Il grido disperato: «Non serve a nulla denunciare la mafia. Sono stanco di vivere»

ISOLATO & ABBANDONATO. Il siciliano Bennardo Mario Raimondi continua a chiedere aiuto, ma nessuno risponde alle sue richieste. «Megghiu muriri chi mali campari.»

Il grido disperato: «Non serve a nulla denunciare la mafia. Sono stanco di vivere»
Bennardo Mario Raimondi

«Ho 59 anni, il mio lavoro è tutta la mia vita, tutta la mia esistenza. Ho fatto il mio dovere. Ho denunciato i mafiosi. Ma a quale prezzo? Oggi vivo di elemosina tra mille problemi, anche di salute». Queste sono le parole scritte da Bennardo Mario Raimondi in una mail inviata in redazione. L'uomo denuncia una situazione drammatica e il menefreghismo generale. Non solo delle Istituzuioni e dei suoi rappresentanti. Ma anche della gente comune. Nessuno sembra interessato alla vicenda di un uomo che ha denunciato la prepotenza mafiosa.

Lui, Bennardo, ha fatto una scelta. Ha fatto il suo dovere, è stato coraggioso. Come tanti altri. Ora conduce una vita di stenti e di paure. Come i pochi (circa 80) «testimoni di giustizia» disseminati sul territorio. Nel Paese delle mafie ci sono esempi importanti. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie.

E come vengono trattati dallo Stato? A parte quelli che prendono soldi e continuano ad omaggiare, in modo servizievole, le Istituzioni (magari per ottenerne altri), ci sono esempi di cittadini che vivono una non vita, fatta di paure. Per la propria esistenza.   

«Sono consapevole che il togliersi la vita non è la soluzione, non è la cosa giusta. Ma sono anche consapevole che basta un po' di coraggio. Per farla finita. Sono stanco, troppo stanco di chiedere, di non fare nulla. Dopo aver perso tutto e tutti, peggio di un terremotato, vi chiedo umilmente - in questo momento molto delicato della mia vita - per favore non siate indifferenti. Sono appeso a un filo.»

Ma perchè scrive queste parole Bennardo? Glielo abbiamo chiesto.     

Lei si è pentito di aver denunciato i mafiosi? «Anche se ho fatto il mio dovere ho peggiorato il mio stato sociale.»

Da chi è stato abbandonato? «Sono stato abbandonato prima dalle Istituzioni, dalle associazioni Antiracket e poi da una societa omertosa e indifferente.»

Perchè parla sempre di suicidio? «Già nel 2013 ho tentato il suicidio, per fortuna fui salvato dai carabinieri. So cosa si prova e cosa si passa in quei momenti. Arrivi a un punto di non ritorno, dove tutto è finito. Ti senti solo disperato.» 

Cosa intende per indifferenza*? «Da anni chiedo lavoro. Oggi vivo di elemosina . Lo Stato, il Comune, la Regione non credo che in questi anni, con quello che so fare, non sia stato in grado di aiutarmi. Chiedo lavoro.»

Cosa chiede per la sua famiglia? «La mia famiglia, oggi, vive di elemosina. Mia figlia se n'è dovuta andare via da Palermo. Chiedo un po' di serenita per i miei. E' cosi difficile? E' cosi impossibile?»  

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* Odio gli IndifferentiLa città futura, 11 febbraio 1917.

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

Antonio Gramsci