“I lavoratori sono tutti uguali. Siamo pronti a scioperare”

La mancata chiusura di fabbriche e aziende ha provocato la reazione dei sindacati e dei lavoratori: «Gli interessi economici sono più importanti della salute dei lavoratori. Che senso ha produrre merci, in questa fase drammatica, che non sono di prima necessità? Il rischio di contagio è altissimo. Abbiamo paura».

“I lavoratori sono tutti uguali. Siamo pronti a scioperare”
La locandina del film di Elio Petri
“I lavoratori sono tutti uguali. Siamo pronti a scioperare”
“I lavoratori sono tutti uguali. Siamo pronti a scioperare”
“I lavoratori sono tutti uguali. Siamo pronti a scioperare”

Nelle scelte assunte abbiamo tenuto conto di tutti gli interessi, di tutti i valori in gioco. Al primo posto ci sarà sempre la salute degli italiani”. In questo passaggio del presidente del Consiglio Conte, registrato nella conferenza stampa di ieri sera, dove è stato annunciato un nuovo giro di vite con il nuovo decreto, sono stati dimenticati diversi lavoratori, tra cui gli operai delle fabbriche, ancora in produzione, che non si occupano di beni di prima necessità. “Industrie e fabbriche – ha spiegato Conte - potranno continuare a svolgere le proprie attività produttive, a condizione che assumano protocolli di sicurezza adeguati a proteggere i propri lavoratori al fine di evitare il contagio. Sono incentivate le fabbriche e le industrie a predisporre misure che siano adeguate per reggere questo momento: regolazione dei turni di lavoro, ferie anticipate, chiusura dei reparti non indispensabili”.

La decisione di non decidere, per tutelare gli interessi economici di pochi, ha mandato su tutte le furie sindacati e lavoratori.

Qualche minuto dopo l’annuncio del premier, in una nota, la segreteria nazionale della Fiom è intervenuta nel dibattito: “è inaccettabile la mancanza di misure e iniziative volte alla protezione dei lavoratori che stanno garantendo la tenuta economica del Paese in una condizione di grave emergenza”. La richiesta urgente di un confronto “per affrontare la situazione di emergenza dei lavoratori metalmeccanici” non cancella la possibilità di altre forme di protesta. “In tutti i luoghi di lavoro dove non siano assicurate le condizioni di salute e sicurezza vanno messe in campo tutte le iniziative necessarie: dalla richiesta di intervento delle autorità competenti alle iniziative di sciopero. Tutelare la salute dei metalmeccanici serve a garantire quella di tutti i cittadini italiani”. Il nuovo decreto garantisce la salute degli operai?

 

«Questo decreto – ha affermato il coordinatore provinciale Slai Cobas, Giordano Spoltore, operaio dello stabilimento Sevel di Val di Sangro – non è la soluzione ad un contagio che continua ad avanzare. La ripresa dell’attività lavorativa non è la soluzione, nonostante ci sia una riduzione. I lavoratori devono arrivare sul posto di lavoro e la maggior parte dei dipendenti è pendolare, utilizza mezzi pubblici. Tutti transitano negli stessi spazi, negli stessi tempi. La stessa cosa vale per i servizi igienici. Continuare la produzione, in queste condizioni, non fa altro che proliferare la possibilità del contagio».

Ma perché tutti devono fermarsi, addirittura non è possibile nemmeno fare una passeggiata, e i lavoratori, nelle fabbriche, devono continuare a lavorare? «Questa è la contraddizione maggiore di questo sistema. Ai padroni è consentito continuare a fare profitti mentre i cittadini vengono privati delle libertà fondamentali. Anche passeggiare, per evitare in qualche modo la paura e la psicosi che sta iniziando ad essere altrettanto contagiosa, al pari del virus». Qual è sarà la risposta del sindacato? «Stiamo valutando, come coordinamento, quali iniziative mettere in campo a tutela individuale e collettiva dei lavoratori. Senza la salute tutto diventa impossibile. Altri Paesi ci hanno dimostrato che effettuando delle misure cautelari, bloccando tutto tranne i servizi di fondamentale e primaria necessità, è possibile riuscire a venirne a capo. In una situazione come questa, di emergenza internazionale riconosciuta dall’OMS come una pandemia, non credo che ci sia una assoluta necessità di continuare a produrre merci che non sono di prima necessità. È necessario aggiungere che, sino ad ieri, non sono state consegnate le mascherine ai lavoratori, nonostante i rapporti di lavoro ravvicinati».

 

Sulla stessa lunghezza d’onda si posiziona la Fim-Cisl. «È stato emanato un nuovo decreto per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Ma come i precedenti non affronta in pieno il tema della sicurezza sul lavoro soprattutto nel settore automotive in materia di prevenzione del contagio. Dal Governo semplici raccomandazioni e inviti che molte aziende non osservano. Se le aziende non sono in grado di far rispettare le misure di sicurezza bisogna fermare le produzioni altrimenti sarà il Covid19 a fermarle a danno dei lavoratori».

