi degli assassini. La febbre aumenta sempre di più. Suo padre, che non poteva capire (lo farà dopo, quando abbandonerà per sempre Corleone), lo porta in ospedale. Spiega i sintomi al dottore di turno.

In quell’ospedale di paese il primario si chiama Michele Navarra. Verrà ammazzato, in seguito, da Luciano Leggio e dalla sua banda di criminali. La notizia arriva direttamente al capomafia. Anche il bambino di 13 anni deve morire.   

Una iniezione letale ucciderà l’unico testimone oculare, di anni tredici, dell’omicidio mafioso di Placido Rizzotto. "Le mafie di una volta non toccavano le donne e i bambini", ecco uno dei tanti esempi per dire che le mafie fanno schifo oggi, come facevano schifo prima. Hanno sempre agito con il codice del Disonore.  

 

Nessuno pagherà per questi omicidi. Lo Stato non era pronto a colpire Cosa nostra. Dopo 72 anni, lo Stato ancora non è pronto a estirpare definitivamente questo cancro.