Guerra in Ucraina, nel paese senza memoria rispunta il [lo]deserto dei diritti dei migranti

PRIMA PARTE. Denunciato per anni da associazioni, giornalisti e attivisti, condannato nei tribunali italiani ma è ancora in attività. Omaggiato anche da esponenti istituzionali italici.

Guerra in Ucraina, nel paese senza memoria rispunta il [lo]deserto dei diritti dei migranti

La guerra è e sarà per sempre tra i peggiori buchi neri della disumana bestialità. In guerra tutti i vasi di Pandora vengono aperti e scatenano i loro demoni.

Le brutalità della carneficina in atto, l’attività delle mafie (che stiamo ripetutamente denunciando da settimane nel silenzio omertoso e complice di troppi) ne sono la plastica dimostrazione.

Tutto questo avviene nel Paese in cui impazzano le alici nel paese della meraviglie, le finte coscienze buone solo per parate e retoriche nauseanti, ipocrite e false. Nel paese delle memorie rimosse e dei silenzi di comodo a tamburo battente.

Dalle memorie rimosse di una delle peggiori pagine nere della storia italiana è ricomparso in queste settimane un personaggio all’epoca difeso da tanti (soprattutto potenti) e “dimenticato” da quasi tutti: l’ex gestore del centro per migranti “Regina Pacis” di Lecce Cesare Lodeserto, oggi assiso alle alte sfere della chiesa moldava. Lo hanno denunciato Pierfrancesco Albanese su Tpi e Nello Trocchia e Gaetano De Monte su Domani.

La circostanza è emersa dopo le visite con omaggio a Lodeserto di Di Maio - colui che ha avversato la spedizione umanitaria nonviolenta dei pacifisti italiani definendola irresponsabile ma nulla ha detto su passerelle politicanti e lui stesso si è recato in Moldavia – e Bellanova.

Il “Regina Pacis”, paragonato all’epoca a “Guantanamo”, riporta alla memoria le denunce e le battaglie delle reti antirazziste, di giornalisti coraggiosi, dell’indimenticato e indimenticabile Dino Frisullo. Per decenni, in questi quasi ultimi vent’anni e per sempre punto di riferimento, faro, compagno degli ultimi e delle vittime, un fuoco che arde nel cuore di chi lo ha conosciuto e di chi vedrà nel suo impegno concreto militante la stella polare dell’agire.

Una vicenda, quella del Cpt di Lodeserto, che racconta tanto di quegli anni e dovrebbe far riflettere su una parte significativa della recente storia d’Italia. Su quel lager, su come in Italia negli anni si sia brutalizzato e guadagnato sulla pelle di chi arriva in Italia, si spese tantissimo e fino all’ultimo (letteralmente, perché dal letto d’ospedale poco prima di morire continuava a scrivere e denunciare) Dino Frisullo.

I Cpt nacquero dopo la legge dei progressistissimi e democraticissimi sinistrissimi Turco e Napolitano nel 1998. Erano gli anni in cui scattò la censura e l’omertà più totale sul naufragio di Natale del 1996, come denunciò Dino Frisullo (http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2001/giugno/frisullo-manif.-naufragio.html): «Ammettere la strage equivaleva a rimettere in discussione la linea della fermezza, che di lì a poco avrebbe colpito e affondato la Kater-i-Radesh» denunciò Dino.

La Kater i Radesh, la nave colpita ed affondata durante il primo (e finora unico) blocco navale anti-immigrazione mai stabilito da un governo. Era il 28 marzo, venerdì santo, e la nave affondò dopo essere stata speronata dalla corvetta Sibilla della Marina militare italiana.

I morti furono 81, 34 i superstiti e tra i 24 e i 27 i dispersi. Il primo governo di Romano Prodi che la settimana precedente aveva deciso un blocco navale nel Canale d’Otranto contro l’arrivo delle «carrette albanesi». Dino, nell’indifferenza e nel totale disinteresse, raccolse testimonianze, nomi e cognomi dei trafficanti e di chi dovrebbe avere sulla coscienza le vittime di quella strage. Tutto raccolto in due articoli usciti su Narcomafie nel settembre successivo (https://www.a-dif.org/2016/12/26/verita-e-giustizia-per-le-vittime-del-naufragio-del-natale-96/ ). Nel primo articolo di Dino che citiamo in quest’articolo si possono leggere le reazioni. Che “parlano” da sole, senza alcun bisogno di commento.

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