Abbiamo sentito l’operatore sindacale Cisl Amedeo Nanni, che tutela gli interessi dei lavoratori di diverse aziende abruzzesi. «Mi occupo di diverse realtà, compresa la Sevel, sempre nella Val di Sangro. Come sindacato stiamo cercando di fare il massimo, rispetto ai decreti in vigore. Cerchiamo di tenere le distanze di sicurezza, igienizzare tutte le attività, tutti i reparti, gli uffici, spogliatoi, mense, aree relax. Un’azienda come Sevel, dove in ogni turno di lavoro ci sono circa 2mila dipendenti, c’è un lavoro immenso da fare. Ecco perché in questi giorni è stata decisa la chiusura, perché non si stavano rispettando alcuni punti del decreto. Ad esempio, le mascherine non erano presenti in stabilimento». Lunedì 16 marzo ricominceranno le attività lavorative. «Ci aspettavamo che il Governo prendesse di petto questa situazione. Fare un ampliamento del decreto già esistente è insufficiente. Abbiamo l’esempio della Denso di San Salvo che è eclatante. Ha messo due turni di straordinario sabato e domenica». Cosa produce la Denso? «Motori di avviamento, centraline. È un’azienda giapponese. Come loro ci sono altre aziende grandi che non si sono fermate per niente». Ecco, questi beni superflui, in questa fase di emergenza planetaria, non sono di prima necessità. E allora il nuovo decreto a cosa serve? «Non è possibile fare una passeggiata ma i lavoratori devono andare a lavorare in fabbrica. Se non ci dovessero essere nuovi sviluppi, perché a livello nazionale stiamo lavorando, chiederemo di abbassare le linee sulle catene di montaggio e continuare una mini cassa integrazione su un numero corposo di lavoratori. Un discorso che l’azienda ha recepito. Il secondo aspetto affrontato con la Regione riguarda i trasporti. Se rallento la produzione e rispetto le distanze, poi non ha senso viaggiare su un autobus con 50 persone. Chiediamo, quindi, più mezzi di trasporti. Stiamo aspettando l’ordinanza annunciata dall’assessore regionale». L’arma dello sciopero non è affatto accantonata. «Dove non ci sono le condizioni basilari per poter lavorare saremo, purtroppo, costretti ad indire scioperi».   

 

Con Fabio Cocco, rappresentante Usb e operaio Sevel, abbiamo affrontato l’esperienza diretta e il dramma, di questi ultimi giorni, dei lavoratori. Nella prima telefonata, unico metodo per raccogliere la sua testimonianza, Fabio stava rientrando a casa, dopo il turno di lavoro, e si trovava sul pullman pieno di colleghi. «Gli interessi economici sono più importanti della salute dei lavoratori. L’unico modo per combattere questa epidemia è l’isolamento. Quindici giorni di isolamento per tutti sarebbe stata la soluzione. È assurdo: dicono di rispettare il decreto, le distanze. Ma quando si lavora alla catena di montaggio non è così semplice. È quasi impossibile. Noi produciamo il furgone Ducato…». In questo momento rientra tra i beni di prima necessità? «Non riusciamo a capire a chi possa servire un furgone. In questo modo si mette a rischio la salute dei lavoratori. Io lavoro ai motori, faccio assemblaggio di alcuni particolari. Su ogni turno facciamo circa 420 motori. Nell’azienda siamo circa 6mila lavoratori, su ogni turno siamo circa 2mila. Al montaggio si lavora più vicini, perché si fa tutto manualmente. Certi particolari vengono montanti insieme ad altri colleghi. E l’azienda non sta fornendo mascherine per evitare che ci sia il contagio. Nessun lavoratore ha la mascherina, tranne qualcuno che se la porta da casa».

L’azienda sarà in grado di rispettare le regole imposte dai decreti? «Ci hanno comunicato che avrebbero abbassato la cadenze delle linee per evitare più persone sul posto di lavoro». Quindi problema risolto? «Non su tutte le lavorazioni. Su molte si riusciranno a distanziare i lavoratori, su altre credo di no. Deve, però, subentrare anche il buon senso del lavoratore».

Cosa dovrebbe fare il lavoratore? «Se non dovesse esserci il rispetto del decreto devono chiamare il sindacato, devono denunciare la cosa. I lavoratori devono auto tutelarsi. Ma il problema non si registra solo all’interno dell’azienda. Si viaggia uno accanto all’altro, i pullman non credo siano sanificati. Io parto la mattina da Chieti alle 4:30 e arrivo alle 5:15 a Val di Sangro. Noi scendiamo e i colleghi della notte salgono. Tra le due operazioni dovrebbero sanificare, ma non lo fanno. Il problema è serio, ma fanno finta che non esiste. Lunedì, quando rientrerò a lavoro, se il pullman non rispetterà i criteri lo fermerò e chiamerò la polizia. Se non ci sono le condizioni di sicurezza bisogna fermarsi. L’ho detto ai lavoratori: chiamate i carabinieri. Arriveremo allo sciopero. C’è rabbia e paura tra i lavoratori».      

 

 

 

Per approfondimenti:

«Bisogna bloccare la produzione per due settimane»