Gli inquietanti segnali delle mafie in Abruzzo

SECONDA PARTE. La malavita non si ferma ai tempi della pandemia globale, in sfregio al bene comune e agli interessi della collettività. In Abruzzo i segnali sono abbondanti e non devono rassicurare nessuno.

Gli inquietanti segnali delle mafie in Abruzzo
frontespizio della relazione DIA sul primo semestre 2019

L’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, relativa al primo semestre dell’anno scorso, riporta che l’Abruzzo è esposto «agli interessi della criminalità organizzata, connessi innanzitutto ai traffici di stupefacenti e al riciclaggio di denaro» ed è presente «un potenziale economico che potrebbe attrarre nuovi investimenti mafiosi», una vulnerabilità ad interessi criminali che il Presidente della Corte d’Appello aquilana che il 26 febbraio 2019, nel discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha evidenziato per «il concreto pericolo di infiltrazioni criminali dovuto alla vicinanza ad aree ad altra concentrazione malavitosa e per l’insediamento di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata».

Parole di stretta attualità in queste ultime settimane: molti sono stati gli allarmi sulle infiltrazioni nel tessuto economico e la capacità di mafia e camorra  di sfruttare la crisi economica legata all’emergenza sanitaria per il riciclaggio di denaro sporco e predare attività economiche ridotte sul lastrico. L’ex pm e oggi avvocato antimafia Antonio Ingroia nell’intervista che ci ha rilasciato ha definito le mafie «agenzie criminali di servizi che sono sempre pronte ad intervenire nei vuoti dello Stato» mentre il magistrato anti camorra Catello Maresca ha lanciato l’allarme sulla possibilità che le organizzazioni criminali «stanno già ragionando su come infiltrarsi nei settori legali, comprando negozi ridotti sul lastrico, prestando soldi e diventando soci di attività imprenditoriali» favoriti dalla crisi economica e che ovunque ci sono «traffici e consumo di droga, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo» è presente la criminalità organizzata e che queste attività illecite «nessuno le gestisce senza il consenso di un gruppo organizzato legato altrove o cellula stanziale».

Le classifiche nazionali di Avviso Pubblico sul gioco d’azzardo da tempo documentano l’enormità di questa piaga sociale ed economica in Abruzzo mentre l’usura e l’estorsione sono le altre principali attività criminali fiorenti. La relazione della DIA documenta presenze legate al clan dei casalesi e alle famiglie Contini, Amato-Pagano, Moccia e Mallardo funzionali oltre che al traffico di droga al «riciclaggio dei proventi illeciti». E un altro grave segnale di infiltrazioni e predazioni nell'economia legale da parte delle mafie c'è stato sempre all'inizio di quest'anno con il pesante coinvolgimento della provincia aquilana nell'inchiesta della DDA di Messina contro la mafia dei pascoli. «Criminalità - scrisse il gip di Messina Mastroeni - che non costituisce ricchezza per il territorio, non sviluppa agricoltura e pastorizia, ma fa ditte di carta, ingurgita profitti milionari, che come tutti i profitti di mafia spariscono e niente lasciano alla gente, al territorio, alla vera agricoltura e pastorizia». L'inchiesta aveva documentato lo sfruttamento da parte del gruppo mafioso dei Batanesi di terreni intestati fittiziamente nei comuni abruzzesi di L'Aquila, Barisciano, Ofena, Pettorano sul Gizio, Crognaleto, Cortino, Valle Castellana, Rocca Santa Maria, Isola del Gran Sasso, Caramanico e Castel del Monte.

La più approfondita ricerca sulla mafia dei pascoli in Abruzzo è stata portata avanti dalla professoressa Lina Calandra dell'Università dell'Aquila: un lavoro durato dieci anni condotto con gli studenti del Dipartimento di Scienze Umane con più di 900 interviste nei 99 comuni del Parco Nazionale. In queste settimane stiamo assistendo ad accesi scontri politici e istituzionali nazionali e internazionali su quali e quanti fondi europei dovranno essere inviati in Italia per fronteggiare la crisi economica post pandemia. Nessuna delle voci in campo sta dicendo nulla sulla destinazione di questi fondi, su chi ne ha approfittato ed è stato foraggiato in Italia. La ricerca guidata dalla professoressa Calandra documenta come la mafia dei pascoli ha abbondantemente sfruttato la leva dei fondi europei per arricchirsi e consolidarsi. Una panoramica la fornisce lei stessa qui

Il Life (strumenti finanziari dell'UE per progetti ambientali) Praterie, ha ricordato Lina Calandra in questo intervento, in Abruzzo si svolse «in un clima crescente di tensione perché accanto a chi è interessato alla regolamentazione dei pascoli e confida sinceramente nel Parco in quanto soggetto sovraordinato in grado di mettere a disposizione adeguate risorse» sono presenti soggetti forti «di un potere che trae la sua forza da una enorme disponibilità finanziaria di ingannevole provenienza e una rete di soggetti che si muovono nei meandri di cavilli e codicilli burocratici, nei sistemi informatici e, sul territorio, con prestanomi e poveri ingenui».

La relazione della DIA sul primo semestre 2019 conferma che la Provincia di Chieti e soprattutto il vastese è il luogo di approdo, infiltrazione ed appropriazione di attività economiche legali da parte di appartenenti alle mafie foggiane, quelle stesse mafie che anche in queste settimane continuano a intimidire e compiere attentati in Puglia, e di clan di camorra. Si prepara la ripetizione di quanto già visto varie volte negli ultimi vent’anni con l’arrivo di personaggi come gli esuli di camorra Pasqualone e Cozzolino e gli ‘ndranghetisti Ferrazzo e Cuppari, giunti nel vastese i primi tre e a Francavilla l’ultimo dove indisturbati e nel silenzio in pochi anni si sono creati delle piccole ma articolate cosche locali infiltrandosi nell’economia legale ed imponendosi sul territorio come attività estorsive e di spaccio?

Personaggi che sono stati le uniche variazioni rispetto al sostanziale monopolio criminale da parte degli appartenenti a famiglie come i Di Rocco, gli Spinelli e i De Rosa. Quella Provincia dove un anno fa, in queste settimane, diventava di dominio pubblico la notizia della sfrenata attività social e «sociale» di Salvo Riina, terzogenito del boss mafioso morto. Un’attività che, come abbiamo già avuto modo di raccontare, suscitò ben poche reazioni di rifiuto e molti imbarazzati silenzi, benevolenze e persino accoglienze anche dopo l’allarmata reazione del presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra. Nonostante i tanti post apologetici, il non aver mai preso nessuna distanza dall’ambiente mafioso familiare e le due aste in cui ha trasformato il proprio cognome in un brand. Un’attività social improvvisamente interrottasi in piena estate mentre da dicembre scorso sembra essersi allontanato dall’Abruzzo, interruzione su cui (anche qui nel silenzio generale) nei mesi scorsi abbiamo posto interrogativi rimasti senza risposta.

2 parte/fine

La Prima parte, Abruzzo, neanche la pandemia ferma prepotenza e traffici criminali